giovedì 30 giugno 2011

Biennale Arte 2011 - Padiglione Italia

Serpentine Gallery

Serpentine Gallery Pavilion 2011 by Peter Zumthor
© Peter Zumthor

Serpentine Gallery Pavilion 2011
Designed by Peter Zumthor
1 July – 16 October 2011

The Serpentine Gallery is delighted to reveal the plans for the Serpentine Gallery Pavilion 2011 by world-renowned Swiss architect Peter Zumthor.


This year’s Pavilion is the 11th commission in the Gallery’s annual series, the world’s first and most ambitious architectural programme of its kind. It will be the architect’s first completed building in the UK and will include a specially created garden by the influential Dutch designer Piet Oudolf.

The concept for this year’s Pavilion is the hortus conclusus, a contemplative room, a garden within a garden. One enters the building from the lawn and begins the transition into the central garden, a place abstracted from the world of noise and traffic and the smells of London – an interior space within which to sit, to walk, to observe the flowers.

With this Pavilion, as with previous structures such as the famous Thermal Baths at Vals, Switzerland, or the Bruder Klaus Chapel in Mechernich, Germany, Zumthor has emphasised the sensory and spiritual aspects of the architectural experience, from the precise yet simple composition and ‘presence’ of the materials, to the handling of scale and the effect of light.

At the heart of Peter Zumthor’s practice is a refined selection of materials used to create contemplative spaces that evoke the spiritual dimension of our physical environment. As always, Zumthor’s aesthetic goal is to customise the building precisely to its purpose as a physical body and an object of emotional experience.

Hortus conclusus
Serpentine Gallery Pavilion 2011 by Peter Zumthor
© Peter Zumthor
'A garden is the most intimate landscape ensemble I know of. It is close to us. There we cultivate the plants we need. A garden requires care and protection. And so we encircle it, we defend it and fend for it. We give it shelter. The garden turns into a place.

Enclosed gardens fascinate me. A forerunner of this fascination is my love of the fenced vegetable gardens on farms in the Alps, where farmers’ wives often planted flowers as well. I love the image of these small rectangles cut out of vast alpine meadows, the fence keeping the animals out. There is something else that strikes me in this image of a garden fenced off within the larger landscape around it: something small has found sanctuary within something big.

The hortus conclusus that I dream of is enclosed all around and open to the sky. Every time I imagine a garden in an architectural setting, it turns into a magical place. I think of gardens that I have seen, that I believe I have seen, that I long to see, surrounded by simple walls, columns, arcades or the façades of buildings – sheltered places of great intimacy where I want to stay for a long time.'

Peter Zumthor

mercoledì 29 giugno 2011

Hans Richter e Viking Eggeling

Prelùde, disegno, 1919
Richter ricorda che gli era già balenata l'idea di una composizione musicale, di una "melodia di forme e colori": quell'idea, di estrema importanza per il sorgere della pittura astratta, circa la strutturazione e orchestrazione della pittura, che da Gauguin in poi non era stata più completamente abbandonata. Nello stesso anno una felice circostanza gli fece incontrare Viking Eggeling il quale si occupava già di questo problema. Eggeling, nato a Lund (Svezia) nel 1880 da una famiglia di origine tedesca, era emigrato in Germania all' età di diciassette anni e spostatosi di seguito a Milano aveva compiuto i primi studi di storia dell'arte, in particolare nell'ambito della pittura. Dal 1911 si trova a Parigi e viene a contatto con personalità quali Modigliani, Friesz, Kisling e nel 1915 nell'atelier di Madame Wassilieff conosce Arp con il quale si reca in Svizzera; qua incontra Tzara che lo introduce al dadaismo e gli presenta Hans Richter. Nel 1919 si spostano a Klem-Kolzig, dove i genitori di Richter avevano dei beni: là entrambi lavorarono per 3 anni in stretto affiatamento.
"Migliaia di "esercitazioni" nel tentativo di scoprire tutte le relazioni elementari possibili tra linea e piano, di variare e di orchestrare elementi più semplici."

La meta era quella di intendere il quadro come sviluppo ritmico di temi formali, in analogia con gli sviluppi ritmici e melodici di un movimento musicale. Entrambi, nel corso degli studi, cercarono di costruire, sulla base di elementi semplici, complicate strutture ritmiche dalle quali ne risulti una successione. Per ottenerla nel tempo adottarono un mezzo che già Delaunay3 aveva usato per lo stesso scopo. Allungando la partitura per renderne imprevedibili gli sviluppi e costringere, in tal modo, sé stessi e il lettore a leggere singolarmente, uno dopo l'altro gli elementi formali, proprio come si legge un nastro scorrevole pubblicitario. Adoperando i caratteri dell'alfabeto cinese venne loro in mente ben presto una soluzione migliore : il rullo istoriato. Srotolandolo si assisteva allo svolgimento nel tempo di un motivo formale, che si poteva paragonare allo sviluppo e al decorso di una fuga musicale. Nel 1919 Richter dipinse il suo primo rullo istoriato, Prèlude, cui seguirono molti altri, intitolati, talvolta anche Fuga o Orchestrazione.
Prèlude, non nasce come conseguenza delle astrazioni precedenti (1918), ma ha il significato di un reale preludio a quello che sarà in avanti la possibilità di stabilire un canone strutturale ed estetico. Ancora è presente l'animo rivoluzionario del "Dada", per cui le prime astrazioni di Richter vengono considerate ed inserite nel discorso già intravisto come dato componente e il preludio è la prima mossa fra un distacco dalla tradizione seppur giovane del Dada, per entrare a far parte di quella regione che vuole scostarsi dalle sperimentazioni cinematografiche precedenti, per esempio di Leopold Survage.4

Street Art: Untitled

Untitled full of Words, Dublin, 6th of april 2011



automata sculpture

Bauhaus Lab: Walking Tables



Kinetic sculpture

秦始皇兵马俑

Nell’estate del 1974, nei pressi del Monte Li, vicino a Xi’an, uno dei più importanti centri dello Shaanxi, venne casualmente scoperta, da alcuni contadini, una statua in terracotta. Partendo da questo ritrovamento sono iniziati gli scavi che hanno portato a galla la necropoli del Monte Li, enorme complesso la cui parte più nota è il cosiddetto esercito di terracotta. In realtà questo è solo un tassello della costruzione, nata dal desiderio di Qin Shi Huangdi nel 246 a.C., data in cui divenne sovrano dello Stato di Qin. Certamente l’opera assunse maggiore importanza nel 221 a.C., momento che segna l’unificazione della Cina sotto un unico impero, appunto quello del sovrano di Qin, passato alla storia come il Primo Imperatore. Il complesso è formato, dal tumulo, rinchiuso tra due cinta murarie, e circondato da fosse sacrificali, utilizzate alla morte dell’imperatore, nel 210 a.C., quando ancora l’enorme struttura non era conclusa.

Qin Shi Huangdi
Proprio per questo vennero ritrovate solo le fondamenta di vari edifici, torri di guardia, templi e canali di drenaggio dell’acqua utili per il culto ancestrale. Certamente ciò che più colpì di questa scoperta furono le innumerevoli statue di terracotta che, rappresentando la fanteria, gli arcieri, gli ufficiali e i soldati della guardia personale, simboleggiavano la protezione di cui l’imperatore aveva bisogno per il suo viaggio nell’aldilà. L’esercito, diviso in tre fosse, è accompagnato anche da alcuni carri da guerra che, purtroppo, essendo in legno si sono logorati, lasciando come unica traccia i loro solchi sul pavimento. Ciò che più colpisce di queste statue sono sicuramente le fattezze dei visi, ognuno particolare e diverso dall’altro. Ci viene così restituita una realtà più vera; inoltre viene sottolineata l’eterogeneità di questo popolo, in cui coesistevano diverse genti, come si evince dai lineamenti dei volti. Ciascun viso era modellato a stampo, ma veniva poi rifinito singolarmente, con tratti individuali e personali. Originariamente le statue erano arricchite con colori vivaci, che però sono quasi del tutto scomparsi.
Curiosità: i soldati erano anche forniti di armi, andate quasi del tutto perdute. Durante un’insurrezione popolare, infatti, vennero recuperate dai ribelli, da quel popolo cioè che si era visto confiscare ogni tipo di arma da Qin Shi Huandi, perché l’esercito imperiale potesse mantenere una posizione di forza predominante.

martedì 28 giugno 2011

MIGUEL DELIBES

Biografia
Miguel Delibes nasce a Valladolid il 12 ottobre del 1920. Terzo di otto figli, compie i suoi primi studi prima presso un collegio di suore Carmelitane e, successivamente, presso il colegio de Lourdes de los Hermanos de la Salle. Finito il liceo, segue un corso di disegno nella scuola di Arte e Mestieri di Valladolid per poi immatricolarsi al corso di Diritto mercantile. Con lo scoppio della guerra civile, a soli 16 anni, si arruola nella marina dell’esercito franchista come volontario, sull’incrociatore Canarias. Nel 1939, finita la guerra, tornato a Valladolid, si iscrive a Giurisprudenza e conclude gli studi di Diritto mercantile. È proprio l’attenta lettura del Curso de Derecho Mercantil di Joaquín Garrigueras a far sorgere in lui il desiderio di scrivere perché, “un mercantilista sopesando adjectivos, es sin duda algo insólito, y este hecho, como no podía menos, me impresionó” (Delibes, 1964: 11).
Data fondamentale nella vita di Delibes è il 1941, perché è l’anno in cui inizia a lavorare per il giornale El Norte de Castilla, come caricaturista. Nel settembre del 1942 scrive il suo primo articolo El deporte de la Caza mayor e, dopo aver seguito un corso a Madrid per ottenere la licenza giornalistica, esordisce, nel 1944, come redattore nella sezione cinematografica. Nella veste di direttore del giornale, a partire dal 1958, assume la difesa dei diritti dei contadini ma, dopo vari scontri con il Ministro dell’Informazione e Turismo, siamo allora nell’epoca della censura franchista, decide di dimettersi dall’incarico e di continuare la sua denuncia attraverso i romanzi.

In Conversaciones con Miguel Delibes (1971: 182) lo scrittore afferma:
Las ratas y Viejas historias de Castilla la Vieja son la consecuencia inmediata de mi amordazamiento como periodista. Es decir, que cuando a mí no me dejan hablar en los periódicos, hablo en las novelas. La salida del artista estriba en cambiar de instrumento cada vez que el primero desafina a juicio de la administración.
La sua carriera letteraria, invece, inizia fin dal 1947. Gonzalo Sobejano (2003: 187) individua due fasi nella produzione letteraria di Miguel Delibes: una più introspettiva, con un protagonista individualista; l’altra più oggettiva, con il personaggio inserito nella società uomo-massa. Diversa la classificazione di Edgar Pauk (1975: 26) che individua quattro tappe. La prima, dal 1947 al 1949, include i suoi due primi romanzi pessimisti La sombra del ciprés es alargada, con cui vince il premio Nadal, e Aún es de día (1949). La seconda, il cui tema principale è la natura e l’inserimento dell’uomo nella società, va dal 1950 al 1961 e comprende i romanzi El Camino (1950), Mi idolatrado hijo Sisí (1953), Diario de un cazador (1955), vincitore del Premio Nacional de Literatura, La hoja roja (1959) e le opere di narrativa breve, La Partida (1954), Siesta con Viento Sur (1957), con cui vince il Premio Fastenrath e Viejas Historias de Castilla la Vieja (1960). La terza fase, il cui romanzo principale è Cinco horas con Mario (1966), va dal 1962 al 1968 e “se centra en la búsqueda de la justicia social”. E’ questo il periodo del rinnovamento formale. Infatti questo romanzo è un lungo monologo interiore basato sulle associazioni di idee della giovane vedova Menchu, davanti al corpo di Mario, suo marito defunto. A questa terza fase appartiene anche Las Ratas (1962) romanzo che denuncia le condizioni di miseria della Castilla rurale. L’ultimo periodo, che Pauk denomina “la sociedad y el hombre”, riguarda le opere scritte tra il 1969 e il 1975 ovvero: Parábola de un náufrago (1969), La mortaja (1970) e El principe destronado (1973). A queste, vanno aggiunte le opere successive: La guerra de nuestros antepasados (1975) El disputado voto del señor Cayo (1978), Los Santos Inocentes (1982), Cartas de amor de un sexagenario voluptuoso (1983), Madera de héroe (1987), Señora de rojo sobre fondo gris (1991), tributo alla moglie Ángeles de Castro morta nel 1974, Diario de un jubilado (1995) che, come gli altri diari, ha come protagonista il bidello Lorenzo; ed infine il suo ultimo romanzo El Hereje (1998), ambientato nella Valladolid di Carlo I e che Delibes dedica alla sua città.

Definitosi “un cazador que escribe”, nella sua bibliografia troviamo molte opere di carattere venatorio: La caza de la perdiz roja (1963), El libro de la caza menor (1964), Con la escopeta al hombro (1970), Mis amigas las truchas (1977) e El último coto (1992). Molti sono anche i libri di viaggio: invitato da giornalisti cileni, attraversa per la prima volta l’Atlantico e, da questa esperienza, nasce Un novelista descubre América (1956) e Diario de un Emigrante (1958), che continua le avventure del bidello Lorenzo, protagonista già del Diario de un Cazador. Nel 1963 viene pubblicato il libro Europa: parada y fonda, nel quale raccoglie le sue impressioni dei viaggi in Italia, Francia, Portogallo e Germania; nel 1966 dopo aver attraversato nuovamente l’Atlantico, scrive Usa y yo e, nel 1968, viene pubblicato La Primavera de Praga, il più politico dei suoi libri scritto a seguito di un viaggio in Cecoslovacchia, prima dell’arrivo delle truppe sovietiche. Nel 1973 viene eletto membro della Real Academia per occupare la poltrona “e” ed il 25 maggio del 1975 legge il suo discorso di ingresso alla RAE, dal titolo El sentido del progreso desde mi obra, ristampato successivamente nella raccolta di saggi SOS. Oltre ai già citati premi, nel 1993, vince il Premio Cervantes, uno dei più grandi riconoscimenti per gli scrittori in lingua spagnola e, nel 1999, il premio Nacional de Narrativa entrambi conferiti dal Ministerio de Cultura de España. Malato di cancro al colon, già dal 1998, muore a Valladolid il 12 marzo del 2010.

Camera Obscura: Orange

lunedì 27 giugno 2011

Le teste DADA di Sophie Taeuber-Arp

Maschere africane (a)
LEGAMI CON IL PRIMITIVISMO
Le teste realizzate da Sophie Teuber-Arp presentano una stilizzazione estrema nei volti. L’essenzialità dei tratti, resi attraverso la pittura o plasticamente (in tre di esse il naso è applicato), ricorda le maschere delle tribù oceaniche ed è noto l’interesse che il gruppo dada zurighese nutriva per l’arte primitiva. Basti pensare alle allusioni africane nei poemi fonetici di Hugo Ball9, alle percussioni e ai canti negri di Richard Huelsenbeck o alle maschere relizzate da Marcel Janco.Tra le teste scomparse, si segnalano in particolare la Tête à l’antenne e la Tête à la branche de perles, ornate da motivi che fanno pensare alle produzioni dei popoli oceanici e alle tribù indiane del Nord America10.
I dadaisti credevano in un’affinità particolare tra società moderna e culture primitive o tribali. Il senso di alienazione e di disagio per la situazione sociale dell’epoca, spingeva gli artisti a cercare nelle forme dell’arte primitiva un motivo d’evasione e di astrazione11. Il 24 maggio 1916 al Cabaret Voltaire va in scena la prima di uno spettacolo di danza durante il quale i ballerini indossano maschere realizzate da Janco12. Sono confezionate con materiali moderni ed occasionali come giornali e pezzi di cartone, che nella forma però si ispirano alle maschere dei popoli primitivi. L’importanza della maschera nel movimento dada acquisisce,come spesso accade all’interno di questa avanguardia, tutto il significato contrario che le si era soliti attribuire. Nella società borghese dell’epoca, la maschera rappresentava la facciata dietro la quale celarsi, in un comodo rifugio di convenzioni sociali.

NIC ALUF, Derrière sa tête Dada, 1920
Janco, Masque, 1919
I dadaisti invece, in particolare Ball, credevano nelle possibilità della maschera fisica come la sola in grado di liberare l’uomo dalla sua maschera psichica, ormai compromessa dalle convenzioni sociali13. Questa dualità, tra maschera fisica e maschera psichica, si ravvisa anche nelle fotografie che Sophie Taeuber-Arp si fa scattare nel 1920 da Nic Aluf. In una di queste14, l’artista si fa ritrarre con la scultura Tête DADA del 1920. L’opera è in primo piano ed occupa quasi tutto il campo visivo lasciando in secondo piano e parzialmente nascosto il volto di Sophie Taeuber-Arp. L’artista indossa un cappello con elegante velo ricamato nero. Anche se occupano due piani diversi, il cappello di Sophie e l’apice della Tête DADA si allineano alludendo così alla funzione originaria della scultura: quella di porte-chapeux. Questo doppio ritratto assume significati importanti: innanzitutto stabilisce un legame primario con quest’opera, la quale come già accennato, è l’unica a riportare la firma e la parola DADA. Inoltre appare evidente che la Tête agisce allo stesso tempo da riparo e completamento: è l’artista che gioca a mascherarsi e smascherarsi in perfetta sintonia con il carattere ironico del movimento dada15.


Sun Cutter: Markus Kayser







The Sun Cutter Project explores the potential of harnessing sunlight directly to produce objects. The machine is a low-tech, low energy version of a laser cutter. It uses pure sunlight,
focused by a ball lens, to repeatedly cut programmed shapes in up to 0.4mm thick plywood as well as paper and card.
The project also explores the merit of analogue mechanized production that draws on the machine technology found in pre-digital machinery and automaton. It uses a cam system, moving an X & Y- board to control the shape of the cut. The cams are set into synchronized motion by a small solar-powered motor driving a timing belt.
Each pair of sunglasses made, even though very similar in shape, is still unique, creating a juxtaposition between the machine-made, repetitive and individual, unique object.

SIAM MAIS (quello che resta...)

I am free
To give my heart freely
With no string attached
To roam, to hurt
To be devastated as I so wish
To be ravished by freedom
My youth
So bound do I knock against her cages
If she holds lock and key

I am free
To give you my heart
This notion suits me, bears weight
What is false and old is no ours to hold
We have never possessed anything true in our whole lives, except maybe each other

I see myself in you and that is a dangerous thing
But is this friendship alive?
Does it breathe when no one is listening?
Does it know when I am sleeping?

Stories can be retold
Until they are polished smooth
I give my heart to you in this story
Because my heart has no end
Billy Corgan, SIAM MAIS (Breaking with Fists, 2004)

domenica 26 giugno 2011

Lucio Urtubia et le travail. Caminante no hay camino

Avec ma pensée et mes pieds vers le ciel



Si l'on m'apprenait que la fin du monde est pour demain, je planterais quand même un pommier.


Martin Luther

Street Art: Penso al giorno in cui i cavalli hanno imparato a piangere

SHO KMAN? Et quoi encore?

Le 4 avril 2011, Juliano Mer Khamis, metteur en scène de théâtre et de cinéma, acteur, fondateur et directeur du Freedom theatre à Jénine, a été assassiné. Stupeur et consternation ont laissé place à la tristesse. Mais Les Amis du Théatre de la Liberté de Jénine n’ont pas renoncé à soutenir les jeunes du camp qui ont réussi à conquérir leur dignité par le travail de réappropriation de leur voix grâce à l’oeuvre de Juliano.
En son hommage, Les Amis du Theâtre de la Liberté de Jénine ont le plaisir de vous annoncer l’arrivée d’une troupe de jeunes du Freedom Theatre dans le cadre des 23èmes Rencontres du Jeune Théâtre Européen à Grenoble et d’une tournée théâtrale dans différentes villes françaises.




EN TOURNEE EN FRANCE
Du 28 juin au 15 juillet 2011
Présente
« Sho kman? » = « Et quoi encore ? »
La nouvelle création artistique mise en scène par
Nabeel Al Raee
Avoir 20 ans en Palestine…



La réalité palestinienne vue à travers les yeux de ceux qui ont grandi pendant la deuxième Intifada, jouée et créée par une troupe de jeunes de l'Acting School du Freedom Theatre du camp de réfugiés et de la ville de Jénine. C’est un spectacle basé sur l’expression corporelle, un spectacle avare de mots, qui présente des personnages et des situations de la vie quotidienne et de l’histoire de la Palestine. Renseignements, réservations pour l’ile de France : 06 78 45 73 77 E-mail : theatrejenine@yahoo.fr Site internet : http//www.atljenine.net




COMMUNIQUE DE PRESSE
Ils ont connu l’invasion du camp de réfugiés de Jénine (avril 2002), ils vivent dans des conditions misérables, discriminatoires, confinés dans leur maison, dans leur peur, malgré cela, ce sont des jeunes intelligents et drôles qui trouvent dans le théâtre l’opportunité d’approfondir et d’exprimer leurs pensées.
C’est avec beaucoup d’émotion que l’association ATL Jenine vous présente cette oeuvre. C’est aussi l’occasion de présenter le « Freedom Théâtre » et son école qui
 permet aux jeunes de Jénine d’accéder à des activités culturelles et même, pour certains, de devenir acteur, technicien du spectacle ou pédagogue,
 offre ainsi un moyen de résistance non violente à l’occupation, permettant aux jeunes d’exister en tant qu’individus, en tant que peuple et en tant qu’entité culturelle.
Spectacle parrainé par :
Etel ADNAN, écrivaine, auteure du récit « Jennine »
Etienne BALIBAR, professeur émérite à l’Université de Paris X Nanterre, membre du conseil d’administration de la fondation « Freedom Theatre »
Janine EUVRARD, critique de cinéma, organisatrice du festival « Moyen-Orient : que peut le cinéma ? »
Mohamed KACIMI, écrivain, dramaturge
François MARTHOURET, acteur, comédien
Edgar MORIN, sociologue et philosophe
Elias SANBAR, historien et essayiste, observateur permanent de la Palestine auprès de l’UNESCO
Didier SANDRE, comédien, acteur
Abraham SEGAL, réalisateur
Et le soutien de :
Peter BROOK, metteur en scène, directeur du théâtre « Les Bouffes du Nord »
La tournée En Ile de France
 Aubervilliers : le 28 juin à l'Espace Renaudie, 30 rue Lopez et Jules Martin (métro Fort d’Aubervilliers) ouverture à 19h 30, spectacle à 20 heures, (entrée 10 €, tarif réduit 5 €)
 Paris 3ème : le 30 juin, Salle Eugène Le Hénaff (bourse du travail) 29, boulevard du Temple (métro République ou Oberkampf) ouverture à 19h 30, spectacle à 20 heures, (entrée 10 €, tarif réduit 5 €)
 Paris 20ème : le 12 juillet au Studio de l'Ermitage, 8 rue de l’Ermitage (métro Jourdain/Ménilmontant) Soirée-débat en hommage à Juliano Mer Khamis organisée avec la Société des Amis d’AL-ROWWAD en présence de deux troupes palestiniennes (Freedom Theatre et Al-Rowwad), de personnalités du milieu du théâtre et des amis de Juliano sur le thème de « la puissance de la culture contre la culture de puissance » (Edouard Saïd) à partir de 19h 30 (participation 5 €) En région Rhône-Alpes
 Grenoble : aux 23èmes Rencontres du Jeune Théâtre Européen du 1er au 10 juillet 2011 Samedi 2 juillet à 20h30 au Théâtre 145
 Chambéry : le 11 juillet salle Jean Renoir, 30 rue Nicolas Parent - 20 heures, entrée libre En région Basse Normandie
 Lion sur Mer : le 14 juillet
 Blainville sur Orne : le 15 juillet en soirée Espace Paul Eluard
Renseignements, réservations pour l’ile de France : 06 78 45 73 77
E-mail : theatrejenine@yahoo.fr Site internet http//www.atljenine.net

Camera Obscura: Excelsa filia Sion

sabato 25 giugno 2011

Hans Richter e Viking Eggeling

dada kopf, 1918
dada kopf, 1918

"A 14 anni disegnavo il mio compagno di banco Pagel così come era, nei suoi minimi particolari".1

Hans Richter nasce a Berlino nel 1888, dopo studi accademici di pittura a Berlino e a Weimar, fa una conoscenza approfondita del movimento espressionista attraverso lo Sturm di Herwarth Walden, la Aktion di Pfemfert e i circoli letterati e di artisti del vecchio "Caffè dell'ovest".Nel 1913 ha modo di conoscere le moderni correnti pittoriche al Primo salone tedesco di autunno, alla cui organizzazione, oltre che Walden, aveva lavorato anche il giovane Hans Arp. Richter, qui, ascoltò Marinetti, distribuì volantini futuristi, affrontò il problema del cubismo e, nel 1914, entrò a far parte, in qualità' di collaboratore del circolo rivoluzionario intorno alla Aktion di Pfempfert.
Nel 1916 congedato perché ferito, giunse a Zurigo e qui rivide Arp capitando subito al centro del Dada alle cui iniziative prese parte nel modo più attivo ed entusiasta. Frattanto porta avanti i suoi progetti personali nel 1917 - 1918 con una vasta serie di Ritratti visionari , di un colorismo violento i quali risentendo dell'influsso di Jewlensky, nacquero come libere improvvisazioni e giochi di toni di colore quasi in stato di trance. Ma già l'anno seguente si manifestarono in lui i primi dubbi se non fosse opportuno ricondurre entro un teoria ordinata queste improvvisazioni libere, i lavori condotti con il caso, con l'automatismo e con la spontaneità genuina.

"Sono incerto fra il caso e la coscienza, tra l'improvvisazione e l'ordine superiore. Astratto? Certamente, ma in che modo? Come amministrare con buon senso questa ricchezza?"

In quel tempo Richter fece conoscenza con Ferruccio Busoni e, sollecitato dai colloqui avuti con lui, tentò di applicare le regole del contrappunto musicale agli elementi della pittura.2

Nuovo Palazzo del cinema di Venezia




Nel 2011 Venezia avrà il suo nuovo palazzo del cinema, che al suo completamento avrà l'onore e l'onere di ospitare le future edizioni della Mostra d'arte cinematografica. Un palazzo che sorge specularmente a quello che finora ha ospitato le proiezioni ufficiali di film, alla destra del casinò e che si inserisce in un progetto di ampio respiro dal valore complessivo di 77 milioni di euro, di cui 20 finanziati dal governo.

ll concorso, vinto dal team 5+1AA, presenta un dualismo di fondo. Da una parte l'’esigenza di visibilità ed espressività internazionale e dall’'altra il rispetto della straordinaria ricchezza locale del sistema Venezia-Lido.La risposta a questo dualismo è data dall'’affermazione convinta che sia uno scandalo distruggere il verde del Lido e pensare di competere a livello architettonico-espressivo con il Casinò e con il Palazzo del Cinema. Venezia non è una città sottosviluppata.

Non ha bisogno di violenza e prevaricazione formale. Così il tema del realismo magico si afferma come soluzione espressiva dell'’esterno, dove la materialità opaca e terrosa della sala si compone con la ricchezza iconica del verde della Piazza del Cinema e del Giardino del Cinema, e dei due edifici del novecento italiano. Dall'’altra parte l’interrato è sensuale, lussuoso nei suoi spazi: utilizza l’immagine dell’ala della libellula, nella vetrata della Grande Sala sul parco, i materiali e le immagini del mondo del Cinema, oro, velluto, pelle, nel Foyer, nella Passerella, nel Mercato del Cinema, nel Bar.

La sala è il perno di una composizione urbana che integra piazza e mare, giardino e natura, Casinò e nuovo Palazzo del Cinema. Affossata nel terreno così da non entrare in conflitto con la scala del minuto tessuto urbano del Lido, la grande sala è vetrata sul lato del giardino. La struttura longitudinale è lunga circa novanta metri, ben visibile, rivestita di un sistema composito di resina e materiali naturali color terra, e rende l’architettura metafisica, senza scala ed enigmatica, come il luogo preciso in cui si trova.

E’ la vetrata della grande sala a rappresentarne la transizione con il mondo esterno e con il giardino in particolare. La vetrata è anche momento di riflessione sul tema del vetro: tema di sintesi tra Venezia, l’'architettura moderna e la pellicola cinematografica.

Il mercato del cinema, le sale piccole e le altre funzioni ricettive e distributive si compattano a comporre un solo sistema architettonico ipogeo, ottimale dal punto di vista del risparmio di territorio urbano e del funzionamento delle attività attraverso l’orizzontalità, che appartiene sia all’esterno del luoghi che all’interno degli spazi. Nell’insieme questo spazio è un articolato teatro-sequenza di luoghi ipogei di grande suggestione spaziale. Sono contenute le idee di cinema, di festa, di sensualità, di percorso, di scoperta, di avvenimento urbano.

Il tutto avviene con semplicità e flessibilità, capaci insieme di produrre quella complessità che, come spiegò Federico Fellini, con poco rende stupefacenti sia il cinema che la città.Il “realismo magico” appunto. Alla fine, come il mare, lo spettacolo si ripeterà, ogni anno uguale ma differente.

Parce qu'on ne sait jamais de quelle surprise est fait l'autre

venerdì 24 giugno 2011

Street Art: Le non, le peut être, surtout le oui.


Linotype (never dies): the Film



Linotype: The Film is a feature-length documentary film centered around the Linotype typecasting machine invented by Ottmar Mergenthaler in 1886. Called the "Eighth Wonder of the World" by Thomas Edison, the Linotype revolutionized printing and society, but very few people know about the inventor or his fascinating machine. The Linotype completely transformed the communication of information similarly to how the internet is now changing communication again. Although these machines were revolutionary, technology began to supersede the Linotype and they were scrapped and melted-down by the thousands. Today, very few machines are still in existence. The highly-skilled operators of the Linotype are in a battle against time. If their skills are not passed along to a new generation of operators, the machine will die completely. There is a small group of former operators that want to save the Linotype from the scrap yard, but some see this as a fruitless endeavor to slow down progress.
This film is about a machine from the past, but that does not mean this is a sentimental fact-film lamenting the loss of a technology. We are compelled to dig deeper, and find what the Linotype has to say about the present and future. Production started in August of 2010 and it will be released late fall, 2011.

  * Linotype: The Film Official Trailer The Making of a Promotional Poster

 web site

take a picture of a picture from the past in the present. Dear Photo


Dear Photograph, Me and my first bike. The bike I have now goes a little bit faster. @bizaaron

Dear Photograph, Dad never took a picture of me, ever. Then I noticed his reflection in the glass.
Happy Father’s Day, Dad. Anonymous
Dear Photograph, Grandma loved this beach. Dan Perry

Dear Photograph, Now I’m wondering where my cool Mickey Mouse hat is at…@mithical

looking for submissions : dearphotograph@gmail.com
Please email us your photos
dearphotograph.com/

On ne sait jamais d'avance ce que l'on sera quand on se trouvera

" Toute lecture qui cherche à comprendre n'est qu'un pas sur un chemin qui ne trouve jamais de terme. Quiconque s'engage sur ce chemin sait qu'il ne viendra jamais " à bout " de son texte ; il en reçoit le coup. Quand un texte poétique l’a touché à ce point qu'il finit par " entrer " en lui et s'y reconnaître, cela ne suppose ni l'accord ni la confirmation de soi. On s'abandonne, pour se trouver. Je ne me crois pas si éloigné de Derrida, quand je souligne qu'on ne sait jamais d'avance ce que l'on sera quand on se trouvera. "
Hans Georg Gadamer
La réponse
Jacques Derrida : " Comme il avait raison ! Mon Cicérone Hans Georg Gadamer ",
Frankfurter Allgemeine Zeitung, 23 mars 2002.
 
Les textes prononcés par Derrida et Gadamer le 25 avril 1981 ont été publiés dans la Revue internationale de philosophie n° 151, 1984, p. 333-347.

giovedì 23 giugno 2011

Camera Obscura: Hymenoptera

DANIEL KORNRUMPF

L'epoca degli arazzi non è ancora finita. L'ordito e la trama s'incrociano creando immagini di gran impatto pittorico e naturalistico.



EDUCATION
2007 MFA, Pennsylvania Academy of the Fine Arts, Philadelphia, PA
2005 BFA, Kutztown University, Kutztown, PA
PROFESSIONAL EXPERIENCE
2007-CURRENT Adjunct Professor, Newbury College, Brookline, MA
2010-CURRENT Adjunct Professor, Mount Ida College, Newton, MA
2009-2010 Curatorial Intern, Fuller Craft Museum, Brockton, MA

SELECTED EXHIBITIONS
2011 In Portrait, BLANK SPACE, New York, NY
2011 Construct, Icebox Gallery, Philadelphia, PA
2011 30 under 30, Gallery 263, Cambridge, MA
2011 Moore College of Art and Design, Philadelphia, PA
2010 Home Grown, DeCordova Museum, Lincoln, MA
2010 Meeting at the Surface, Newbury College Gallery, Brookline, MA
2010 Red, Kathryn Schultz Gallery, Cambridge, MA
2009/2010 Maxwell Mays Gallery, Providence, RI
2009 Bromfield Gallery, Boston, MA
2009 Repaint, Gallery 263, Cambridge, MA
2009 New Stuff, SchmidtDean Gallery, Philadelphia, PA
2009 New England Prize Show, University Gallery, Cambridge, MA
2009 21c Museum, Louisville, KY
2007 Honeymilk, Philadelphia, PA
2007 Philadelphia Sketch Club, Philadelphia, PA
2006 Pure Gallery, Harrisburg, PA
2005 Emerging Visions, YorkArts Gallery, York, PA
2005 Bear’s Den Gallery, Kutztown, PA
2005 Eyecandy Gallery, Kutztown, PA
AWARDS and HONORS
2011-2013 Fellowship, Center for Emerging Visual Artists, Philadelphia, PA
2009 Juror’s Choice Award, Cambridge Art Association, Cambridge, MA
2005 Best in Show, YorkArts Gallery, York, PA
2005 Karen L. Anderson Memorial Award, Kutztown University, Kutztown, PA

ARTICLES and REVIEWS
2009 Review of Schmidt Dean Exhibition, The Philadelphia Inquirer, Sunday. July 26 2009
2009 Artblog, Roberta Fallon, “Schmidt Dean Tries Some New Stuff” July 9, 2009
2008 New American Paintings, Book #75, Mid-Atlantic Edition
2007 Artblog, Roberta Fallon, “Graduation Time” May 25, 2007

mercoledì 22 giugno 2011

arte de-sastre: The Sartorialtwist







Para tener siempre bajo control las tendencias del ultimo momento!

La Sedia Leggera di Chiavari

Wood may be thought of as a blank canvas which or with which great artistic cabinetry is formed. But, like canvas, it is not art or an object of beauty in itself.  It becomes something creative through the manipulations and skill of the artisan. Discover Segno Italiano, a network of the finest artisans, designers, supporters and enthusiasts whose common objective is the reconsideration of the value of Italian handcrafted products.  In this week’s V.O.W., Segno Italiano aims to communicate the course of the artifact’s development in an efficient and involving way, from the raw material through to finishing, while paying particular attention to the figure of the artisan.  Preserving the exact same traditional construction technique which remains unchanged the past two-hundred years, an absolute awareness of the strength and elasticity of wood, a time-consuming crafting of each element, assembly by hand, the use of cherry and beech woods, a natural maturation and woven Indian cane are just some of the successful elements that make these chairs exceptional.  The first challenge that Segno Italiano has set itself to is the chairs of Chiavari. With great insight and a little luck, Segno Italiano has been able to begin a collaboration with Adriano Podestà, one of the last supreme artisans of the Chiavari chair.
 For most, the smell of wood, the skilled artisan and the craft itself is something that goes unappreciated, for me, the wonderful aroma of wood still flashes in my nostrils; it touched my heart, this wonderful childhood memory.  Hopefully, Segno Italiano will help us consider more carefully the true essence of this craft, its masters, and the ‘journey’ of a piece of furniture, which has been lost in the fast-pacing industrialized world.

FREE-JAIL typography



Instalacion tipografica..... libertad entre las rejas! by Sean Martindale. via rebel art

Le teste DADA di Sophie Taeuber-Arp

Sophie Taeuber-Arp
Introduzione
Sophie Taeuber-Arp si inserisce nel contesto del Dada zurighese nel 1915, quando visitando una mostra alla galleria Tanner1, conosce Hans Arp, suo futuro marito. I due cominciano a collaborare e dalla reciproca influenza e sperimentazione artistica derivano opere realizzate di concerto come il Duo-collage o la Composition verticale-horizontale à éléments d’objets, Calice o Coupe dada2. Queste ultime due riproducono in forma stilizzata oggetti di uso comune (evocati dal titolo stesso) e, per il materiale e la tecnica di lavorazione, si apparentano senza dubbio con le Têtes realizzate dal 1918 al 19203. Analogamente alle opere realizzate in collaborazione con Hans Arp, le otto Têtes presentano lo stesso sviluppo verticale a partire da una base di sostegno. Le Têtes constano di tre parti: una base, uno stelo o gambo di sostengo ed in cima una forma di pera rovesciata che costituisce la testa vera e propria. La decorazione pittorica con forme geometriche e motivi stilizzati le differenzia dalle opere precedenti.


Hans Arp and Sophie Taeuber
Duo-Collage, 1918

Purtroppo oggi delle otto Têtes confezionate dall’artista ne restano soltanto quattro di cui due conservate al Centre George Pompidou di Parigi, una in una collezione privata ed una al Moma di New York. Le opere perdute si conoscono soltanto tramite riproduzioni fotografiche. Gli studiosi considerano queste opere il contributo più importante dell’artista al movimento dada. In particolare la Tête DADA del 1920 porta addirittura la firma dell’artista, “sht” (Sophie Henriette Taeuber), ma anche e soprattutto il titolo DADA scritto in spessi caratteri neri. Gabriele Mahn4 considera quest’opera una vera e propria dichiarazione di appartenenza al dadaismo, considerando che fino ad allora, per motivi professionali, Sophie Taeuber-Arp aveva preferito restare nell’anonimato5. Prima di analizzare le opere in questione, non si può trascurare di menzionare la commissione ottenuta da Sophie Taeuber-Arp nel 1918 per la realizzazione delle marionette per lo spettacolo Il Re Cervo di Carlo Gozzi. Per l’adattamento di Werner Wolff e René Morax6, Sophie confeziona diciassette marionette in legno dipinto, ottenute assemblando forme geometriche quali coni, sfere e cilindri.


Sophie Taeuber-Arp and Hans Arp
Coupe Dada, 1916


La realizzazione di questi corpi deriva anche dagli studi effettuati da Sophie presso la scuola di Rudolf von Laban, pioniere della danza moderna, che le permettono di applicare lo studio dei meccanismi e l’analisi del movimento alla rappresentazione della figura umana7. Negli anni del Cabaret Voltaire8 era forte il legame tra danza e teatro: durante gli spettacoli di danza, Sophie eseguiva le sue innovative coreografie indossando costumi “cubisti”.

Dunque le marionette, fatte di corpi geometrici, ben sintetizzano le esperienze condotte fino a quel momento dall’artista svizzera e che avrebbe trovato ancora modo di esprimersi nelle Têtes dada.

Seguono una serie di riflessioni che mettono in luce le tendenze artistiche di Sophie Taeuber- Arp ed i legami della sua opera con il movimento dada, non solo di Zurigo, ma anche di Berlino e Parigi



Conferencia: PROMETEO en la Historia del Arte

MUSEO PARA LA IDENTIDAD NACIONAL/ TEGUCIGALPA

JUNIO 2011
El Museo para la Identidad Nacional les invita a la conferencia: Prometeo en la Historia del Arte, a realizarse el Jueves 30 de este més a las 4:00pm, en el Auditorio MIN. Impartida por el Doctor en Historia del Arte: David Craven, actualmente Catedrático en la Universidad de Nuevo México, Alburquerque, Estados Unidos.


La conferencia se centra en la figura del semidiós griego Prometeo, quien creara a los hombres a partir del barro y les enseñara a usar el fuego. Por lo segundo sería castigado por Zeus, encadenándolo a una roca en el Cáucaso, donde un águila se alimentaría cada día de su hígado. La ponencia del doctor Craven recorre las formas y valores que la figura de Prometeo ha tomado, visual y discursivamente, en el arte a través de la historia. En el arte de las Américas, en particular, el tema ha sido usado para implementar una crítica a la intervención militar en las actividades sociales.

martedì 21 giugno 2011

CONFERENCIA: Kyron en el Arte de México


MUSEO PARA LA IDENTIDAD NACIONAL
TEGUCIGALPA
JUNIO2011

En el Marco de la Exhibición “ARTE CONTEMPORÁNEO MEXICANO” (Tres décadas de la estampa en México de los archivos de Kyron (1972-2004). El Museo para la Identidad Nacional les invita a la Conferencia “Kyron en el Arte de México”, a realizarse el Jueves 23 de este més a las 3:00pm, en el Auditorio MIN.
La Conferencia impartida por el maestro litógrafo Andrew Vlady se enfoca en relatar el desarrollo del arte en México durante las tres décadas en que operó el taller en el Distrito Federal ( 1972-2004) y la particular manera en que trabajó la obra con cada uno de los artistas que imprimieron en su taller. “Trabaja la litografía como su principal medio expresivo” era la recomendación de Andrew Vlady a los artistas antes de iniciar su producción en Kyron Ediciones Limitadas. La conferencia incluye imágenes de trabajo de las personalidades del arte que dejaron su huella en los talleres, entre ellos (as): Leonora Carrington, Rufino Tamayo, José Luis Cuevas, Alfredo Sosabravo, Francisco Toledo, Fernando García Ponce, por mencionar algunos. La conferencia incluye una visita guiada de la mano de Beatriz y Andrew Vlady.
La entrada es totalmente Libre e incluye conferencia y visita guiada a la Exhibición.

Forma Urbis: Le città Invisibili

Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra.
- Ma qual è la pietra che sostiene il ponte? -chiede Kublai Kan.
- Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra,-
risponde Marco, - ma dalla linea dell'arco che esse formano.
 Kublai Kan rimane silenzioso, riflettendo. Poi soggiunge: - Perché mi parli delle pietre? è solo dell'arco che m'importa.
 Polo risponde: - Senza pietre non c'è arco.
Calvino

Matisse Paysage maroccain avec cavalier, croquis de “Les Acanthes”

fig. 12
Il viaggio in Marocco sancisce una trasformazione importante nel panorama stilistico di Matisse, se prima la sua arte era all’insegna del selvaggio, del ‘fauve’, ora si assiste ad un cambiamento di registro, come se la luce avesse addolcito il mondo dei riferimenti matissiani che adesso si manifesta in quadri molto più pacati, gioiosi. L’artista inoltre acquisisce una nuova essenzialità che svilupperà negli anni della guerra. Dal 1914 al 1916, infatti, c’è una radicale rinuncia all’abbondanza compositiva, decorativa (come abbiamo visto parlando della depauperazione delle rappresentazioni floreali negli anni del conflitto mondiale) e della gamma cromatica che va sempre più avvicinandosi a quella del cubismo sintetico. Contemporaneamente si assiste ad una ricerca sulla scomposizione che, passando per i ritratti del 1913-14, giunge al suo culmine in quella che si può considerare l’opera conclusiva dei due viaggi di Matisse in Marocco: ‘Les Marocains’ (fig. 12). Eseguita nel 1916 43, a quasi tre anni dal ritorno dell’artista in Francia, esprime esattamente l’ideale di interiorizzazione e sublimazione dell’esperienza visiva attraverso il ricordo che perseguiva Matisse44. Le immagini sono ridotte ad un minimo essenziale45 che sfiora l’astrattismo. ‘Les Marocains’ è la somma di tutte le tele eseguite nel paese islamico, Matisse in questo quadro unisce il ricordo46 dell’ispirazione della luce e del colore marocchini al dialogo con il cubismo, eliminando ogni dettaglio che ritenga estraneo all’equilibrio generale della tela. È molto interessante, ad esempio, vedere come si evolve il tema della vegetazione all’interno del quadro: non vi è più alcuna traccia della rappresentazione edenica del giardino orientale, la natura è recuperabile soltanto per frammenti isolati. La composizione si sviluppa su tre livelli: in primo piano, in basso, quello che sembrerebbe un campo di zucche o meloni con grandi foglie verdi, astratta natura morta adagiata su un reticolato bianco. In alto, un balcone fiorito recintato da una ringhiera in ferro47 con dietro la famosa veduta della Casbah di Tangeri con una cupola di un marabout che troviamo riprodotta in molti disegni del 1912-13.48
fig. 11(a)
La parte destra è sicuramente la più ambigua e difficile da interpretare: c ’è una figura inginocchiata in primo piano, di spalle, con un turbante bianco in testa. In secondo piano, un cerchio in cui forse appare un altro uomo col mantello marrone, anch’egli di spalle. I personaggi sono dipinti all’interno-esterno di un edificio molto semplificato con delle finestre accennate da cui si affacciano forme geometriche indistinguibili; volendoci ricollegare alla teoria di Cowart secondo cui Matisse in Marocco disegnasse anche gli esseri umani e la loro disposizione nello spazio come se appartenenti al regno vegetale, si potrebbe riscontrare nell’edificio da cui emergono i marocchini protagonisti del quadro, un’analogia con il tronco di un albero. In questa tela, c’è un elemento che semplifica, divide e unisce le tre parti della composizione, insinuandosi fra le loro diramazioni e inondando, paradossalmente, l’opera di luce: è il colore nero49; questo pigmento, denso, dà un ritmo che bilancia e trasmette calma, evoca uno spazio tangibile quanto gli oggetti disegnati, armonizza e collega gli elementi della composizione altresì ‘sparpagliati’.
fig.11 (b)
Assistiamo dunque ad un nuovo e programmatico uso del colore nero, Matisse rinuncia in questa tela a tutto il superfluo (compreso il colore) sviluppando una ricerca per cui inizierà ad inserire porzioni di nero, spesso ‘bande nere’, come elemento unificante in molti dei suoi dipinti. Non era semplice riuscire ad usare questo colore in senso armonico e non per creare contrasti, tanto che artisti del calibro di Renoir si complimentarono con il più giovane Matisse per essere riuscito a svincolarsi dalla canonica accezione del colore nero in pittura50.
La ‘banda nera’ sottolinea, senza sovrastarli, gli elementi compositivi della produzione matissiana di questi anni. Anche questo nuovo pattern dialoga apertamente con il cubismo. Si guardi all’uso della ‘banda nera’ in opere di Matisse come ‘Pesci rossi e tavolozza’ del 1914, ‘Rideau jaune’ del 1915, ‘Nature morte d’après La desserte de David Heem’ sempre del 1915, in confronto con creazioni di Picasso come le serie di ‘chitarre’ del 1912-1914; per quanto si parli sempre di porzioni abbastanza delimitate di nero, spesso di forma rettangolare allungata, la differenza è lampante: in Matisse il nero costruisce, è parte integrante nell’armonia della composizione, al pari di tutti gli altri colori, che si tratti di una natura morta o di un’immagine astratta. In Picasso invece il nero non si unisce agli altri colori, vi si staglia per accentuare i contrasti fra i vari elementi dell’architettura dell’opera.
Tornando a ‘Les Marocains’, il modo in cui i personaggi fuoriescono dall’architettura come ‘risucchiati ’dalle cavità-finestre dell’edificio, la coralità della rappresentazione, lo sfondo nero, la forte scomposizione, possono, forse con troppo sforzo immaginativo, far pensare che Picasso abbia attinto anche a questo quadro nel comporre, quasi vent’anni più tardi, il ‘Guernica’. Attraverso gli elementi (ipotizzati) in comune, il risultato finale che le due opere presentano non può essere più diverso: da una parte, un messaggio di estrema calma ed equilibrio da parte di Matisse, dall’altra, un acuto grido di strazio, un movimento convulso e pieno di dolore, reso perfettamente da Picasso. Henri Matisse, artista eclettico e pieno di energia, lucido e recettivo fino all’ultimo momento della sua estesa carriera artistica, ebbe sempre ben chiara la sensazione che la propria opera avrebbe dovuto trasmettere per essere perfetta; ho piacere di concludere questa trattazione con le sue parole: “Sogno un’arte di equilibrio, di purezza, di tranquillità, senza soggetti inquietanti o preoccupanti. Un’arte che sia [...] un lenitivo, un calmante cerebrale, qualcosa di analogo a una buona poltrona dove riposarsi dalle fatiche fisiche”.51