Recensione
FUORDELLAVITAÉILTERMINE.Scritto così il titolo di questo straordinario romanzo di Antonio de Petro, edito nel 1981 dalla casa editrice Città Armoniosa, dà già un primo sentore di cosa ci aspetta.
Se la musa è manzoniana, non lo è lo stile, né l’accadimento, che non è di quelli che “vanno sempre a finire bene”. Ma, forse, non è proprio così, se ci sono ancora cuori vivi che sapranno fondersi perché ci sia una giustizia sulla terra.
La storia è quella di un imprenditore bresciano, originario della Lucania, che torna nella sua terra per darsi ragione dell’atroce morte della moglie. Il tempo però si accanì con lui e al Sud trovò un mondo morente non solo a causa del tragico terremoto, così pur “avendo fretta di risolvere i suoi problemi, si trovò ad affrontare quelli altrui, quelli nostri”.
A questo punto conviene, per vostro agio di lettori, che vi venga riportato quanto disse l’editore, un pomeriggio d’aprile del 1993, a un gruppi di ragazzi un po’ frastornati davanti a un testo inconsueto. Questo scrittore cerca di parlare ai giovani e non ai critici letterari o agli esperti di letteratura; i suoi testi sono pensati per le nuove generazioni e quindi De Petro abbandona il modo del romanzo tradizionale. Si preoccupa di parlare in modo educativo, cercando di condurre dentro e perciò rendendo ineliminabile la fatica al lettore.
Non è una scrittura d’evasione, è, anzi, piuttosto difficile, ma, ogni tanto, ci sono dei punti di pausa più semplici, in modo che uno sia invogliato a entrare nel difficile. Ricordate che come uno scrive è anche il modo con cui guarda la realtà. Perciò, anche titolo, sottotitolo, forma, struttura, dicono questo. Quest’opera, fatta come un breviario, ha tutta una parte che pare una digressione, segue poi una tradizione che affronta i temi del cuore dell’uomo.
Una tradizione che viene ironizzata, mai disprezzata, portata al paradosso perché sia più chiara l’apparenza e la verità delle cose”.
In un breviario ci sono i tempi della giornata scanditi dalla preghiera (Cosèlapreghiera? E’ riflettere di fronte al proprio destino. E, siccome il destino è diventato un uomo, si può anche dargli del tu) e, in questo ordine del tempo entrano i personaggi, si intrufola la regia a guidarci per non smarrirci, si va e si viene attraverso incontri imprevisti, rapporti avuti altrove, irruzione di uomini che, incontrando il Pasquale, divennero più uomini, fatti accaduti in luoghi diversi, perfino in romanzi diversi.
Come finisce questo libro? Con un dialogo con chi lo sa leggere. De Petro scrive per il suo lettore, costringendolo a soffermarsi nella lettura, cercando di conoscere la vita più a fondo, facendo fare quella fatica che è necessaria per farsi domande. Se sarete nel numero di quei suoi venticinque lettori (riecco, dopo il titolo, la musa manzoniana), forse, dovrete leggere e rileggere, tornare indietro, spingervi un po’ in avanti prima di capire, lasciarsi guidare e interrogare dalle chiose in apertura dei salmi.
“Pasquale, per molti, qui, sei stato il primo maestro. Ma la tua è anch’essa una luce da niente, se i cuori sono di pietra. Che giustizia vuoi che ci sia sulla terra, se Dio è morto nei cuori?”.
In questo libro i personaggi sono come persone e vanno trattati come le persone, soffermatevi perciò sul monologo durante la cena, la confessione, gli appunti della predica di don Sandro al matrimonio, la telefonata….senza tralasciar il passaggio di Filippo.
T.B.
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