Ci informano i critici che, nell'uomo allo specchio, il pittore belga dipinge "l'istante esemplare", quello in cui, non trovando corrispondenza in nessuno sguardo e "rifiutando il tradizionalismo nella rappresentazione del reale", si scontra con lo sgomento dell'uomo cui è vietato conoscersi. Giusta riflessione, senza dubbio, ma io, a esser sincera, avverto prima di tutto un incauto sorriso in quest'opera che, in fondo, solo rappresenta due "gemelli" colti alle spalle e separati da uno specchio.
La luce del quadro viene da fuori scena: è una luce adolescente quella che rischiara la borghese perfezione della nuca di Edward James, il poeta che amava il Messico. Però non si ferma a giocare con lui, solo gli restituisce l'ombra. E poi va a posarsi sull'altro Edward James, il "giovane senz'ombra" che conosce il piacere e la ribellione. Quest'atmosfera nitidissima ci mette in guardia dall'assurdo "che conduce alla molteplicità nella pura indifferenza", come dice Levinas. E ricorda molto Gogol, con gli occhi che brillano di eterna freschezza, il linguaggio scelto da Magritte per lasciarci un segno nell'universo enigmatico.
Il dipinto di Magritte ammette, con molta freschezza, un limite: l'impossibilità di rappresentare il volto tanto dell'uomo vecchio come dell'uomo nuovo che cova in noi fin dalla nascita. Un atto di umiltà. D'altra parte, a rappresentare l'uomo vecchio e il nuovo c'era già riuscito e molto bene il profeta Abacuc, anche se, bisogna ammetterlo, non è uno scrittore fra i più letti.
Il linguaggio di Magritte è ipermoderno, perchè ci fa scontrare con una sorpresa un po' banale. Ma ha il grande merito di non porre, al di là dello specchio, un mondo fantastico o un simbolo inquietante: semplicemente ridipinge un giovane che, se lo guardiamo bene, grazie alla prospettiva, è più gentile e delicato del primo. Con lui, potremmo scambiare due chiacchiere, farci una foto e poi lasciarlo partire per Xilitla, in compagnia di sorella dimenticanza.