sabato 24 agosto 2013

La città, paura e desiderio: la Scarzuola

Gioco postmoderno della fantasia, bizzarria dell’architettura o cittadella, accortamente studiata e disegnata, impregnata di simbolismo? Progettata da Tomaso Buzzi (1900-1981), tra i maggiori architetti italiani del Novecento, seminascosta, protetta dal verde e dagli sguardi indiscreti. La Scarzuola, si configura attraverso un percorso che nasce dalle rovine e, per volontà dell’autore, non accenna mai a concludersi definitivamente, lasciando sempre spazio per nuovi innesti e intendimenti. Si è condotti in un viaggio interiore, conoscitivo, di cui vengono continuamente date, sotto forma di costruzioni apparentemente illogiche e paradossali, significative coordinate. Così, una volta entrati, se ne uscirà non solo suggestionati ma decisamente mutati, un po’come Polifilo, il protagonista dell’opera rinascimentale di Francesco Colonna che ha ispirato la costruzione di Buzzi, al termine dell’ onirico itinerario alla ricerca dell’amata Polia.
Visitiamola, dunque.



La cittadella buzziana è stata concepita nelle immediate adiacenze di un convento duecentesco fondato da San Francesco. Qui, infatti, secondo la tradizione, sembra che il santo abbia soggiornato nel 1218 in una capanna di paglia intrecciata (scarza da cui Scarzuola). La tradizione vuole che vi abbia fatto scaturire una sorgente d'acqua, piantato un lauro dalle foglie particolarmente odorose e udito parlare un'effige lignea di Cristo. La chiesetta Sancte Marie loci fratrum minorum de Scarciola, costituita, in origine, da una semplice aula rettangolare coperta da una volta a botte leggermente acuta, appartiene all’antico insediamento francescano. Passò dagli osservanti ai riformati sino alla chiusura definitiva e alla vendita, nel 1957, al privato. La sua struttura è stata, nel corso dei lavori di ristrutturazione, profondamente modificata. Demolita una finta abside, è stata rimessa in vista l’originaria parete di fondo della chiesa, ad andamento rettilineo. A destra di una finestra rettangolare è tornata alla luce l’immagine di Francesco in ginocchio, sospeso nel vuoto, come in levitazione, con le mani giunte e addosso un saio grigio (con qualche striatura marrone in origine), dal vistoso cappuccio a punta, da cui fuoriescono i piedi (il destro appena visibile ma abilmente scorciato) segnati dalle stimmate. Non si vede la ferita al costato ma non è possibile dire se ciò sia dovuto ad un’omissione volontaria o al fatto che è coperta dalle maniche del saio. Si tratta di un’inedita raffigurazione del santo. La testa del Serafico, circondata da una grossa aureola gialla e liscia, bordata di rosso, è definita con pochi, efficaci tratti. Si vedono con chiarezza la tonsura, il mento tondeggiante con un pallido accenno di barba, l’orecchio ‘ad anello’, il naso piuttosto grande e la bocca piccola e serrata. Lo sguardo è indirizzato verso la parte alta della volta.
E ora addentriamoci nel sogno vero e proprio del Buzzi ispirato, come detto, alla Hypnerotomachia Poliphili, Battaglia d’amore in sogno di Polifilo, singolare lavoro, in volgare, stampato in folio (cioè con fogli piegati ciascuno una sola volta) a Venezia nel 1499 dalla tipografia di Aldo Manuzio e attribuito a un certo Francesco Colonna sulla cui vera identità è ancora in corso un acceso dibattito, e iniziato nel 1956 subito dopo l’acquisto da parte dell’architetto del convento francescano e dei terreni circostanti. Dal giardino del convento, attraverso un pergolato, si accede, dopo il Ninfeo del Tempo con leone e clessidra e la fonte del giardino segreto, al Teatrum Mundi, un anfiteatro, delimitato a sinistra dal teatro dell’arnia e a destra dall’acropoli, con un palcoscenico, al cui centro campeggia l’occhio di Atteone, che si apre su una vallata sottostante.

Un Pegaso alato invita il visitatore a discendere, costeggiando la torre dell’angelo custode e del tempo, iltempio della Madre Terra, fino ad una balena di pietra che evoca il mito di Giona. Un vialetto circondato da muri con lesene ci porta successivamente alla torre della meditazione e della solitudine. Da qui, risalendo lungo la scala della vita, alla cui sommità domina il motto Amor vincit omnia, si giunge al tempietto esagonale dedicato a Flora e Pomona e al teatro delle acque, dalla sagoma a farfalla.
Costeggiando gli erti gradoni dell’organo arboreo si entra nel tempio di Apollo, con al centro un cipresso (un chiaro riferimento al mito di Ciparisso) colpito da un fulmine. Un portale con ruderi di colonne immette, poi, alla torre di Babele con l’elicoidale scala musicale delle sette ottave predisposta in modo tale da far emettere una nota ad ogni gradino. Accanto, la Ianua Coeli immette ad uno spazio in cui vengono riprodotte, in piccolo, opere architettoniche dell’antichità come il Partenone, il Colosseo, ilPantheon, il tempio di Vesta, la torre dei venti, la torre dell’orologio di Mantova, una piramide di vetro, l’arco di Tito.

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