lunedì 31 maggio 2010

Davanti alla cacciata di Adamo ed Eva, Cappella Brancacci, Santa Maria del Carmine, Firenze

Se fossimo abituati a parlare tra noi da uomini e ad ascoltare senza quella ingenuità pressappochista per cui si deve essere tutti fratelli e tutti buoni, (in nome di cosa poi?), davanti all’affresco del Masaccio resteremmo pietrificati. Quella faccia di donna contratta da un dolore cosciente, ci dovrebbe ricordare che una volta fuori da quel paradiso dove si dice ci fosse un padre, ( e allora si, forse, avremmo potuto essere fratelli) la vita è un assurdo, e che da quel grido di donna in poi, la vita è sempre rimasta così.
Infondo non ho chiesto io di venire al mondo, eppure il male mi avvolge. Nei momenti di lucidità, posso solo affrontare il non senso per cui il male (e quello più evidente è quello della mia propria morte o, ancora di più, del finire della persona che amo) è la più evidente contraddizione all’esistenza di un bene.
Ma ecco, mentre passeggiavo nella Cappella Brancacci, ho notato due uomini di fianco a me. Il più anziano diceva al più giovane che Eva nell’affresco sembra gridare. Diceva poi quel uomo all’amico, che quel grido è la domanda umana di un senso, davanti al male reale dell’esistenza. L’uomo tuttavia parlava piano e non ho ritenuto che qualche frase. Diceva che se l’uomo avverte il male, è perché capisce che così non dovrebbe essere, quasi si ricordasse di essere fatto per un bene. Allora questa domanda fa si che quella mancanza di senso non diventi disperazione, perché almeno si può gridare, mi sembra disse l’uomo allontanandosi, quasi volesse rispondere a me, che non avevo aperto bocca.

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