Nous tous préférons oublier la réalité. Cela est témoigné par les films que nous regardons, par les livres que nous lisons, par les chansons que nous écoutons, par l’ensemble d’une culture aliénante. Si quelqu’un par désir de justice et par amour de la vérité, nous obligeait à regarder en face la réalité, elle ne ferait que nous crier au visage : «Non, je ne te sauverai pas».
C’est sans doute pour cela que des auteurs tels que Maxence Van Der Meersch ont été oubliés.
Nous avons lu Quand le sirènes se taisent, roman qui raconte des grèves des ouvriers en 1933, dans le nord de la France. Ce livre, comme tous les autres de Van Der Meersch, n’est pas facile à trouver, il se cache et peut-être -qui sait !- un jour Daseyn pourrait en promouvoir la publication en langue étrangère. Mais aujourd’hui nous voudrions simplement rappeler l’humanité qui peuple ses pages. Une fois entamée la lecture de ce livre, nous avons dû oublier notre vision télévisée de la souffrance, de la joie, de la vie et de la mort.
Laure et Jacques, les deux jeunes qui s’aiment sans calculer les conséquences de l’affection, leur enfant qui pousse dans le ventre de Laure, tandis que Jacques se fait tuer par la foule déchaînée. Le vieux ouvrier Fidèle qui meurt tué par ses compagnons, flagellé et persiflé car il cherchait à rentrer à son travail, à sa dignité, à sa tâche. Fidèle qui meurt tout seul, ainsi que le fait la fidélité dans le cœur de l’homme. Et puis sa femme, qui, en voyant qu’il ne rentre pas, deviens folle et s’éteint. Le petit orphelin Popol, fils de la rue, fils de personne, qui reçoit comme don un papa et une maman qui ne lui ont pas été confiés par le sang mais par la grâce. Le petit Popol, qui meurt en courant après son Nounours, qui, avec ses yeux de verre semble avoir «vraiment cherché pour quelles fins incompréhensibles le maître impitoyable des destinées humaines avait pu avoir besoin de l’holocauste de Popol…»
Le chemin d’un ouvrier le long d’une route enneigée, le chemin d’un homme qui n’a plus que ses pieds ensanglantés pour marcher, sa faim pour le faire tenir debout et la certitude de l’amour de sa femme pour le guider. Cet amour trahi, cette femme prostituée. Les deux amis, des deux côtés opposés : le gardian et l’ouvrier. Les deux amis qui dans les moments les plus difficiles s’étaient toujours secourus l’un l’autre, et qui se retrouvent séparés par une violence et par une injustice sans visage, qui leur arrache leur humanité et la jette en pâture à leur instinct. Et Jean Denoots l’industriel, tué lui aussi par la nature pourrie de l’homme, écrasé lui aussi comme ses ouvriers, par la loi du marché, par le dieu argent.
Et puis à la fin, semblable au silence dans une mer de fracas, le cri d’une jeune mère, dont l’enfant meurt de faim dans son ventre. « Pitié ! » crié deux fois, à la fenêtre, contre le vent. Et voici que les sirènes qui appellent les hommes et les femmes à l’usine, sonnent à nouveau. C’est le silence d’une paix que personne ne pourra plus détruire, une paix qui est le fruit de ce cri.
La même réalité, précisément la même, les mêmes hommes et les mêmes femmes, précisément les mêmes, sont transformés par ce cri. Les choses anciennes se font nouvelles, grâce à cette demande criée, presque réclamée : « Pitié ». Personne ne pourra oublier le mal, l’humiliation, la faim, la mort, la dignité piétinée. La réalité qui criait jadis « Non, je te sauverai pas », après le cri de la femme, de la mère, susurre doucement à ses oreilles : «Oui, je t’ai déjà sauvée». L’humanité est grande lorsqu’elle reconnait sa misère. L’ami est alors capable de pardonner et d’aimer le destin de l’autre plus que son propre projet de bonheur, la mère, épuisée, est encore capable de déchirer sa chair pour mettre au monde un nouvel homme, les morts existent encore, unis aux intelligences vivantes.
« Le geste de jeunesse de Pierre, son refus de porter les armes et d’apprendre à tuer autrui, n’avait pas été inutile, pas plus que le pardon de Richard, pas plus que la passion d’un Autre, vingt siècles auparavant. C’est ainsi que l’humanité monte vers son destin. Egoïste, bornée, cruelle, elle reste capable encore de rédemption, puisque des êtres, en elle, savent souffrir pour un idéal, aimer la femme et l’enfant jusqu’à l’oubli d’eux-mêmes, et vaincre, au fond de leur cœur, la haine, pour faire le bien, sans espoir de récompense, à ceux qui les ont frappés. »
Quando le sirene tacciono, Maxence Van Der Meersch
Tutti noi preferiamo dimenticare la realtà. Lo testimoniano i films che guardiamo, i libri che leggiamo, le canzoni che ascoltiamo, tutta una cultura estraniante. Se qualcuno, per ansia di giustizia e per amor del vero, ci obligasse a guardare in faccia la raltà essa ci griderebbe soltanto : “No, non ti salvero’”.
Ed é forse per questo che autori come Maxence Van Der Meersch sono stati dimenticati.
Abbiamo letto “Quando le sirene tacciono”, romanzo che racconta degli scioperi operai del 1933 nel nord della Francia. Questo libro, come quasi tutti quelli di Van Der Meersch é difficile da trovare, si nasconde, e forse, chissà, un giorno DaSeyn potrebbe promuoverne la pubblicazione in lingua straniera. Ma oggi, vorremmo solo fare accenno all’umanità che popola le sue pagine. Nel metterci alla lettura di questo libro abbiamo dovuto dimenticare la nostra visione televisiva della sofferenza e della gioia, della vita e della morte.
Laure et Jacques, i due giovani che si amano senza calcolare le conseguenze dell’affetto, il loro bimbo che cresce nel ventre di Laure mentre Jacques viene ucciso dalla folla impazzita. Il vecchio operaio Fidèle che muore ucciso dai suoi compagni operai, flagellato e sbeffeggiato perché cerca di tornare al suo lavoro, alla sua dignità, al suo compito. Fidèle che muore solo, come lo fa la fedeltà nel cuore dell’uomo. E sua moglie che non vedendolo tornare impazzisce e si spegne. Il piccolo orfano Popol, figlio della strada, figlio di nessuno, che riceve in dono un papà e una mamma che non gli sono stati affidati dal sangue ma dalla grazia. Il piccolo Popol, che muore rincorrendo il suo orsacchiotto travolto dai manifestanti, il suo orsacchiotto che con i suoi occhi di vetro sembra « cercare di capire per quale incomprensibile scopo il padrone impietoso dei destini umani avesse avuto bisogno dell’olocausto di Popol ». Il cammino di un’operaio lungo una strada innevata, la marcia di un uomo che non ha più che i suoi piedi insanguinati per camminare, la sua fame per tenerlo in piedi e la certezza dell’amore di sua moglie a guidarlo. Quell’amore tradito, quella moglie puttana. I due amici di fronti diversi, l’operaio e il guardiano. I due amici che nei momenti più duri si erano sempre aiutati e che sono separati da una violenza e da un’ingiustizia senza volto, che prende la loro umanità e la dà in pasto al loro istinto. E infine Jean Denoots l’industriale, ucciso anche lui dalla putrida natura umana, schiacciato anche lui, come i suoi operai, dalle legge del mercato, dal dio denaro.
E poi, infine, come il silenzio in un mare di baccano, il grido della giovane madre il cui piccolo muore di fame nel ventre. « Pietà, pietà » detto due volte, alla finestra, gridando contro vento. E subito, ecco che nuovamente la sirena riprende a suonare, la sirena della fabbrica che richiama gli uomini e le donne al lavoro. Il silenzio di una pace che nessuno potrà più togliere, pace che é frutto di quel grido. La stessa realtà, esattamente la stessa, gli stessi uomini e donne, esattamente gli stessi, sono trasformati da quel grido. Le cose antiche si fanno nuove, grazie a quella domanda gridata, quasi pretesa. « Pietà ». Nessuno potrà dimenticare il male dell’umiliazione, della fame, della morte, della dignità calpestata. Ma la realtà, che prima gridava « no, non ti salvero’ », dopo quel grido della donna madre, sussurra dolcemente all’orecchio « si, ti ho già salvata ». L’umanità diventa grande quando ammette la sua miseria. L’amico é capace di perdonare e di amare il destino dell’altro più del suo progetto, la madre senza più forze, diventa capace di lacerare la sua carne per mettere al mondo un nuovo uomo, i morti esistono ancora, uniti alle intelligenze viventi.
« Il gesto di gioventù di Pierre, il suo rifiuto di prendere le armi e di imparare a uccidere l’altro, non era stato inutile, non era stato inutile il perdono di Richard, non era stata inutile la passione di un Altro, venti secoli prima. E’ cosi che l’umanità sale verso il suo destino. Egoista, limitata, crudele, essa resta ancora capace di redenzione, poiché alcuni in essa sanno soffrire per un ideale, amare la donna e il bambino fino alla dimenticanza di sé e vincere, nel profondo del loro cuore, l’odio, per fare il bene a coloro che li hanno colpiti, senza speranza di ricompensa. »
Ed é forse per questo che autori come Maxence Van Der Meersch sono stati dimenticati.
Abbiamo letto “Quando le sirene tacciono”, romanzo che racconta degli scioperi operai del 1933 nel nord della Francia. Questo libro, come quasi tutti quelli di Van Der Meersch é difficile da trovare, si nasconde, e forse, chissà, un giorno DaSeyn potrebbe promuoverne la pubblicazione in lingua straniera. Ma oggi, vorremmo solo fare accenno all’umanità che popola le sue pagine. Nel metterci alla lettura di questo libro abbiamo dovuto dimenticare la nostra visione televisiva della sofferenza e della gioia, della vita e della morte.
Laure et Jacques, i due giovani che si amano senza calcolare le conseguenze dell’affetto, il loro bimbo che cresce nel ventre di Laure mentre Jacques viene ucciso dalla folla impazzita. Il vecchio operaio Fidèle che muore ucciso dai suoi compagni operai, flagellato e sbeffeggiato perché cerca di tornare al suo lavoro, alla sua dignità, al suo compito. Fidèle che muore solo, come lo fa la fedeltà nel cuore dell’uomo. E sua moglie che non vedendolo tornare impazzisce e si spegne. Il piccolo orfano Popol, figlio della strada, figlio di nessuno, che riceve in dono un papà e una mamma che non gli sono stati affidati dal sangue ma dalla grazia. Il piccolo Popol, che muore rincorrendo il suo orsacchiotto travolto dai manifestanti, il suo orsacchiotto che con i suoi occhi di vetro sembra « cercare di capire per quale incomprensibile scopo il padrone impietoso dei destini umani avesse avuto bisogno dell’olocausto di Popol ». Il cammino di un’operaio lungo una strada innevata, la marcia di un uomo che non ha più che i suoi piedi insanguinati per camminare, la sua fame per tenerlo in piedi e la certezza dell’amore di sua moglie a guidarlo. Quell’amore tradito, quella moglie puttana. I due amici di fronti diversi, l’operaio e il guardiano. I due amici che nei momenti più duri si erano sempre aiutati e che sono separati da una violenza e da un’ingiustizia senza volto, che prende la loro umanità e la dà in pasto al loro istinto. E infine Jean Denoots l’industriale, ucciso anche lui dalla putrida natura umana, schiacciato anche lui, come i suoi operai, dalle legge del mercato, dal dio denaro.
E poi, infine, come il silenzio in un mare di baccano, il grido della giovane madre il cui piccolo muore di fame nel ventre. « Pietà, pietà » detto due volte, alla finestra, gridando contro vento. E subito, ecco che nuovamente la sirena riprende a suonare, la sirena della fabbrica che richiama gli uomini e le donne al lavoro. Il silenzio di una pace che nessuno potrà più togliere, pace che é frutto di quel grido. La stessa realtà, esattamente la stessa, gli stessi uomini e donne, esattamente gli stessi, sono trasformati da quel grido. Le cose antiche si fanno nuove, grazie a quella domanda gridata, quasi pretesa. « Pietà ». Nessuno potrà dimenticare il male dell’umiliazione, della fame, della morte, della dignità calpestata. Ma la realtà, che prima gridava « no, non ti salvero’ », dopo quel grido della donna madre, sussurra dolcemente all’orecchio « si, ti ho già salvata ». L’umanità diventa grande quando ammette la sua miseria. L’amico é capace di perdonare e di amare il destino dell’altro più del suo progetto, la madre senza più forze, diventa capace di lacerare la sua carne per mettere al mondo un nuovo uomo, i morti esistono ancora, uniti alle intelligenze viventi.
« Il gesto di gioventù di Pierre, il suo rifiuto di prendere le armi e di imparare a uccidere l’altro, non era stato inutile, non era stato inutile il perdono di Richard, non era stata inutile la passione di un Altro, venti secoli prima. E’ cosi che l’umanità sale verso il suo destino. Egoista, limitata, crudele, essa resta ancora capace di redenzione, poiché alcuni in essa sanno soffrire per un ideale, amare la donna e il bambino fino alla dimenticanza di sé e vincere, nel profondo del loro cuore, l’odio, per fare il bene a coloro che li hanno colpiti, senza speranza di ricompensa. »
In italiano è disponibile qui:
RispondiEliminahttp://www.ibs.it/code/9788870302455/van-der-meersch-maxence/quando-sirene-tacciono.html