lunedì 4 novembre 2013

L’ultimo nastro di Krapp



Di Samuel Beckett
Regia, scena e ideazioni luci di Robert Wilson
20 ottobre 2013, Teatro dell’Arte

La serata inaugurale della stagione della nuova fondazione CRT Milano è stata affidata a uno dei più riconosciuti maestri dell’avanguardia teatrale, Robert Wilson.
La sua performance è stata infatti scelta come simbolo dell’ambizioso progetto di crossover tra nuove tecnologie digitali, arti dal vivo, arti visive e applicate che il CRT Milano ha intrapreso insieme alla Triennale per dare vita a una programmazione sui generis. Ecco perché al classico cartellone è stata preferito uno sguardo vivo sulla contemporaneità, uno sguardo capace di captare quello che accade attorno a sé : dalle iniziative delle Triennale stessa al panorama performativo italiano e internazionale.
Il luogo che ha sancito questa nuova collaborazione è stato il Teatro dell’Arte. Destinato a diventare teatro stabile di innovazione.
Dal vecchio Salone di via Dini che ospitò A Letter for Queen Victoria ai nuovi spazi restaurati della Triennale il regista texano ha dato ancora una volta prova del suo talento.
Proprio in occasione di A Letter for Queen Victoria Beckett si complimentò con Wilson per il testo frammentato e non sequenziale, lui che fu elogiato da Ionesco per essere andato più lontano di Beckett. Dopo molti anni Robert Wilson ha deciso di confrontarsi direttamente con un suo testo, L’ultimo nastro di Krapp. Sua la regia, suo l’allestimento, sua l’interpretazione in scena.
Le coincidenze e i rimandi non sono mai casuali. Forse come la pioggia che imperversa fuori dal Teatro dell’Arte e che scuote il pubblico in sala. Un inaspettato e assordante tuono apre infatti lo spettacolo così come lo scroscio della pioggia accompagna fastidioso per venti lunghi minuti la solitudine e il silenzio di Krapp.
L’impianto scenico e il disegno luci sono di grande impatto visivo. Un’installazione artistica - già di per sé - di particolare bellezza. Raggi di luce bianca piovono sul palco, irregolari e incessanti, illuminando a tratti e dando movimento al perimetro immobile dell’enorme scaffale-archivio alle spalle di Krapp, alla sua vecchia scrivania e ai due lunghi tavoli che, ai lati di questa e in penombra, ospitano da sempre pile e pile di documenti. Le finestre in alto si illuminano improvvisamente e si affievoliscono, seguendo il ritmo abbagliante delle saette.
Difficile in questa prima parte dello spettacolo per il pubblico distogliere lo sguardo dai movimenti di Krapp-Wilson, nonostante la loro lenta ripetizione o gli improvvisi scatti. Gesti stilizzati, condensati o dilatati nel tempo. Quello che li unisce è un’esatta pulizia formale. Il viso ricoperto di biacca, rosse le calze che indossa, l’effigie–clown di Beckett - espressionista e ieratica -  incontra il teatro Nô. La parola è qui assolutamente assente. 
Difficile invece nella seconda parte dello spettacolo, almeno per il pubblico seduto nel settore sinistro del teatro e non anglofono, seguire la proiezione dei sopratitoli senza distogliere troppo lo sguardo dal palcoscenico. La rumorosa pioggia si interrompe, lo scaffale-archivio esce dalla penombra inquietante in cui era, diventando con la sua geometria una presenza quasi opprimente e Wilson con maestria e grazie a un magnetofono dà vita ai frammenti reiterati di Beckett. Frammenti del flusso di coscienza di Krapp ormai settantenne e frammenti di una vecchia bobina, registrata esattamente trent’anni prima. Sempre il giorno del suo compleanno. Riascoltandosi continuamente, riavvolgendo il nastro più volte per sentire gli stessi passaggi o parti di questi, in cui con voce fiduciosa ed esuberante celebrava le sue ambizioni, accelerandosaltando quelli che non desidera ricordare, Krapp vecchio con amarezza e ironia fa il verso al Krapp giovane. Ride dei suoi sogni di gioventù e della felicità a cui ha rinunciato. E Wilson con un’ampia modulazione di voce accentua questo contrasto, mentre improvvisi e acuti effetti sonori sanciscono i drammi interiori e taciuti di Krapp.


Quando dirigo uno spettacolo creo una struttura nel tempo. Solo nel momento in cui tutti gli elementi visivi sono al loro posto viene creata una cornice che gli attori devono riempire. Se la struttura è solida, allora si può essere liberi al suo interno
Wilson, saltando e barcollando, immobile e ieratico, ricorrendo a smorfie o gesti stilizzati, sembra aver trovato il modo per muoversi liberamente nella struttura che Beckett ha saputo costruire ne L’ultimo nastro di Krapp.  
Un esercizio di stile e potenza, come qualcuno giustamente ha detto.

La nuova incisione è conclusa.



Speriamo quindi che il sodalizio tra Triennale e il CRT Milano continui ad essere così fruttifero.



L’ultimo nastro di Krapp
Di Samuel Beckett
Regia, scena e ideazioni luci di Robert Wilson
Costumi e collaborazione alle scene Yashi Tabassomi
Disegno luci A.J. Weissbard
Suono Peter Cerone e Jesse Ash
Collaborazione alla regia Sue Jane Stoker

Un progetto di Change Performing Arts
Commissionato da Grand Théâtre de Luxembourg, Spoleto52 Festival dei 2 Mondi
Prodotto da CRT Milano I Centro Ricerche Teatrali

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