Claude-Henry du Bord: Quale mediazione si può trovare o adottare se, da un lato, le istituzioni falliscono e, dall’altro l’educazione non riesce a stabile una nuova modalità di trasmissione?Edgar Morin: In effetti stiamo vivendo una crisi radicale dell’educazione. È un altro grande problema contemporaneo. La scuola ha preso respiro e slanci; si è assistito a una funzionalizzazione, a una ritrazione degli insegnanti della secondaria nella loro disciplina, a una quasi burocratizzazione di un gran numero di docenti – fortunatamente non di tutti! in queste scuole di quartiere e di periferia regna peraltro un’incapacità di mettersi in ascolto, se si eccettuano alcuni studenti che hanno avuto riuscite meravigliose appunto perché si erano messi in ascolto. Penso allo scrittore François Bon, che è insegnante. Nella letteratura, a cominciato parando dei surrealisti, di Jean Genet; dalle rivolte dei rivoltosi è passato gli umanisti, a Victor Hugo, etc. si è fatto comprendere dai suoi alunni perché ha compreso il loro senso di frustrazione e di rivolta. Stiamo vivendo una profonda crisi dell’insegnamento. Secondo me si tratta di un problema chiave poiché non si insegnano più i problemi fondamentali e globali a cui ci troviamo di fronte. Non si insegnano i rischi di illusione e di errore che ogni conoscenza comporta. Non si insegna ciò che siamo; non si insegna sul serio che cosa sia la mondializzazione che stiamo subendo, non si insegna a comprendere gli altri, non si insegna ad affrontare l’incertezza. Si introduce una morale, ma a parole. Ora, è attraverso l’esempio che la morale può essere comunicata…
Claude-Henry du Bord: Sforzarsi di rimettere in piedi un’educazione degna di questo nome è tuttavia, senza dubbio, uno dei rari mezzi a nostra disposizione
Edgar Morin: Bisogna riformarla radicalmente.
Claude-Henry du Bord: Cercare di trovare un altro mezzo grazie a una narrazione comune è per certo indispensabile, ma come è possibile realizzare una cosa del genere?
Tariq Ramadan: In materia di educazione, in effetti, è auspicabile un intervento radicale su diversi piani. Non a caso ho intitolato uno dei miei libri La riforma radicale!. Questo tema percorre l’insieme dei capitoli del Suo libro La via. Dire che si debba riformare l‘educazione significa affermare la necessità di porre la questione delle finalità. A chi si insegna e perché? In funzione di quali obiettivi si valutano gli alunni o gli studenti? Quale deve essere dunque la sostanza della nostra educazione? A mio avviso, è importante soffermarsi sulle finalità, sui contenuti e sulla trasmissione del senso si responsabilità, tanto umana quanto civile e locale. Quest’ultima, evidentemente, contribuisce a sviluppare il senso di appartenenza. Credo che l’insegnamento dovrebbe fondarsi su un’etica della responsabilità. Incontro insegnanti che mi dicono: “Per interessare i giovani delle periferie, parlo del loro vissuto, della loro cultura, parlo del Marocco, dell’Algeria, della Turchia…”. Io rispondo sistematicamente: “Ma no! Lei cade nella trappola. Non parli di un “loro” che non esiste se non nella sua percezione, ma di ciò che può interessali qui, nella loro realtà. Essi sono di qui. Risvegli la loro curiosità, il loro interesse con strategie pedagogiche di identificazione con il loro vissuto. Ad esempio, nella letteratura francese sviluppi una riflessione sull’interiorità, l’interrogazione, l’esilio, la sofferenza, il benessere, la rivolta e proceda per andate e ritorni che, senza perdere nulla della profondità dei testi, si avvicinino alla realtà del loro contesto”. Io che son profondamente intriso di cultura francese non sentivo i miei insegnanti parlarmi dei miei interessi, ma di orizzonti in cui avrei potuto trovarmi, situarmi, identificarmi, ritrovarmi. Peraltro ho dedicato questo libro/conversazione a uno dei miei insegnanti che, quando avevo quindici anni, mi ha introdotto alla letteratura francese e ai discorsi filosofici. Che cosa mi era piaciuto allora? La ricerca, la poesia, la sofferenza, la rivolta, la resistenza, persino l’idealismo. Non è certo sentendo qualcuno che mi parlasse di “là da dove vengo” che mi sono interessato a “là dove mi trovo”! Giacché è qui, “là dove mi trovo”, che ha inizio ciò che può costruirmi. Dire il contrario è riduttivo. Si finisce per credere che nell’insegnamento, l’essenziale sia parlare di te, del posto da cui vieni, delle tue percezioni. In questo modo si ricrea la sfaldatura. Non soltanto l’insegnamento non è inclusivo, ma è amputato. La forza di un buon insegnante o di una buona insegnante è quella di riuscire a risvegliare la curiosità e di interessare gli alunni a ciò che di primo acchito non li interessava, in tutte le materie.
Via ThegreaTeachers
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