venerdì 16 ottobre 2015

Il santuario di Sambutsuji


Nel periodo Heian antico (794-894 d.C.) alcuni asceti buddhisti, appartenenti alla dottrina Mikkyo, decisero di fuggire dalla corruzione di Nara, l'antica capitale del Giappone. Si rifugiarono in luoghi in cui nessuno avrebbe mai pensato di poter abitare o pregare, e tali luoghi fornivano condizioni e contesti tanto stretti da costringere i monaci a cambiare l'architettura. E, come accadde a Venezia, a Orvieto, o nei monasteri cattolici ed ortodossi, la necessità oggettiva di costruire su terreni impossibili ha originato la bellezza.
Il santuario di Sambutsuji, costruito nel tardo XI secolo, sorge sul fianco di una scarpata. L'edificio non ha più fondazioni - e come potrebbe? - ma pali di diverse altezze, che si appoggiano letteralmente come possono (la citazione è di Le Corbusier) alla roccia nuda. Rinunciando a poter girare intorno al tempio, la struttura non può essere due volte simmetrica, ma offre una sola facciata, che è una piattaforma coperta e nulla più. Rinunciando alle viste da diversi punti (infatti tutte le fotografie che troverete sono prese dallo stesso punto di vista), viene curata una sola "scenografia": l'angolo della piattaforma, con il bellissimo dettaglio della parete di carta di riso, posta non parallelamente, ma ortogonalmente.
La cosa più bella è che il santuario non si confonde con la roccia, come nell'architettura rupestre occidentale, ma resta una geometria ben distinta, un parassita aggrappato alla montagna ma ben deciso a non mollare la presa.


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