Carlo Carrà: L’attesa, 1926, collezione privata
È piuttosto il cane che attende, tutto teso all’arrivo del padrone. Forse la donna è meno sicura ch’egli ritornerà e guarda l’orizzonte dubbiosa. Il cane sa che non può esserci un futuro, senza il ritorno del signore di casa. Il cane sa di non essere padrone di sé, sa di non potersi mantenere in vita, da solo. Il cane sa che tutta l’oggettività della realtà sta attendendo (la collina, gli alberi, tutto si piega a una prospettiva che nasce là dove spunterà a momenti quel uomo) perché il prato sia di nuovo abitato e curato, perché si possa tornare a sedersi a tavola, perché la donna possa sentirsi amata, perché la vita riprenda davvero. Il cane domanda alla natura che lo circonda dove egli sia, le chiede di lasciare lo spazio così che si possa scorgere il padrone anche da lontano. Tutto è unito da questa attesa, la donna, l’animale e la natura. Difficilmente resisterebbe questo equilibrio, senza la certezza che il padrone spunterà dietro quella grande casa bianca.
Era già l'ora che volge il disio
RispondiEliminaai navicanti e 'ntenerisce il core
lo dì c'han detto ai dolci amici addio;
e che lo novo peregrin d'amore
punge, se ode squilla di lontano
che paia il giorno pianger che si more...