venerdì 28 settembre 2012

Calvario bretone (Cristo Verde) di Paul Gauguin


Un mare apparentemente calma, un cielo di una giornata altretanto calma.

Prati che sembrano infuocati, viandanti: chi va, chi viene. Il fusto di un albero che conduce il nostro sguardo verso un Calvario bretone, dove la figura di un Cristo senza vita sembra chiamare con il suo braccio disteso la ragazza che di lì passava. Il Cristo Verde di Gauguin del 1889 ci presenta quello stile chiamato cloisonnisme, alludendo allo smalto e alle vetrate medievali, in cui ogni campo di colore è delimitato  da un bordo metallico.
Questo ritorno all' arte del medioevo come riferimento non è per niente casuale: la semplificazione delle immagini ci rimandono a sentimenti più profondi, contemplativi. Le linee e i colori diventano il segno del nostro sentire, come pretende l'arte espressionista.

Ma anche quel braccio è un segno, quello di un abbraccio più grande. Anche quella morte non è una realtà in sé, ma il segno che c'è un'infinita vita hic e nunc. Una vita che va oltre la frontiera del tempo, un etenità in cui il crocifisso e la ragazza si incontrano. La donna non puo' dimenticare il momento in cui è accaduto quell'incontro non programmato, un incontro con qualcuno, forse in circostanze strane, in cui era presente il mistero.

Il dipinto arresta un momento in cui c'è la presenza di un Altro. Anche una Poesia di Montale e una di Rebora lo affermano. Montale dice che le cose che pensiamo desiderare di più ci dicono: "Non è qui". Questo è tanto vero che scopriamo sempre che la risposta a ciò che cercavamo, non si trova in ciò che abbiamo raggiunto.

Quest'ansia o questo desiderio che si doveva riempire e colmare non si colma con le singole risposte, ci rimane come un vuoto. Forse la ragazza aveva dimenticato, in quel instante, che tutta la realtà è segno, che la realtà che la circonda rimanda ad Altro?

Un segno è un avvertimento. Esso indica che la verità è un'altra rispetto a quanto appare.

Occorre concepire tutto ciò che accade come segno, così da non possedere nulla, e stare in ascolto della realtà per riceverne indicazioni di questo Altro che vi fa capolino. Non consumare il segno, avere la pazienza di una rivelazione della realtà, mossi dall'ansia di vederne il vero disegno.

C'è poi quella capra nera in basso che vuole distogliere la ragazza da quel suo domandarsi. È la distrazione, quel perderci in risposte provvisorie. La tranquillità in cui viviamo seppellisce i veri desideri del nostro cuore e ci fa' credere che la verità si trova in realtà imperfette, finite.

Bibliografia:
-Argan G.C., L'arte moderna, "L'ottocento", Sansoni per la Scuola ed., Milano, 2007.

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