Edgar Degas, copia da Andrea Mantegna, Crocifissione, 1861 |
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Bizzarra e crudele è talvolta la sorte degli artisti di genio. Soprattutto di quelli, e gli artisti di genio appartengono quasi sempre al mucchio in questione, che hanno da vivi ottenuto il massimo successo e la più solida sanzione. Si tratta quasi di un percorso ineludibile. Chi diventa centrale, chi si fa pietra di scandalo, chi determina la mutazione del punto di vista e d’orientamento finisce necessariamente col far scuola anche se non ha avuto allievi, a far corrente anche se è stato sprovvisto di bottega. Ha stabilito un morfema del gusto, una cifra estetica. Successivamente, per naturale alternanza dialettica, il gusto cambia ancora, gli emuli vengono contraddetti da nuove menti rivoluzionarie e il maestro cade in una zona d‘ombra che è assai vicina all‘oblio. Questo percorso negli inferi della memoria collettiva è obbligatorio da sempre, o almeno fino a ieri è apparso tale. E quello che consente di poter rinascere e finire sul piedestallo della storia, o nelle sale centrali del museo immaginario che costituiscono le fondamenta della nostra cultura e delle nostre identità. All‘inizio del xx secolo andavano tutti matti per Guido Reni: piaceva quando Caravaggio era considerato grossolano, rozzo e superficialmente popolaresco. Anni dopo Caravaggio tornò a galla d’un botto con tutta la sua energia primigenia, tra l’altro in un cambio del gusto che lo poneva assieme al suo contrario moderno, la pittura che negava la figura ma non la realtà, l’informale, cioè, del dopoguerra. E Guido se ne tornò nel limbo della coscienza dal quale era uscito cent‘anni prima grazie a Corot con l‘altro grande sognatore, Claude. Vanno e vengono i geni nella memoria di gruppo. Si copre e si scopre: in fondo era una contessa sconsiderata d’una novella di Balzac, Le Bal de Sceau, la prima a usare il termine Renaissance, forse proprio perché in quegli anni della prima monarchia costituzionale di Francia e della prima vera gloria elegante della borghesia si andavano cercando valori potenti e extraneoclassici per affermare un nuovo ordine dell’individuo. I muscoli di Michelangelo passavano dalla palestra della storia a quella della vita dopo l‘impero del museo delle cere di David; servirono a inventare le forze telluriche di Delacroix. Ma siccome già allora la borghesia ambiva alla competizione ma la immaginava casalinga, alle glorie della Sistina si dovettero mescolare i sapori domestici della pittura domestica di Vermeer. Infatti la contessa in questione «amava la pittura fiamminga e gli artisti della rinascenza»…
Forse di tutta questa storia era stato colpevole come sempre il giovane Bonaparte non ancora Napoleone quando decise di fare vedere assieme al bottino raccolto in Italia le opere che gli italiani avevano lasciato in Francia sotto Francesco I dalle parti di Fontainebleau e quando ritrovò il curioso dipinto di Monna Lisa e decise di appenderselo in camera da letto. Stavano nascendo assieme una serie di grappoli di miti…
Andrea Mantegna ha subito una sorte non dissimile. Considerato il più grande della sua epoca durante la sua epoca, riverito dal papà di Raffaello, passato nella prima catalogazione vasariana a figura esemplare, si trovò poi in una condizione di curiosa nebbia quando il viaggio degli artisti per vedere la camera picta del Palazzo Ducale fu deviato dinnanzi alle prospettive folli e carnali che Giulio Romano aveva deposto in Palazzo Te. Cinquant‘anni ancora una volta erano bastati ad alterare il gusto.
Rubens insegna. E poi il medioevalismo ottocentesco lo ha rimesso sotto i riflettori, non quelli potenti della museologia moderna, quelli teneri e a candela del melodramma d’allora.
Solo oggi tutto si fa contemporaneo. Il passato e il presente sono tutti e due presenti, disordinatamente. E i valori si ristabiliscono secondo quella geniale intuizione che ebbe André Malraux quando pubblicò nel 1964 Le Musée Imaginaire. Nel frattempo l‘aeronautica inglese ha pensato bene di cancellare una parte della sua opera con i bombardamenti della Cappella degli Ovetari e sarebbe oggi opportuno che i Padovani che si portarono a casa i frammenti dell’affresco avessero la cortesia di restituirli per completare il restauro in corso e renderlo meno virtuale e più virtuoso. Sarebbe questo il primo caso nel quale il ritorno alla coscienza potrebbe corrispondere a un ritorno di coscienza. Il gesto collettivo di restituzione diventerebbe un segno di ricollocamento tangibile.
Solo oggi ci rendiamo conto, riguardando il complesso della sua opera che la sua genialità precoce fuuna indicazione precisa del cambiamento della figura dell‘artista nella società repubblicana dei Veneziani e quindi nel mondo. Solo oggi torna al posto che gli compete ed è quello d’un geniale glossatore della sua epoca che fucapace di trasformare le informazioni ricevute da un passato in piena riscoperta in un linguaggio che permise il salto successivo della creazione visiva, quello che portò alla follia del reale quando si mescola con l’aria.
Philippe Daverio
via Carte Sensibili
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