venerdì 12 aprile 2013

Reality, di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini; Milano – Spazio Pim Off



“Perchè?” Forse è questa la prima domanda. “Perchè?”. Ma scoppiano subito gli applausi. La sensazione di aver assistito ad una performance difficile da definire rimane lì, sospesa.  Reality prosegue  e sviluppa lo studio precedente, Rzeczy/cose, in cui i due performer Daria Deflorian e Antonio Tagliarini giocavano e si interrogavano tra cumuli di oggetti, oggetti presi dalle loro case o comprati ai mercatini, oggetti che sarebbero potuti appartenere alla loro protagonista e che, accostati casualmente, commentati, fissati in un ricordo, formavano come la sintesi di una vita.

La forza di questi due artisti, , sta ancora una volta nel rompere la frontalità dell’immedesimazione con il loro sguardo laterale. Entrano ed escono dalla storia, attirati dalle scrupolose annotazioni di Janinia Turek restando però lucidi nella loro ricerca.
“Che cos’è la realtà? Come raccontare una vita?”

I due artisti la cercano ovunque. Inziando dalla fine. Dalla morte di Janina. Con ironia. “Come rendere credibili gli ultimi attimi della sua vita?” In strada, le buste della spesa in mano, l’infarto, la caduta sull’asfalto. La posizione di gambe-mani-muscoli in quel momento, il volto coperto dai capelli. Tra un aggiustamento anatomico e un formicolio articolatorio finiamo nella vita di questa giovane donna polacca. Janina Turek. Morta nel 2000 lasciando gli ultimi anni della sua vita meticolosamente annotati sui suoi diari. Insospettati. Persino dai suoi familiari.

Srotoliamo la maniacale e compulsiva annotazione del microcosmo di Janinia, la trascrizione asettica e oggettiva dell’infinita serie di eventi, persone e ricorrenze che hanno scandito la sua quotidianità, fino all’irruzione inattesa - in mezzo a tutto quel rigore – di qualche indizio di soggettività. Daria Deflorian con la maestria del suo tono dimesso e Antonio Tagliarini con la sua delicatezza scoprono infatti negli spazi vuoti,nelle correzioni lasciate tra righe e numeri dei suoi 748 quaderni, un’altra possibile realtà e ci restituiscono attraverso altre parole, quelle sfuggite alla sua metodica annotazione - le cartoline che durante i viaggi Janina indirizzava a se stessa – una sorta di confessione.

La realtà non è che una possibilità, debole e fragile come tutte le possibilità” direbbe Burroughs.

È proprio in questi interstizi fra realtà oggettiva e realtà soggettiva che nasce questo spettacolo. Daria e Antonio non “raccontano”, non “recitano”, non “creano personaggi” ma si avvicinano alle trascrizioni di Janina, danno vita alle sue statistiche, alle svariate categorie e nomenclature, costruiscono eventi del suo quotidiano, immaginano e inventano scorci di vissuto a partire da un dettaglio o un numero ma subito interrompono l’operazione. Smontano tutta la loro costruzione. Riavvolgono questa soggettività “artificiale”. Tutto nel perimetro un pò stretto dell’autofiction-reportage-performance.

Affiora allora l’altro interrogativo. Come dare vita, nella forma più adatta, ad una VITA? Qual è il modo più adatto per penetrare nella vita di un essere umano, attraverso i suoi resti?

Ci soccorre in qualche modo l’ultima scena, rivelatrice di tutto l’approccio estetico dello spettacolo. Daria evoca la tradizione della danza balinese.Danza preparata meticolosamente dai suoi ballerini tutto l’anno, ripetendo fino allo sfinimento tutti i suoi passi e i minuziosi dettagli del trucco, ma eseguita e offerta al pubblico dietro a un telo bianco indossando una maschera.

Cosa vede esattamente il pubblico dietro quel telo?

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