“A
volte non fare nulla porta a qualcosa” ma è anche vero il contrario “a volte
fare qualcosa non porta a niente”. Sono queste le parole che ritornano nella
performance dell’artista svedese. La coreografa rivisita - insieme a suoi due
talentuosi performer- l’estetica del road-movie. Lo fa con una delicatezza
estrema, unendo momenti di squisita poesia e forte ironia. Una performance di
leggerezza e precisione.
Tutto inizia dalla fine e si ripete
incessantemente. Una road-movie dance in cui la fine è già annunciata. “Qui
inizio e qui finisco. Qui inizio e qui finisco” ripetono i due ballerini mentre
eseguono i loro passi e via di nuovo. Tutto inizia dall’epilogo di Vanishing Point, l’eroe si rende conto
che non può più tornare indietro e sceglie la morte, premendo l’acceleratore. Come due punti che si muovono uno
accanto all’altro e finiscono col fondersi.
Gli uomini, gli spazi –alberghi, parchi,
distese,altopiani e strade- la nostalgia degli spazi aperti.
Non è una storia d’amore ma qualcosa d’altro,
la storia di due persone, un uomo e una donna -un destino che ritorna anche nei
nomi, nei nomi di altre coppie- che condividono un pezzo di strada insieme, un
viaggio difficile per conoscere sè eil mondo. Un’odissea introspettiva quella
dei due performer-attori, tra passi di danza interrotti e ripresi e numerose
domande “chi, che cosa, quando, dove,
perchè” che ci portano verso la fine, una possibile fine, perchè
inevitabilmente ogni storia si conclude in qualche modo.
Ma altri potrebbero essere i tentativi di
approssimazione. Parrucche e abiti cambiano, modulando una scena tanto più naturale
quanto più surreale. Un’esplorazione dello spazio scenico e della realtà attraverso
coreografie minimali e interrotte che costruiscono una traiettoria discontinua,
ricomposta solo alla fine, mentre i sopratitoli a un certo punto si arrestano e
i puntini di sospensione ci restituiscono i residui incomunicabili e inspiegabili
della vita.
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