Benito
Cereno è un altro racconto di mare di Melville. Lo stile non ha bisogno di
accreditarsi a un lettore che abbia
letto Moby Dick. Ci sono, per tanti tratti ritrovati,
gli stessi paesaggi e gli uomini che vivono il mare, le sue sfide, colori,
lontananze, vicende di conquista e di sopravvivenza.
Qui si tratta di due capitani:
Benito Cereno, spagnolo responsabile
della San Domenico, partita con un
carico di schiavi neri ed avvistata, alla deriva, da Amasa Delano, comandante
di una nave per la caccia alle foche.
Quest’ultimo si offre al soccorso e sale sulla
nave sconosciuta, ricevuto da una strana atmosfera. Già la scena che descrive
l’arrivo di Delano anticipa tutta la prima parte del racconto perché: “la casa come la nave nascondono alla vista i
loro interni fino all’ultimo; ma nel caso della nave c’è questo in più, che il
vivente spettacolo da essa contenuto ha nella sua repentina e integrale
apparizione, in contrasto con il vuoto dell’oceano che la circonda, l’effetto
quasi di una scena di miraggio”.
Il ritmo
della narrazione sa subito
rappresentare un mistero che rimane indecifrabile con le spiegazioni di Benito, del suo servitore
Babo e degli altri spettrali marinai.
Buona parte della novella cresce sui pensieri di
Delano, combattuti tra la diffidenza, il terrore, il sospetto e la pietà
accompagnata dalla volontà di poter essere d’aiuto allo smarrimento, che in
apparenza è una malata follia maniacale, di Benito.
Non è tanto lo sviluppo della vicenda- raccontata
nella seconda parte, quando arriva la lancia dei soccorsi e Delano si appresta
a far ritorno al suo mondo, né gli
atti processuali che portano le chiavi di lettura della verità dei fatti- ad avvincere.
Come in Moby Dick è il confronto inevitabile con il mistero del male che sempre incrocia
le vicende della vita; il suo uncino
pronto a scattare, la sua ferita nei
corpi e nello spirito di chi ha
toccato, la sua capacità di
mascherarsi, la capacità di
confondere e di muovere la pietà così da poter annientare chi vorrebbe negarlo.
Ancora meglio della narrazione aperta lo descrivono le scene e gli elementi: la
bonaccia del mare, il colore plumbeo e nebuloso del cielo, il clima soffocante,
la distruzione dei luoghi e delle cose.
Non mi soffermerò su Benito,
sul quale pur si dovrebbe; preferisco un’osservazione a riguardo di Delano che
ha sentito il brivido agghiacciante
senza poter superare la spinta a voler vedere il bene.
E’ questo un tempo nel quale il discernimento è
più difficile, eppure tanto più necessario perché la deriva verso il
qualunquismo e il tutto giusto, possibile, giustificabile sta conducendo a uno
smarrimento generale se non addirittura
alla violenza morale. Leggere la realtà esige sempre un’illuminazione e oggi
siamo come obnubilati da una mentalità
deviata mentre la coscienza vorrebbe riconoscere il bene che è come una sete
inestinguibile, un seme profondo che potrebbe far fiorire la storia personale e
quella del mondo.
Non è comune la capacità
di discernimento, “richiede di mantenere aperti il cuore e la mente, evitando la malattia spirituale
dell’autoreferenzialità”.
Giugno 2013
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