Il metodo utilizzato per l’indagine antropologica è quello fenomenologico, un metodo che punta alle cose stesse e quindi alla loro struttura. Ciò che affascina di più la Stein è il fatto che attraverso il metodo di Husserl è possibile toccare con mano le questioni (SACHE) senza utilizzare teorie già elaborate, vale a dire, che se vogliamo comprendere che cosa sia l’essere umano è necessario: «porci nel modo più vivo possibile nella situazione in cui facciamo esperienza del suo esserci, vale a dire di ciò che sperimentiamo in noi stessi e di ciò che sperimentiamo nell’incontro con gli altri». Si esamina preliminarmente l’essere umano nella sua sola corporeità. Il materiale di partenza della nostra ricerca sull’essere umano è rappresentato, quindi da ciò che abbiamo dinanzi agli occhi nell’esperienza viva. Negli esseri umani estranei, probabilmente siamo attratti prima di tutto dall’esteriorità l’aspetto la statura il colore – sono tutte caratteristiche proprie di ogni cosa materiale. Infatti l’essere umano, nella sua costituzione corporea, è una cosa materiale come le altre, sottoposto alle stesse leggi, inserito nell’ambito della natura materiale. Tuttavia abbiamo bisogno di un particolare mutamento di sguardo perché questo diventi, per noi, chiaro. Infatti nell’esperienza naturale non lo vediamo mai solo come corpo materiale. Quando un essere umano si muove, questo movimento appartiene, naturalmente, alla sua immagine. E’ proprio dell’essere vivo il potersi muovere da sé. L’essere umano, quindi, è un corpo materiale ed è anche vivo. Esseri umani e animali vengono colti all’inizio, non solo come viventi, ma anche come esseri senzienti! Potremmo indicarli meglio come esseri animati. Cosa sia l’ “anima” e con quale particolare diritto possiamo parlarne qui, non è da discutere in questa sede. Il nome sta solo ad indicare che, laddove afferriamo un essere di questo genere, subito ha luogo un contatto interiore che ci permette di afferrarlo non solo dall’esterno, ma di contemplarlo interiormente e – in un certo senso – di comprenderci insieme ad esso. Solo in un certo senso, non ancora in un “senso proprio”. Poiché se il cane ci guardasse non solo implorante pieno di aspettative, ma cominciasse a parlare, non saremmo meno stupiti di quanto lo saremmo di fronte ad una pianta che sente o ad una pietra vivente. Con l’essere umano, al contrario, siamo sin dall’inizio in una relazione di scambio di idee, in un rapporto spirituale. Così già la più semplice analisi dell’esperienza quotidiana ci rivela qualcosa della struttura del cosmo e della peculiarità della posizione dell’essere umano in esso. Abbiamo una prima idea degli stadi che costituiscono il regno degli esseri viventi e vediamo l’essere umano come microcosmo, in cui tutti gli stadi trovano unità: egli è una cosa materiale, un essere vivente, un essere animato e una persona spirituale. Vediamo l’essere umano non solo come essere umano , non solo per quello che ha in comune con gli altri esseri umani. Con maggior o minor forza, spesso, già al primo incontro ci parla di ciò che egli stesso è come persona individuale e di come è, della sua essenza, del suo carattere. Ci parla con i tratti del suo volto, con il suo sguardo e le espressioni del viso, con il timbro della sua voce, con molte cose delle quali non siamo affatto coscienti. E mentre ci parla ci tocca interiormente, ci ripugna o ci attrae. Gli esseri umani sono persone che hanno una peculiarità individuale e la concezione che hanno l’uno dell’altro non è solo una questione di ragione, piuttosto è una relazione interiore più o meno profonda, presente, almeno come inizio, in ogni incontro vivo. Passando dall’incontro isolato alla convivenza stabile, ciò che è esteriore e universale, il più delle volte, scompare sempre di più dinanzi a ciò che è interiore e personale. L’essere umano sperimenta l’esistenza e l’umanità negli altri, ma anche in se stesso. A questo riguardo vi è ancora qualcosa da aggiungere. In tutto ciò che l’essere umano sperimenta, fa anche esperienza di sé. L’esperienza che egli fa di se stesso è totalmente diversa da quella che fa di tutto il resto. La percezione esteriore del proprio corpo non è il ponte per l’esperienza del proprio io. Il corpo viene sicuramente percepito esteriormente, ma questa non è l’esperienza fondamentale e si fonde con la percezione dell’interiorità, con la quale io sento il corpo vivente e me in esso. Ciò implica che io sia cosciente del mio io, non solo del mio corpo vivente, ma di tutto l’io corporeo-animato-spirituale.
Partendo dalla corporeità, possiamo chiamare individualità questa particolarità del corpo umano di essere una forma determinata, chiusa in se stessa, indivisibile e non unificabile con altre. Il corpo umano condivide questa peculiarità con tutti gli organismi. Vi è qualcosa di analogo anche nel campo di ciò che è puramente materiale, ad esempio i cristalli posseggono una forma determinata e chiusa in se stessa. Non possono essere divisi, (Il concetto di Leib/corpo vivente riguarda anche l’unicità di ogni individuo aperto all’altro ma centrato nella propria soggettività/ipseità) senza che perdano la loro propria natura; al contrario si lasciano unire con altre parti per formarne più grandi ciò è dovuto alla loro struttura atomica. Il corpo vivente, inoltre, è una «realtà tenuta insieme interiormente».
Il formarsi dall’interno, indicato da s. Tommaso come anima, forma interiore, viene definita da E. Stein forza vitale (lebenskraft), energia che dà forma alla materia. E siffatta formazione è un processo che rende il corpo umano organismo. Il corpo con la sua forma determinata, chiusa in se stessa e articolata in maniera conforme a regole, viene da noi percepito come una realtà tenuta insieme interiormente. La forma interiore (anima), in quanto qualifica il tutto, è qualcosa di qualitativamente determinato: una specie; parimenti è la forza vitale che permette il conferimento della forma. Essa dà forma ad un materiale, ad una materia. La forma vitale, l’ “anima”, fa del corpo umano un organismo. Quando in esso viene meno la vita, rimane solo una cosa materiale come le altre. La sua forma esteriore è formata dall’interno; questo formarsi dall’interno è un peculiare modo di essere, il modo di essere dei viventi. Tommaso chiama anima ciò che consente la formazione dall’interno. Aristotele parlava di entelechia per indicare il telos di questa formazione (esso è un processo vitale).
Lo stesso mondo creato si presenta come una serie gerarchica di formazioni: cose materiali, piante, animali, essere umani, puri spiriti. I livelli si delimitano per principio l’un l’altro in modo tale che con ognuno è dato qualcosa di nuovo. Non sono però privi di legami reciproci, vale a dire che nel grado di volta in volta superiore è conservato ciò che è proprio di quello inferiore. Pertanto essere uomo significa essere allo stesso tempo cosa materiale, pianta, animale e spirito, ma tutto questo in modo unitario. San Tommaso ha difeso con la massima energia l’unità della forma sostanziale, sostenendo che l’essere umano è tutto ciò che è in virtù di una forma interiore, in virtù della sua anima umana, che è anima razionale e perciò diversa da quella delle piante e degli animali, ma contiene in sé come parte inferiore, ciò che è proprio di queste ultime. Con l’espressione “anima vegetativa”, che da Aristotele è passata nella terminologia scolastica, non si vuole affatto attribuire alla pianta un’anima, nel senso corrispondente a quella dell’essere umano, come fa una certa visione poetico-sentimentale della natura. Con essa indichiamo solo un principio vitale interiore. E mi sembra che il formarsi in maniera viva da sé e dall’interno sia proprio ciò che realmente indica l’essenza della pianta. L’ “anima vegetativa” è interamente forma corporis e null’altro. Mi pare che manchi totalmente ciò in cui siamo soliti ravvisare la peculiarità dell’anima in quanto tale – un’apertura interiore. È mia opinione che alla pianta appartenga essenzialmente una mancanza di coscienza. Tutto il suo essere è orientato a manifestare nella forma visibile ciò che essa è, non è dischiusa verso l’interno, non esiste per se stessa e non vive in se stessa. È dunque, in un senso ontico (non etico) slegata da sé e aperta senza riserve. Il che le conferisce ai nostri occhi l’aspetto di purezza e innocenza. Se siamo riusciti, almeno in parte, a fissare le peculiarità dell’essere vegetale, il nostro compito successivo sarà quello di cercare nell’essere umano ciò che in sé ha conservato di vegetale. Vorrei riallacciarmi a ciò che ho or ora indicato come appartenente allo sviluppo puro dell’essere vegetale e che avevo menzionato precedentemente come caratteristica del corpo vivente umano, cioè la posizione verticale. Sembra che qui essere umano e pianta si incontrino in qualcosa che manca all’animale. La posizione verticale sembra un trionfo sulla materia e nel volto umano come nel fiore si può ravvisare la più perfetta manifestazione del proprio essere. Tuttavia, la posizione della testa nell’essere umano sembra assumere un altro significato; la testa è ciò che domina tutto il corpo, ciò da cui esso viene abbracciato con lo sguardo, compreso e governato. Qui la direzione verticale è duplice; dal basso verso l’alto – la crescita verso la luce, dall’alto verso il basso – un percepire se stesso dall’alto. Perciò il corpo umano si differenzia da quello vegetale e animale, malgrado la comunanza del carattere organico. Questa comunanza sta sia nella manifestazione di sé che nel prender forma, nello sviluppo di una legge di formazione interna. Lo sviluppo del corpo vivente umano da semplice cellula ad organismo complesso è di certo l’esempio più meraviglioso di processo organico, in cui, mediante la crescita e la progressiva differenziazione, si forma l’insieme teleologicamente (cioè con un telos che significa un fine verso cui si è orientati) ordinato con il perfetto gioco reciproco delle parti. Non si usa solo un’immagine poetica quando si paragonano così volentieri i bambini ai fiori, ma vi è un fondamento reale, infatti si rintraccia anche in questo caso uno sviluppo ed una manifestazione di sé relativamente intatti, un riposo in se stessi. E perciò abbiamo anche un’impressione d’innocenza, di pace e di altruismo. Il carattere organico emerge, inoltre, in maniera relativamente più forte nella donna che nell’uomo, più nell’essere umano che vive in modo naturale che in quello civilizzato.
Partendo dalla corporeità, possiamo chiamare individualità questa particolarità del corpo umano di essere una forma determinata, chiusa in se stessa, indivisibile e non unificabile con altre. Il corpo umano condivide questa peculiarità con tutti gli organismi. Vi è qualcosa di analogo anche nel campo di ciò che è puramente materiale, ad esempio i cristalli posseggono una forma determinata e chiusa in se stessa. Non possono essere divisi, (Il concetto di Leib/corpo vivente riguarda anche l’unicità di ogni individuo aperto all’altro ma centrato nella propria soggettività/ipseità) senza che perdano la loro propria natura; al contrario si lasciano unire con altre parti per formarne più grandi ciò è dovuto alla loro struttura atomica. Il corpo vivente, inoltre, è una «realtà tenuta insieme interiormente».
Il formarsi dall’interno, indicato da s. Tommaso come anima, forma interiore, viene definita da E. Stein forza vitale (lebenskraft), energia che dà forma alla materia. E siffatta formazione è un processo che rende il corpo umano organismo. Il corpo con la sua forma determinata, chiusa in se stessa e articolata in maniera conforme a regole, viene da noi percepito come una realtà tenuta insieme interiormente. La forma interiore (anima), in quanto qualifica il tutto, è qualcosa di qualitativamente determinato: una specie; parimenti è la forza vitale che permette il conferimento della forma. Essa dà forma ad un materiale, ad una materia. La forma vitale, l’ “anima”, fa del corpo umano un organismo. Quando in esso viene meno la vita, rimane solo una cosa materiale come le altre. La sua forma esteriore è formata dall’interno; questo formarsi dall’interno è un peculiare modo di essere, il modo di essere dei viventi. Tommaso chiama anima ciò che consente la formazione dall’interno. Aristotele parlava di entelechia per indicare il telos di questa formazione (esso è un processo vitale).
Lo stesso mondo creato si presenta come una serie gerarchica di formazioni: cose materiali, piante, animali, essere umani, puri spiriti. I livelli si delimitano per principio l’un l’altro in modo tale che con ognuno è dato qualcosa di nuovo. Non sono però privi di legami reciproci, vale a dire che nel grado di volta in volta superiore è conservato ciò che è proprio di quello inferiore. Pertanto essere uomo significa essere allo stesso tempo cosa materiale, pianta, animale e spirito, ma tutto questo in modo unitario. San Tommaso ha difeso con la massima energia l’unità della forma sostanziale, sostenendo che l’essere umano è tutto ciò che è in virtù di una forma interiore, in virtù della sua anima umana, che è anima razionale e perciò diversa da quella delle piante e degli animali, ma contiene in sé come parte inferiore, ciò che è proprio di queste ultime. Con l’espressione “anima vegetativa”, che da Aristotele è passata nella terminologia scolastica, non si vuole affatto attribuire alla pianta un’anima, nel senso corrispondente a quella dell’essere umano, come fa una certa visione poetico-sentimentale della natura. Con essa indichiamo solo un principio vitale interiore. E mi sembra che il formarsi in maniera viva da sé e dall’interno sia proprio ciò che realmente indica l’essenza della pianta. L’ “anima vegetativa” è interamente forma corporis e null’altro. Mi pare che manchi totalmente ciò in cui siamo soliti ravvisare la peculiarità dell’anima in quanto tale – un’apertura interiore. È mia opinione che alla pianta appartenga essenzialmente una mancanza di coscienza. Tutto il suo essere è orientato a manifestare nella forma visibile ciò che essa è, non è dischiusa verso l’interno, non esiste per se stessa e non vive in se stessa. È dunque, in un senso ontico (non etico) slegata da sé e aperta senza riserve. Il che le conferisce ai nostri occhi l’aspetto di purezza e innocenza. Se siamo riusciti, almeno in parte, a fissare le peculiarità dell’essere vegetale, il nostro compito successivo sarà quello di cercare nell’essere umano ciò che in sé ha conservato di vegetale. Vorrei riallacciarmi a ciò che ho or ora indicato come appartenente allo sviluppo puro dell’essere vegetale e che avevo menzionato precedentemente come caratteristica del corpo vivente umano, cioè la posizione verticale. Sembra che qui essere umano e pianta si incontrino in qualcosa che manca all’animale. La posizione verticale sembra un trionfo sulla materia e nel volto umano come nel fiore si può ravvisare la più perfetta manifestazione del proprio essere. Tuttavia, la posizione della testa nell’essere umano sembra assumere un altro significato; la testa è ciò che domina tutto il corpo, ciò da cui esso viene abbracciato con lo sguardo, compreso e governato. Qui la direzione verticale è duplice; dal basso verso l’alto – la crescita verso la luce, dall’alto verso il basso – un percepire se stesso dall’alto. Perciò il corpo umano si differenzia da quello vegetale e animale, malgrado la comunanza del carattere organico. Questa comunanza sta sia nella manifestazione di sé che nel prender forma, nello sviluppo di una legge di formazione interna. Lo sviluppo del corpo vivente umano da semplice cellula ad organismo complesso è di certo l’esempio più meraviglioso di processo organico, in cui, mediante la crescita e la progressiva differenziazione, si forma l’insieme teleologicamente (cioè con un telos che significa un fine verso cui si è orientati) ordinato con il perfetto gioco reciproco delle parti. Non si usa solo un’immagine poetica quando si paragonano così volentieri i bambini ai fiori, ma vi è un fondamento reale, infatti si rintraccia anche in questo caso uno sviluppo ed una manifestazione di sé relativamente intatti, un riposo in se stessi. E perciò abbiamo anche un’impressione d’innocenza, di pace e di altruismo. Il carattere organico emerge, inoltre, in maniera relativamente più forte nella donna che nell’uomo, più nell’essere umano che vive in modo naturale che in quello civilizzato.
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