lunedì 23 luglio 2012

Forma Urbis: I dipinti murali del XII secolo nella basilica di San Giovanni a Porta Latina a Roma

Serena Di Giovanni, Silvia Di Summa
(estratto delle tesi di laurea magistrale: “San Giovanni a Porta Latina: i dipinti murali del presbiterio”; “San Giovanni a Porta Latina: i cicli neo e veterotestamentari della navata”. A. A. 2010/2011)

La redazione di DaSeyn desidera ringraziare Serena Di Giovanni, per permetterci di pubblicare questo suo lavoro nato dalla collaborazione con Silvia Di Summa, frutto di oltre un anno di ricerche. Speriamo che i nostri lettori possano, come noi, cogliere le sfumature e la preziosità di questo ingente lavoro.

1.1 Cenni storici

La chiesa di San Giovanni a Porta Latina sorge sul Celio, presso la via Latina, non lontano dalla porta omonima della cinta aureliana. Essa è contigua alla cappella di San Giovanni in Oleo, prima memoria eretta a Giovanni Evangelista su un presunto tempio dedicato a Diana, considerata per lungo tempo il luogo dello scampato martirio dell’apostolo. Le notizie sulla vita e la morte di Giovanni, apostolo ed evangelista sono varie e, a volte, contraddittorie. Papia di Ierapoli (70-130 ca.) narra del suo martirio avvenuto, assieme al fratello Giacomo, per mano dei giudei. Policrate di Efeso (130-196 ca.), invece, in un frammento di un’epistola a papa Vittore I (189-199), riferisce della sua sepoltura a Efeso. È Tertulliano (II-III sec. d.C.) a fornire, tuttavia, una prima testimonianza dello scampato supplizio del santo, avvenuto intorno al 92 d.C.: «[…] ubi apostolus Iohannes posteaquam in oleum igneum demersus nihil passus est, in insulam relegatur». Secondo Girolamo (347-420 ca.) l’evento si sarebbe compiuto sotto Nerone (54-68), come si evince dall’Adversus Iovinianum (I 26) e dal commento a Matteo (ad 20, 23), composti fra il 393 e il 398. Ulteriori precisazioni a riguardo compaiono nei martirologi di VII-IX secolo, quali l’Adone di Vienna e i martirologi di Floro e di Vetus. La chiesa fu forse edificata sotto papa Gelasio I (492-496), come proverebbero i bolli doliari di Teoderico (495-526) rinvenuti durante gli scavi novecenteschi. Il Liber Pontificalis riporta anche un suo successivo rifacimento, avviato da Adriano I (772-795): «…ecclesiam beati Johannis Baptiste sitam iuxta portam Latinam ruinis praeventam in omnibus noviter renovavit». Al tempo di Adriano I rimonta, con ogni probabilità, l’iscrizione visibile sul pozzo di fronte all’edificio «ego stephanus in nomine pat. et filii esp… i», mentre alla prima metà dell’XI secolo risale la notizia di una comunità di sacerdoti presente all’interno del complesso, promotrice di una vasta opera di riforma e caratterizzata da una vita di intensa spiritualità, povertà e obbedienza. Fra XI e XII secolo, la chiesa divenne luogo d’incontro di personaggi di primo piano nel progetto di riforma della Chiesa, come Benedetto IX (1032-1044), Gregorio VI (1033-1049), Bartolomeo abate di Grottaferrata, Lorenzo di Amalfi, Odilone di Cluny e Ildebrando di Soana. Sotto Celestino III (1191-1198) ebbe inoltre una nuova dedicazione, testimoniata dall’iscrizione un tempo murata in controfacciata e ora collocata sul fronte di un moderno leggio. Allo scadere dell’XI secolo San Giovanni a Porta Latina è attestata come un’importante stazione liturgica delle celebrazioni del sabato precedente la Domenica delle Palme, che avevano luogo in San Giovanni in Laterano. Sebbene Gaetano Moroni, fonte di XIX secolo, supporti l’ipotesi secondo cui Gregorio I (590-604) avesse qui stabilito la stazione liturgica del sabato della Passione, per la stazione di Porta Latina appare arduo individuare un momento cronologico anteriore all’XI secolo. È però necessario ricordare che anche durante la cattività avignonese (1309) e il conseguente progressivo abbandono della città, la chiesa e il contiguo oratorio rimasero per molto tempo meta di pellegrinaggi. È inoltre plausibile ipotizzare che, fra XI e XIII secolo, un convento femminile benedettino fu annesso alla chiesa. Citato nel catalogo di Cencio Camerario del 1192, il monastero sarebbe esistito fino al pontificato di papa Bonifacio VIII (1299-1303). Quando quest’ultimo concesse la basilica lateranense al clero secolare, anche San Giovanni a Porta Latina dovette seguire le vicende della basilica madre. I beni, entrati a far parte del Capitolo Lateranense, si dileguarono e la comunità religiosa venne a trovarsi senza alcun reddito. Ne fu conseguenza il ritiro dei Canonici e l’abbandono del tempio. Solo nei primi decenni del XIV secolo vi si insediarono i Padri Clareni: ricordati dal Catalogo di Torino (1320 ca.), essi rimasero nella basilica fino al 1473, quando si trasferirono a San Girolamo della Carità. Il 15 gennaio 1496 il Capitolo Lateranense concesse la custodia della chiesa agli Eremitani di Sant’Agostino, che vi rimasero però solo pochi anni. Diverse sono state le Congregazioni religiose che si sono alternate nella gestione della chiesa, spesso abbandonata a causa sia della sua posizione in aperta campagna, sia delle ristrettezze economiche a cui era sottoposta. Per questo motivo, quando anche l’ultima comunità religiosa venne meno, il Capitolo decise di incaricare un canonico, scelto tra i suoi membri, allo scopo di provvedere a tutte le necessità della chiesa, senza ricevere altri emolumenti. Questi canonici, detti ‘Difensori’ o abati commendatari, si susseguirono nella cura della basilica e dei suoi annessi per oltre un secolo e mezzo, utilizzando le loro sostanze per il suo sostentamento. La sua custodia diretta fu così affidata ai padri eremiti, che avevano la facoltà di raccogliere le elemosine dei fedeli e di «questuare il quanto occorreva al proprio mantenimento», con l’obbligo di pernottare nei locali annessi alla basilica, e di farvi celebrare le messe festive a proprie spese. Nel 1703, i Padri Mercedari Scalzi ottennero dal Capitolo lateranense l’uso della chiesa e del convento; ma non essendo quest’ultimo abitabile per le sue cattive condizioni, si provvide a lavori di restauro e ampliamento. Nel 1729, ottenuta la chiesa in enfiteusi perpetua, ai Padri Mercedari succedevano i Padri Minimi di San Francesco da Paola. Questi avviarono l’edificazione di una fabbrica su via Latina, ma le forti spese e la zona malarica li costrinsero a spostare altrove il noviziato e ad affittare i locali per far fronte ai debiti contratti. Le condizioni dell’edificio andarono gradatamente peggiorando fino a quando i Padri Minimi, nel 1798, furono cacciati e dispersi dai francesi, e i locali, ormai cadenti, dati ai custodi della Porta. La chiesa minacciò allora di essere completamente spogliata di tutti gli arredi e le suppellettili e fu salvata solo grazie all’abilità e all’astuzia del vignaiolo, che versò di suo undici piastre ai soldati francesi. In quel periodo Porta Latina fu chiusa, con gravi conseguenze per la chiesa e per la zona, malsicura e spesso anche rifugio di scandali e nequizie. Il convento divenne così ospizio di pellegrini, alloggio di truppe di passaggio, più tardi deposito di lana e perfino essiccatoio di pelli per un beccaio. Nel 1830, date le cattive condizioni della basilica e del convento, i Padri rinunciarono definitivamente a ogni diritto sul complesso e, nel 1859, su sentenza del tribunale, anche il convento passò in possesso del Capitolo lateranense.
Nel 1876 la cura della chiesa fu affidata ai Terziari francescani di Albì, che dovettero però allontanarsi a causa della malaria. Nel 1905 le suore della Ss. Annunziata, dette Turchine, entrarono in possesso del convento e vi fondarono un monastero di clausura, venendo tuttavia allontanate alla fine degli anni Trenta, quando l’estendersi ormai crescente della città rese necessario un servizio religioso regolare.

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