giovedì 30 agosto 2012

La Morte della Pizia (parte settima)





avanti agli occhi chiusi della Pizia, che immersa in vapori assai più fitti di prima si dondolava ritmicamente, si stagliò ora un uomo dalla figura altera e indubitabilmente regale, anche se biondo, azzimato , stanco e accidioso. Pannychis seppe subito che si trattava di Laio. Com’è ovvio il monarca si era stupito assai quando Tiresia gli aveva riferito l’oracolo di Apolli secondo il quale se mai Giocasta gli avesse generato un figlio, questi lo avrebbe assassinato. Laio, fra l’altro, conosceva Tiresia, i prezzi dei suoi oracoli erano vergognosi, solo i ricchi potevano permettersi un Teresia, la gente normale era costretta a recarsi a Delfi di persona per consultare la Pizia, ciò che certo non dava le stesse garanzie; infatti, così credeva la gente, quando era Tiresia a interrogare la Pizia, la chiaroveggenza di lui si trasmetteva a lei; tutte sciocchezze, naturalmente, Laio, che era un despota illuminato, sapeva che l’unico vero problema era di appurare chi, corrompendo Tiresia, poteva averlo indotto a far pronunciare un oracolo tanto perfido. Certo qualcuno interessato a che loro, lui e Giocasta, non facessero figli; o Meneceo o Creonte, dunque, poiché uno di loro due, se il suo matrimonio con Giocasta fosse rimasto sterile, avrebbe ereditato il trono. Ma Creonte, nella sua indefettibile ottusità, era un uomo estremamente fedele e di un dilettantismo politico a dir poco clamoroso. Non restava dunque che Meneceo. Quello già di sicuro si vedeva nelle vesti del padre di un re, certo che, per Zeus, doveva aver spillato dalle casse dello Stato una barca di quattrini, i prezzi di Tiresia superavano di molto il patrimonio su cui Meneceo pagava le imposte. Ebbene, essendo l’uomo drago suo suocero, non era il caso di preoccuparsi delle sue attività cospirative, ma certo che sprecare una somma così enorme per un oracolo che si poteva ottenere per pochi spiccioli… Per fortuna, come a Tebe ogni anno, una piccola pestilenza serpeggiava intorno alla roccia di Cadmo e già aveva ghermito alcune dozzine di persone, perlopiù gente di poco conto, filosofi, rapsodi e altri poetastri. Laio mandò a Delfi il suo segretario con diverse proposte e dieci monete d’oro: in cambio di dieci talenti si otteneva dal gran sacerdote qualsiasi cosa; già undici talenti avrebbero dovuto registrarli nei libri contabili del santuario. L’oracolo che il segretario riportò da Delfi fu che la peste, la quale nel frattempo si era un poco attenuata, sarebbe cessata del tutto solo se uno degli uomini drago si fosse sacrificato per il bene della città. Il che significava che la peste era pronta a divampare di nuovo con grande violenza. L’oste Peloro disse allora vivacemente che l’uomo drago di nome Peloro non era affatto un suo antenato, qualcuno per fargli del male aveva diffuso quella voce falsa e tendenziosa. Meneceo, quindi, come unico sopravvissuto della stirpe degli uomini drago, dovette per forza salire sulle mura della città e di lì gettarsi di sotto; ma invero Meneceo fu felicissimo di potersi sacrificare per il bene della città, l’incontro con Tiresia lo aveva finanziariamente rovinato: era insolvente, gli operai mugugnavano, il fornitore di marmo Kapys aveva da tempo sospeso le consegne, la fabbrica di laterizi pure, la parte orientale delle mura della città non era altro che uno scheletro in legno, la statua di Cadmo nella Piazza del Consiglio era fatta di gess, di bronzo non aveva che il colore, e al primo acquazzone Meneceo si sarebbe comunque dovuto suicidare. Come una rondine gigantesca caduta in deliquio, precipitò dalla parte sud delle mura, e mentre echeggiavano nel sottofondo i canti solenni delle damigelle d’onore, Laio strinse la mano di Giocasta, e Creonte fece il saluto militare. Ma quando Giocasta partorì Edipo, Laio sbigottì. Naturalmente non credeva all’oracolo, era assurdo pensare che suo figlio lo avrebbe assassinato, ma insomma, per Hermes, avesse almeno saputo se Edipo era davvero suo figlio, certo, non poteva negare che qualcosa lo aveva sempre trattenuto dal dormire con sua moglie, il loro era comunque un matrimonio di convenienza, lui aveva sposato Giocasta per avvicinarsi alla gente del popolo, visto che, per Hermes, dati i suoi trascorsi prematrimoniali Giocasta la conoscevano tutti, c’era mezza città che si sentiva solidale con Laio; forse era pure superstizione ciò che lo teneva lontano dal letto di Giocasta, ma l’idea che suo figlio potesse assassinarlo era in qualche modo poco incoraggiante e, a dire il vero, a Laio le donne non piacevano, preferiva di gran lunga le giovani reclute, ma di tanto in tanto, quando era proprio sbronzo, con sua moglie doveva pur averci dormito, Giocasta assicurava di sì, e lui, veramente, non sapeva più bene, c’era fra l’altro quel maledettissimo ufficiale della guardia…insomma, la cosa migliore era esporre il marmocchio che tutt’a un tratto vide giacere in una culla.
La Pizia si strinse nel mantello, di colpo i vapori si fecero di ghiaccio e lei ebbe freddo, e mentre era lì che gelava vide di nuovo davanti a sé il viso incrostato di sangue del cencioso mendicante, il sangue colò via dalle orbite e due occhi azzurri la guardarono in faccia: era un viso aspro, lacerato, che niente aveva di greco, il viso di un ragazzo, lo stesso del giorno lontano in cui lei, Pannychis, si era beffata di Edipo pronunciando un oracolo escogitato lì per lì di sana pianta. Che razza di imbroglione è mai questo, pensò ora Pannychis, è chiaro che già a quell’epoca sapeva benissimo di non essere figlio di Polibo e Merope, il re e la regina di Corinto!
“Sicuro,” rispose il giovane Edipo attraverso i vapori che sempre più fitti avvolgevano la Pizia “l’ho sempre saputo. A raccontarmelo furono le serve e gli schiavi, e anche il pastore che trovò me, neonato inerme, sul monte Citerone, con i piedi trafitti da uno spillo e legati per le caviglie. L’ho sempre saputo di essere stato consegnato così a Polibo, il re di Corinto. Polibo e Merope sono sempre stati buoni con me, questo devo ammetterlo, ma non sono mai stati veramente sinceri, temevano di dirmi la verità perché tale era il loro desiderio di avere un figlio che preferivano immaginare in qualche modo di averlo davvero, e io allora sono venuto a Delfi. Apollo era l’unica istanza alla quale mi potevo rivolgere. Ti assicuro, Pannychis, io credo in Apollo, continuo tutt’ora a credere in lui, non avevo certo bisogno che Tiresia mediasse tra noi, , eppure non venni a consultare l’oracolo di Apollo con una vera e propria domanda, sapevo benissimo che Polibo non era mio padre; venni da Apollo con l’intento di stanarlo, e in effetti lo stanai dal suo divino nascondiglio; ebbene, l’oracolo tonante che per bocca tua ricevetti dal dio fu veramente atroce, come sempre in effetti la verità è atroce, e atrocemente infatti quell’oracolo si è compiuto. Allora, quando ti lasciai, pensai tra me e me che se Polibo e Merope non erano i miei genitori, dovevano esserlo le persone in relazione alle quali l’oracolo si sarebbe avverato. E quando a un crocevia uccisi un vecchio irascibile e vanaglorioso seppi, ancora prima di averlo ucciso, che si trattava di mio padre, chi altri avrei potuto uccidere se non lui… in realtà un altro uomo l’ho ucciso, ma fu più tardi, un tipo insignificante, un ufficiale della guardia di cui ho scordato perfino il nome”.

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