mercoledì 4 settembre 2013

Giancarlo de Carlo, un architetto umile e combattivo

La figura di Giancarlo de Carlo mi incuriosisce molto. E' nato tutto da un amico che mi ha raccontato un episodio che lo riguarda; trascrivo le parole che mi ha detto.
"Negli anni 60, gli architetti moderni, razionalisti, seguivano le direttive del CIAM, il congresso internazionale degli architetti moderni, sotto la onnipresente guida di LeCorbusier. Guai a chi sgarrava: ormai le direttive del CIAM erano legge, e chi non le seguiva faceva case sbagliate (un po' la stessa cosa che dicevano gli accademici ai modernisti, quando erano i secondi a essere rivoluzionari). Si parlava del nuovo modo di pensare le città, che LeCorbu intendeva così:

E fra l'appoggio incondizionato di tutti, un trentenne italiano (l'unico al congresso) gli disse 'no!' E LeCorbusier muuuto!"
Questo è come me l'ha detto, poi ho preso un libro e ho letto che le esatte parole non erano queste, ma il succo del discorso si è capito. Ma la storia del trentenne che crede di saperla lunga e contraddice il dio dell'architettura mi è rimasta.

Così ho scoperto la figura di questo giovane e testardo piccoletto, che ha litigato con qualsiasi studioso al mondo ed è stato cacciato da qualsiasi università, per la sua idea chiara ma scomoda dell'architettura, fuori da tutti gli schemi e gli stili, e perciò condannata a restare fuori dal grande giro della celebrità.
La sua idea, da quanto ho capito, è che la casa è fatta per l'uomo, è un servizio all'umanità, perciò l'architetto deve essere umile, cioè "costantemente pulsante di servizievolità verso tutte le cose". E ciò implica che ogni impronta personale di stile è sacrificata al bisogno che l'opera deve soddisfare.
Esempi vari:
La facoltà di magistero di Urbino:

L'interno, molto bello e articolato, viene nascosto al di fuori dalla pelle esterna dell'edificio, che è un semplice muro di mattoni che segue il profilo della strada, alto quanto le case attorno. Poi si adatta alla collina su cui si trova, e si sviluppa sul declivio aprendosi in una spettacolare piazza di vetro, un belvedere non visto dalla città. A Urbino costruisce molti edifici, anche nel centro storico, evitando di "mummificarla" e mantenendola viva senza alienarla.

Il villaggio Matteotti a Terni:

Un quartiere operaio, complesso e pieno di passaggi sospesi, piazzette, luoghi di convivenza, in cui ogni casa è diversa dall'altra, anche se fatta degli stessi elementi. L'operaio che vive tutto il giorno davanti allo stesso nastro a fare la stessa cosa mille volte non può tornare in una casa che sia un replicato della catena di montaggio, come nei "migliori" quartieri moderni della Germania.

Quartiere popolare a Mazzorbo, Venezia:

Le case sono stavolta una perfetta replica dello stile tradizionale dell'architettura della laguna veneta. Ogni invenzione moderna cede il passo al rassicurante e allo storico, nell'atto più discusso di De Carlo, per il quale è stato accusato di essere un "traditore della modernità".

Dai progetti mostrati, non si capisce lo stile di de Carlo; non si riesce a guardare un progetto e a dire: "E' suo". Di lui si intuisce soltanto una personalità che vuole scomparire, eppure non smette mai di contestare e di cercare di farsi sentire, attraverso la sua rivista "Spazio e società" e al gruppo ILAUD.
Dopo la sua morte, si è salvato dalla mitizzazione. Non se ne parla come di un grande e non lo si prende ad esempio; per fortuna che si racconta l'aneddoto del CIAM, se no non ne sarei mai neanche stato incuriosito.

1 commento:

  1. Condivido con De Carlo la necessità di studiare attentamente il luogo e le necessità del luogo e dei committenti, di leggere con chiarezza le relazioni che si innescano attraverso l'intervento non tanto e solo al presente ma in un futuro in cui quell'intervento, attraverso la sua sintesi progettuale, che verrà appunto realizzata, costruita, con dispendio di forze e denaro e materiali,consenta anche ad altri, "ai futuri" appunto, di apportare le modifiche per viverlo ancora e renderlo adatto alle loro necessità, non alla velleitaria ideologia di progettisti superstar e ai loro stereotipati modelli o soprattutto di politici che legggono solo il fatto speculativo immediato, non certo le mutazioni topologiche tipologiche morfologiche e le connessioni che si innestano nel sociale e nell'urbano, fino alla scala territoriale, di un luogo.
    fernanda ferraresso

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