"Negli anni 60, gli architetti moderni, razionalisti, seguivano le direttive del CIAM, il congresso internazionale degli architetti moderni, sotto la onnipresente guida di LeCorbusier. Guai a chi sgarrava: ormai le direttive del CIAM erano legge, e chi non le seguiva faceva case sbagliate (un po' la stessa cosa che dicevano gli accademici ai modernisti, quando erano i secondi a essere rivoluzionari). Si parlava del nuovo modo di pensare le città, che LeCorbu intendeva così:
E fra l'appoggio incondizionato di tutti, un trentenne italiano (l'unico al congresso) gli disse 'no!' E LeCorbusier muuuto!"
Questo è come me l'ha detto, poi ho preso un libro e ho letto che le esatte parole non erano queste, ma il succo del discorso si è capito. Ma la storia del trentenne che crede di saperla lunga e contraddice il dio dell'architettura mi è rimasta.
Così ho scoperto la figura di questo giovane e testardo piccoletto, che ha litigato con qualsiasi studioso al mondo ed è stato cacciato da qualsiasi università, per la sua idea chiara ma scomoda dell'architettura, fuori da tutti gli schemi e gli stili, e perciò condannata a restare fuori dal grande giro della celebrità.
La sua idea, da quanto ho capito, è che la casa è fatta per l'uomo, è un servizio all'umanità, perciò l'architetto deve essere umile, cioè "costantemente pulsante di servizievolità verso tutte le cose". E ciò implica che ogni impronta personale di stile è sacrificata al bisogno che l'opera deve soddisfare.
Esempi vari:
La facoltà di magistero di Urbino:
Il villaggio Matteotti a Terni:
Quartiere popolare a Mazzorbo, Venezia:
Le case sono stavolta una perfetta replica dello stile tradizionale dell'architettura della laguna veneta. Ogni invenzione moderna cede il passo al rassicurante e allo storico, nell'atto più discusso di De Carlo, per il quale è stato accusato di essere un "traditore della modernità".
Dai progetti mostrati, non si capisce lo stile di de Carlo; non si riesce a guardare un progetto e a dire: "E' suo". Di lui si intuisce soltanto una personalità che vuole scomparire, eppure non smette mai di contestare e di cercare di farsi sentire, attraverso la sua rivista "Spazio e società" e al gruppo ILAUD.
Dopo la sua morte, si è salvato dalla mitizzazione. Non se ne parla come di un grande e non lo si prende ad esempio; per fortuna che si racconta l'aneddoto del CIAM, se no non ne sarei mai neanche stato incuriosito.
Condivido con De Carlo la necessità di studiare attentamente il luogo e le necessità del luogo e dei committenti, di leggere con chiarezza le relazioni che si innescano attraverso l'intervento non tanto e solo al presente ma in un futuro in cui quell'intervento, attraverso la sua sintesi progettuale, che verrà appunto realizzata, costruita, con dispendio di forze e denaro e materiali,consenta anche ad altri, "ai futuri" appunto, di apportare le modifiche per viverlo ancora e renderlo adatto alle loro necessità, non alla velleitaria ideologia di progettisti superstar e ai loro stereotipati modelli o soprattutto di politici che legggono solo il fatto speculativo immediato, non certo le mutazioni topologiche tipologiche morfologiche e le connessioni che si innestano nel sociale e nell'urbano, fino alla scala territoriale, di un luogo.
RispondiEliminafernanda ferraresso