Honoré Daumier, Vagone di terza classe, cm 67 × 93, Ottawa, National gallery of Canada |
In fondo a destra, invece, pare ci sia una discussione: solo un uomo parla concitato, mentre gli altri ascoltano seri.
Le tre (quattro con il neonato) figure in primo piano sono rappresentative di ogni età: il bambino è ancora indifferente al contorno e dorme, la donna giovane è tutta presa dal piccolo, la vecchia si fissa nei propri pensieri e sorride.
Nessuno pare rendersi conto di quello che allo spettatore del quadro salta subito all'occhio, cioè la povertà di tutta la scena. C'è in tutti una certa dignità da poveri, da uomini che, non possedendo, non sono schiavi di ciò che possiedono. Daumier, caricaturista, sapeva rappresentare con i lineamenti del volto ogni corruzione o disperazione: ma in questo quadro i volti sono fieri, anche se non eroici; e belli, anche se non idealizzati.
La tranquillità degli sguardi, la serietà della situazione, non fanno pensare a una povertà da cui si voglia evadere, cioè a quel povero che vuole diventar ricco per schiacciare i poveri come lui; è invece una povertà come condizione umana, perché, in fondo, siamo deboli e fragili.
Per cui i viaggiatori del vagone di terza classe sono nel bel mezzo di una lotta più rivoluzionaria della ribellione fine a sé stessa: abbracciano la propria condizione e vi si dedicano: la madre con il bambino, il gruppetto in fondo con la conversazione (dal latino cum vertere, voltarsi insieme); ognuno nella propria specifica condizione.
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