Abbiamo voluto, di nuovo, come per l’iniziativa che organizzammo dal 10 al 12 ottobre 2008 al “parco delle caprette”, utilizzare la parola “Siesta” per indicare queste giornate di incontri promosse da Pane Pace Lavoro. In quell’occasione iniziammo dicendo che desideravamo “proporre, a tutti, un momento e un simbolo di “siesta” e di riposo, contro l’incessante e assurdo correre di una società che è ormai disumanizzante, di una società che vuole essere la fabbrica tecnologicamente perfetta di un impero così umanamente impossibile da ricordare la disfatta di quello mitico di Babele”. Dicevamo inoltre che era necessario, in un momento molto grave di emergenza democratica e contro lo stato di menzogna e di disumanità, ed oggi il momento non pare molto differente, reimparare la parola “libertà” e tornarla a gustare nella pratica, così da far nascere naturale una distanza umana, culturale, sociale e politica da quelle personalità che vogliono negare ogni diritto alla resistenza o al dissenso. Oggi, come già 5 anni fa, vogliamo ancora dire che c’è ancora qualcuno che non tace di fronte al conformismo del potere, che c’è qualcuno che dissente dalle propagandate verità false, che c’è qualcuno che già sta vivendo uno spazio di libertà.
Credo che queste parole, riprese dall’allora discorso introduttivo, siano ancora oggi necessarie per poter introdurre gli interventi di questa sera e delle due serate che seguiranno. Non possiamo però, oggi, prescindere dai cinque anni che, da quegli incontri, sono passati; cinque anni in cui in Italia e nel mondo moltissime cose sono accadute, facendo maturare esperienze e personalità, svelando nuove menzogne e brame di potere, portando alla luce nuovi razzismi e generando allo stesso tempo imprevisti eroismi. Non possiamo prescindere nemmeno dagli amici che ci hanno lasciato, i cui nomi, anche se non pronuncio esplicitamente, sono stampati nei cuori e nelle azioni di migliaia di persone. Non prescindere da tutto questo significa aver compreso che non si può muovere un passo in questa lotta se non ci si impone di essere uomini nuovi, se non si lotta per creare un costume e uno stile di vita, se non si lotta per riscoprire e liberare una cultura.
Solo in questo modo potremo evitare due grandi rischi: l’asservimento e il tradimento. L’asservimento di chi, se non è quell’uomo nuovo, è certamente preda di quell’ideologia che lo vuole schiavo e sottomesso: il buon cittadino che il potere vuole che egli sia, tenendolo asservito alla propria logica, che rende impotenti in ogni luogo, persino in quelli in cui si potrebbe ritenere di essere in qualche modo liberi.
Il tradimento di chi, non avendo oggi rapporti umani e sociali nuovi, tornerà di certo, domani, a creare quelle contraddizioni, anche in una nuova società, nelle quali ora, coscientemente o meno, si alimenta, tradendo la vera aspettativa di chi lotta con lui. Entrambi i rischi sono e saranno sempre presenti in qualunque azione rivoluzionaria che, presumendo, erroneamente o per pigrizia mentale, una omogeneità tra le parti che la compongono, ritenga che queste possano giungere autonomamente e spontaneamente alla coscienza di una propria cultura, dando per scontato il faticoso e difficile processo di rivoluzione culturale.
L’invito di Pane Pace Lavoro è quindi, ancora una volta, quello di attuare per la conquista di una nuova coscienza rivoluzionaria, che si formi a partire dall’azione sul campo e che abbia in sé un azione di acculturazione interna ed allo stesso tempo esterna.
Questo tipo di lavoro però presuppone che non ci possano essere un lavoro intellettuale ed uno pratico separati, che non ci possa essere un lavoro teorico slegato dall’azione. Non possono essere separati lo scrivere il libro e il volantinare, così come non possono essere separati lo studio dall’aiuto al compagno nei suoi bisogni immediati: nessuno può escludere il benché minimo fattore della lotta politica (e della vita quotidiana), pena il ridurre a nullità tutto ciò che un’azione ha di storicamente pregnante.
Le personalità che in queste serate si alterneranno racconteranno proprio di questo struggente desiderio di una nuova cultura e di una viva azione per l’ apparentemente assurda pretesa di costruire spazi di libertà.
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