Presentato fuori concorso alla 68° Mostra del cinema di Venezia, Il villaggio di cartone è l'ultima opera di Ermanno Olmi,
e forse il suo testamento cinematografico, tanto è la forza e la
determinazione con cui sono espressi, ma viene da dire "urlati" i temi
canonici della poetica del regista bergamasco, già autore di Centochiodi o la Palma d'oro a Cannes nel 1978 L'albero degli zoccoli.
La
pellicola racconta di un parroco di una chiesa dismessa, dalla quale
nelle scene iniziali vengono prelevati tutti gli oggetti sacri, il
crocefisso, il tabernacolo, i quadri, le luminarie. Il prete è duramente
messo alla prova da questo momento difficile, e l'arrivo di un gruppo
di rifugiati clandestini africani
che si accampa nell'edificio per sfuggire alle retate delle forze
dell'ordine sarà occasione per un bilancio della sua vita e la
confessione delle sue debolezze.
Girato in un unico luogo, con chiara impostazione teatrale
nella gestione degli spazi, nell'illuminazione degli ambienti e nella
recitazione degli attori, tra cui moltissimi non protagonisti, come è
tradizione per il regista, il film presenta delle scene di grande
suggestione. Un esempio molto importante è la lunga scena iniziale della
spoliazione della chiesa, che sembra davvero una violenza compiuta
contro un corpo inerme, che non può difendersi: attraverso un sapiente
uso del montaggio e con delle luci nette e ben indirizzate, nonché con
le musiche sacre di Sofia Gubaidulina, Olmi trasmette tutta la tristezza e lo sconforto del prete.
Impostato
poi come una serie di dialoghi teatraleggianti, i temi del film
emergono con una prepotenza e una serietà che lasciano intendere quanto
stiano a cuore all'autore, rendendo forse la pellicola il suo
testamento. L'appello per un ritorno al cristianesimo delle origini, di
povertà, amore per gli umili e i poveri si incrocia con il tormento del
protagonista riguardo al silenzio di Dio e alla necessità della fede per
realizzare il Bene nel mondo dell'uomo. Il dialogo tra l'uomo di fede e
il medico non è allora tanto il classico scontro tra ateismo-ragione e
religiosità-fede ma un dibattito interno a ogni anima, impossibilitata a
sapere se ha scelto la strada giusta per la propria vita.
Similmente a Terraferma il
tema dell'accoglienza degli immigrati clandestini esula dal contesto
politico ma è diretta emanazione di uno sdegno e di una giusta
ribellione contro un'umanità che sembra aver perso la propria ragion
d'essere.
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