martedì 6 settembre 2011

La fotografia nella produzione di Làszlò Moholy–Nagy

Làszlò Moholy–Nagy nasce a Borsod (Ungheria) il 10 luglio del 1895. Dopo aver seguito i corsi di legge a Budapest continua i suoi studi all'Accademia d'Arte, dove fonda il Circolo poetico Endre Ady e pubblica incisioni di influenza cubista nel giornale futurista Ma (Oggi). Dal 1920 dipinge ispirandosi ai congegni meccanici secondo le idee del "costruttivismo" e "Le strutture del mondo" e fonda la rivista Jelenkor (Età presente). Mobilitato nella guerra del 1914 con l'esercito austro-ungarico, è ferito sul fronte russo nel 1917, e viene ricoverato ad Odessa e poi a Szeged. Chiamato da Gropius tra i docenti del Bauhaus, arriva a Weimer nella primavera del 1923 dove gli viene affidata la direzione delle pubblicazioni del Bauhaus, destinate all'educazione artistica degli studenti e come insegnante, il laboratorio dei metalli. Nella Bauhaus, Gropius mirava a colmare il vuoto tra arte pura ed arte applicata. L'artigianato, infatti, veniva incluso tra le materie di studio della scuola, e considerato, più che importante, necessario. Orefici, fabbri e falegnami non vi cercavano di attuare dell'artigianato artistico, ma di fornire all'industria modelli dalle forme perfette. Nacque, così, una nuova carriera artistica: quella dell'industrial designer, creatore di forme, destinate all'industria, di mobili metallici, lampade da tavolo, macchine da scrivere, ferri da stiro, carrozzerie per auto ; nonché di cartelloni pubblicitari, impaginazioni tipografiche, montaggi fotografici. Si eliminava, così, l'odio insorto contro la macchina, e si manteneva, al tempo stesso, il rispetto per l'artigianato. I mezzi si armonizzavano in conformità alle esigenze e lo spirito dell'epoca. Nella scuola c'era la consuetudine, che i giovani docenti si presentassero a quelli più anziani e avessero con loro un colloquio, un primo scambio di idee. Così, tra gli altri, Moholy-Nagy incontra Lother Schreyer, predecessore di Oscar Schlemmer nel laboratorio del teatro e il breve ricordo che Schreyer dedica in "Erinnerungen an Sturm und Bauhaus" al suo primo incontro con Moholy è la registrazione precisa tra due mentalità diverse, tra due opposte concezioni culturali, e, nello stesso tempo, un incisivo ritratto di Moholy- Nagy. Dopo aver congedato il suo giovane collega e meditando alle obiezioni che questi aveva mosso all'insegnamento dei vecchi maestri, egli si chiede se il suo arrivo non segni la fine del Bauhaus. Le critiche di Moholy erano state indubbiamente radicali : "Nonostante sia qui da poco tempo mi sono già reso conto che voi siete affetti da romanticismo e naturalismo. Tutto questo dovrebbe ormai appartenere al passato e non credevo di trovare qui, al Bauhaus, un mondo come questo che ritengo ormai superato. Sono molto grato a Gropius che mi ha chiamato come docente del laboratorio dei metalli, Qui bisogna conoscere la matematica e il calcolo. E la matematica la so." Tutto il "fare" di Moholy-Nagy, è mosso da una costante ricerca di equilibrio tra un autonomia della ricerca artistica, e della specificità linguistica, e un fortissimo richiamo al sociale, per cui l'arte è intesa come modello di attività sostanzialmente libera e autogratificante e come tale in grado di agire anche sugli altri in senso vivificante e liberatorio. E questo perché tutti gli altri hanno in sé questa fondamentale, originaria, possibilità di auto liberazione. In una nota di diario del maggio del 1919, scritta a Budapest, egli dichiara di sentire tutta la propria responsabilità nei confronti della società e si chiede se sia giusto seguire fino in fondo la propria vocazione di diventare pittore in tempi di rivoluzione sociale, reclamando per sé il privilegio dell'arte quando tutti gli uomini sono chiamati a risolvere i problemi della sopravvivenza materiale. A questa domanda Moholy dà una risposta affermativa e di grande significato non solo per sé, ma anche perché fornisce una chiave interpretativa di un atteggiamento comune a molta parte dell'avanguardia storica : "Il mio contributo è di progettare la mia vitalità, la mia facoltà di costruzione, mediante la luce, il colore, la forma. Io posso dare vita come pittore."

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