martedì 10 gennaio 2012

Delitto e Castigo, estratto


«Parlo seriamente, credetemi...
Immaginate, Sònja, di aver potuto conoscere in anticipo tutte le intenzioni di Lùžin, di aver potuto sapere (con sicurezza voglio dire), che in tal modo sarebbero stati completamente rovinati Katerìna Ivànovna e i bambini, e anche voi per giunta (visto che non vi considerate nulla,
ho detto per giunta). E anche Pòleèka... perché anche lei prenderà la stessa strada. Be', ecco: se la decisione, d'un tratto, fosse rimessa a voi: se tocchi a lui vivere, oppure tocchi a loro, cioè se Lùžin debba vivere e fare le sue porcherie, e Katerìna Ivànovna debba morire... Che cosa
decidereste: chi di loro dovrebbe morire? Ve lo
domando.»
Sònja lo guardò inquieta: le era parso di udire qualcosa di strano in questo discorso esitante, e preso così alla larga.
«Lo sapevo che mi avreste domandato qualcosa di simile,» disse, fissandolo con uno sguardo scrutatore. «Va bene, sia pure; ma come decidereste?»
«Perché mi domandate una cosa che non può essere?» rispose Sònja con ripugnanza.
«Allora, è meglio che viva Lùžin e faccia le sue porcherie? Non avete il coraggio di decidere nemmeno questo?»
«Ma io non posso conoscere le intenzioni della Divina Provvidenza... Perché voi mi domandate ciò che non si deve domandare? Perché mi fate delle domande inutili? Come è possibile che ciò dipenda dalla mia decisione? E chi mi ha dato il potere di giudicare quali persone debbano vivere e quali no?»
«Se mettiamo in mezzo la Divina Provvidenza, allora non c'è più niente da fare,» brontolò Raskòlnikov acidamente. «Ditemi piuttosto apertamente che cosa volete!» esclamò
Sònja con pena. «Di nuovo, state portando il discorsoverso qualcosa... Possibile che siate venuto solo per tormentarmi?»
Non resse, e a un tratto scoppiò a piangere amaramente. Egli la guardava in preda a una cupa angoscia. Passarono forse cinque minuti. «Hai ragione, Sònja,» disse alla fine, piano,Raskòlnikov.
Era cambiato di colpo; il suo tono di artificiosa sfrontatezza e di sfida impotente era svanito. Perfino la sua voce s'era improvvisamente affievolita. «Io stesso, ieri, ti ho detto che non sarei venuto a chiederti perdono, e invece ho quasi cominciato col chiedere perdono...
Quello che ho detto di Lùžin e della Divina Provvidenza, lo dicevo per me... Era un modo di chiedere perdono, Sònja... Fece per sorridere, ma in quel pallido sorriso c'era qualcosa di scialbo e di sfuggente. Chinò la testa e si coprì il viso con le mani. D'un tratto, un'improvvisa sensazione di acre odio contro Sònja gli invase il cuore. Sorpreso e spaventato di questa sensazione, sollevò il capo di colpo e la guardò fissamente; ma incontrò lo sguardo di lei, inquieto, tormentato, premuroso, nel quale si leggeva l'amore, e il suo odio svanì come un fantasma. Era qualcos'altro:
aveva scambiato un sentimento per un altro. Significava una sola cosa: che quel momento era arrivato. Di nuovo si nascose il viso con le mani e chinò la testa. A un tratto impallidì, si alzò dalla sedia, guardò Sònja e, senza dir nulla, andò a sedersi macchinalmente sul letto.
Come sensazione, quel momento somigliava terribilmente a quello in cui s'era trovato dietro la,vecchia, dopo aver già sfilato la scure dal cappio, e aveva sentito che ormai «non c'era più un istante da perdere».
«Che avete?» domandò Sònja, sempre più impaurita. Egli non riuscì a pronunziare una sola parola. Non era certo così che s'era proposto di comunicare la cosa, e neanche lui capiva che cosa gli stesse succedendo. Sònja gli si avvicinò pian piano, gli si sedette accanto sul letto e
restò Iì in attesa, senza levargli gli occhi di dosso. Il cuore le batteva forte, e a tratti si fermava. La situazione divenne insopportabile: egli girò verso di lei un viso mortalmente pallido; le labbra gli si storsero impotenti, incapaci di pronunziare una sola parola. Il cuore di Sònja s'empì di terrore.
«Che avete?» ripeté, scostandosi un po' da lui. «Niente, Sònja. Non devi aver paura... Sono tutte
sciocchezze! A pensarci bene, sono davvero sciocchezze,» mormorava Raskòlnikov con l'espressione di uno che delira e non sa quel che dice. «Vorrei proprio sapere perché son venuto qui a tormentarti...» aggiunse a un tratto, guardandola. «Davvero... Perché? Continuo a
domandarmelo, Sònja...» Se l'era domandato, forse, un quarto d'ora prima; ma adesso parlava in uno stato di completa prostrazione, di semincoscienza, e con un tremito incessante in tutto il
corpo. «Come vi torturate!...» disse Sònja con pena, osservandolo attentamente.
«Sciocchezze, solo sciocchezze!... Senti, Sònja,» e qui, chissà perché, sorrise per un paio di secondi d'un sorriso lieve, incolore, «ricordi quel che volevo dirti ieri?»
Sònja aspettava con ansia. «Nell'andar via, ti ho detto che forse ti salutavo per sempre, ma che, se fossi tornato oggi, ti avrei detto... chi ha ucciso Lizavèta.»
Un forte tremito la scosse tutta. «Ecco, sono venuto a dirtelo.»
«Ma allora parlavate sul serio, ieri...» sussurrò lei a stento. «Come fate a saperlo?» gli chiese poi in fretta, tornata in sé di colpo; e cominciò a respirare affannosamente. Il suo viso si faceva sempre più pallido.
«Lo so.»
Lei non parlò per un minuto. «Lui lo hanno trovato?» chiese timidamente. «No, non l'hanno trovato.» «E allora, come fate a sapere questa cosa?» chiese di nuovo Sònja, con voce appena percettibile, dopo un altro minuto di silenzio.
Raskòlnikov si girò verso di lei e la guardò fissamente. «Indovina,» disse con lo stesso sorriso storto e scialbo.
Il corpo di lei fu scosso come da una convulsione.

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