Anche l'io, dunque, è più un oggetto che un soggetto. E da questa messa in questione dell'individuo deriva un ritorno alle cose, un appello alla dura lezione dei fatti. All'arte non si chiede più un'interpretazione o trasfigurazione della natura, ma una descrizione esatta, impersonale, fotografica. non a caso nei ritratti della Nuova Oggettività le figure sono spesso disegnate con occhiali, monocoli, lenti. É un dettaglio ispirato, certo, dal desiderio di non idealizzare l'immagine, di non idealizzare i segni che ne denunciano i limiti e i difetti. Ma soprattutto ribadisce che quello che importa è l'osservazione attenta, inoppugnabile, delle cose, non la cecità rabdomantica che un tempo si attribuiva ai poeti.
Molti, in questi anni, avrebbero potuto condividere la tesi di Eliot: "La poesia non è espressione della personalità, ma evasione della personalità". Scrivono Grosz e la nuova oggettività tedesca nel 1920: " Noi rifiutiamo l'idea [...] che l'arte sia la natura vista attraverso il temperamento dell'artista. La pittura è una cosa collettiva".
"L'uomo non è più un individuo rappresentato con un sottile scavo psicologico, ma un concetto colletivo, quasi meccanico. Il destino individuale non ha più importanza".
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