Schad |
“Gli effetti organizzati di luce e d’ombra danno origine a un nuovo arricchimento della visione”(1). Nel marzo del 1920 appaiono pubblicate, sul numero sette della rivista Dadaphone, alcune fotografie astratte di Schad(2). All’origine di questa pubblicazione c’è Tristan Tzara che, per indicare questi esperimenti di fotografia senza camera, crea il termine di schadografia: un gioco di parole tra shadow, ombra, ed il cognome dell’artista autore delle foto; ma anche un richiamo alla Schattenbildphotographie (fotografia di ombre), altro termine impiegato in passato per designare questa pratica(3). Tzara è da subito entusiasta del nuovo utilizzo della fotografia: “c’était du plus pur Dada”(4).
Moholy-Nagy |
Si apre la strada per un utilizzo della fotografia, non più in chiave solo mimetico-naturalistica, ma alla ricerca di nuove ed inedite dimensioni figurative, percettive ed immaginative.
Sulla “scia” di Schad, la fotografia senza camera viene ripresa da Man Ray e da Lazló Moholy-Nagy. Man Ray narra come propria la «scoperta» della tecnica del fotogramma avvenuta agli inizi del 1922, in realtà doveva essere a conoscenza dei fotogrammi “dadaisti” realizzati qualche anno prima da Christian Schad(5); ma geloso della «propria» trovata, la battezza, come facevano i pionieri della fotografia, riprendendo il proprio soprannome. Oggi, al di là del lavoro preliminare di Christian Schad, il rayograph o rayogram è diventato un capitolo importante nella storia della fotografia.
Man Ray |
I fotogrammi di Man Ray, rispetto alle schadografie, mostrano un lavoro più approfondito: estendendo la tecnica del fotogramma agli oggetti tridimensionali crea una più ampia gamma di effetti pittorici e luministici; inoltre ne aumenta le dimensioni e, abbandonati i capricci del caso e la poetica degli “objets trouvés”, ricerca degli accostamenti straniati e paradossali, cari al Surrealismo. L’interprete più rigoroso e sistematico della fotografia senza macchina fotografica è Lazló Moholy-Nagy; i suoi interessi verso il cinema sperimentale sono fondamentali, infatti arriva al fotogramma influenzato dai film di Walter Ruttman, Viking Eggeling e di Hans Richter. Nel 1922 realizza le sue prime “composizioni luminose”(6). Il termine «fotogramma» compare nel 1926 in Pittura Fotografia Film:
“Questa strada rende possibile la creazione con la luce, dove bisogna saper trattare alla perfezione la luce come nuovo mezzo espositivo, nello stesso modo del colore in pittura e del suono in musica. Chiamo fotogramma questo tipo di composizione con la luce. Qui stanno le possibilità creative di una nuova materia conquistata”(7).
La logica con cui Moholy-Nagy sperimenta la fotografia è totalmente astratta e di gusto costruttivista (gli anni 1922-1923 sono cruciali per gli scambi tedesco-sovietici). All’interno del Bauhaus, Moholy-Nagy è il fomentatore di una vivace sperimentazione fotografica: si acquista consapevolezza del fatto che la fotografia è una composizione di valori luministici e che la sua applicazione tecnica rende possibile una grande varietà di effetti espressivi e astratti (la doppia esposizione, la sovrapposizione nella stampa di vari fotogrammi, l’ingrandimento del negativo)(8). La fotografia smette di essere un mezzo per riprodurre qualcosa e diventa il mezzo per eccellenza per creare e sperimentare.
1. L. MOHOLY-NAGY, in H. M. WINGLER. Il Bauhaus. Weimar Dessau Berlino 1919-1933. (1962), trad. it., Milano, Feltrinelli, 1972. p. 603
2. Q. BAJAC, in Dada, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou, 2005. p. 866
3. Ibidem
4. L’espressione di Tzara viene riportata da Man Ray nella sua autobiografia (Autoportrait, 1964) e si riferisce ai fotogrammi di quest’ultimo.
T. TZARA, in C. G. ARGAN, (a cura di), Rayograph, Nadar: ricerche sull’arte contemporanea, Torino, Martano, 1970. p. 92
5. La vicinanza, tanto fisica quanto intellettuale, di Tristan Tzara che alloggiava in quel momento nello stesso hotel di Man Ray, e che non solo era all’origine della pubblicazione di alcune schadografie su Dadaphone nel 1920 ma era anche sicuramente in possesso di altri fotogrammi eseguiti da Schad; ci fa credere che Man Ray doveva aver visto, alla data 1922, le fotografie astratte realizzate da Schad.
Q. BAJAC, in Dada, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou, 2005. p. 662
6. N. ERNOULT, in Dada, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou, 2005. p.754
7. L. MOHOLY-NAGY, Pittura Fotografia Film, a cura di Antonello Negri, Milano, Scalpendi Editore, 2008. p.58
8. H. M. WINGLER. Il Bauhaus. Weimar Dessau Berlino 1919-1933. (1962), trad. it., Milano, Feltrinelli, 1972. p. 601
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