Mario Botta di lui dice:"Attraverso le opere di Kéré, l’architettura ritrova i suoi significati più profondi, legati a un’attività in grado di affrontare importanti problemi là dove ristagnano sacche di povertà e sottosviluppo che l’architettura non può ignorare". Da queste parole si intende già tutto lo stile dell'architetto africano Diebedo Francis Kèrè.
I suoi lavori sfruttano al massimo le risorse naturali del suo paese, il Burkina Faso, e il potenziale delle località locali, potenzialità queste che gli hanno permesso di vincere lo Swiss Architectural Award 2010.
A metà degli studi universitari, Kéré decide di tornare a Gando da Berlino dove si era trasferito per stufiare architettura, grazie ad una borsa di studio, e di costruire una nuova scuola elementare coinvolgendo nell’opera tutto il villaggio. «Volevo erigere un edificio moderno con materiali a buon mercato e adatti alle condizioni climatiche del Burkina Faso. Nella stagione delle piogge bisogna lottare contro l’umidità del terreno e l’acqua che batte contro le pareti, mentre nella stagione secca le temperature superano i 40°C. Come si può chiedere a dei ragazzi di studiare in queste condizioni e a degli insegnanti di sacrificarsi per venire a lavorare in un forno di campagna?».
Così, Kéré elabora un nuovo concetto architettonico, essenziale e allo stesso tempo rivoluzionario. «L’edificio è fatto prevalentemente di mattoni di terra cruda, con un doppio tetto che serve a proteggere dal caldo e dalle piogge, e un sistema di ventilazione naturale, dato che a Gando l’elettricità non è ancora arrivata». Inoltre, il materiale necessario è facilmente reperibile nella regione e, una volta assemblati, i tralicci possono essere issati senza il bisogno di una gru.
La costruzione di una scuola nel suo villaggio natio ha una valenza non solo architettonica, ma anche sociale e ambientale. Emigrato in Europa per laurearsi in architettura, Kéré vive attualmente in Germania, ma continua ad impegnarsi per lo sviluppo del proprio paese d’origine.
«L’Africa ha bisogno di noi, molto più dell’Europa. Spero che altri giovani trovino il coraggio di tornare, di cominciare da zero e di costruire assieme il nostro futuro. Abbiamo senza dubbio bisogno dell’Europa, che è il tempio moderno del sapere, ma gli europei non possono favorire questi cambiamenti al posto nostro».
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