Notre‐Dame des Assassins
Quelle rose rosse.
Quel canestro di rose rosse.
Quel canestro di rose imprigionato fra le fetide mura di un cella.
Ossimoro straziante.
Entr’acte
E‐book Maldoror Press: aprile 2011
Titolo originale: Violette Nozières (1933)
Traduzione e layout grafico: Carmine Mangone
Quelle rose rosse.
Quel canestro di rose rosse.
Quel canestro di rose imprigionato fra le fetide mura di un cella.
Ossimoro straziante.
Entr’acte
Il 23 agosto 1933 i giornali parigini riportarono una insolita notizia: “Una giovane fanciulla, rientrando nella notte in casa, scopre il cadavere del padre e la madre in coma. Asfissia da gas”. Gli inquirenti si convincono da subito che dietro a quel cadavere si celi un omicidio, grossolanamente fatto passare per incidente. L’autopsia del padre, infatti, mostra che l’uomo ha ingerito una notevole dose di veleno, il Véronal. I sospetti cadono subito su Violette Nozières. Che si dà immantinente alla macchia. Nasce così “Il caso Violette Nozières” che titillerà per mesi le più morbose fantasie della borghesia francese. Il primo di settembre, il confronto doloroso con la madre: “Pardon maman...” e la Mater, ben poco Dolorosa: “Sì, ti perdonerò quando sarai morta!”
Quelle rose donate all’Assassina erano di André Breton. Un bel giorno, il papà del Surrealismo, era andato in visita a casa di Picasso. Ed il buon Pablo, col suo ispanico, sanguigno, candore, gli aveva confessato: “Sai, sto pen‐ sando di realizzare un ritratto di Violette Nozières, quella che ha cercato di ammazzare i genitori...”. E fu Amour (fou) a prima vista: Violette Nozières, con i suoi gonfiori da troppe albe mal consumate, era la versione atrabiliare di Kiki de Montparnasse... Una Divinità adorata negli angoli più umbratili della Rive Gauche: “La Bellezza sarà convulsa o non sarà”, così Breton stesso – nel 1928 – aveva chiuso il capolavoro rabdomantico “Nadja” e così è stato, è, e sarà per sempre. Ma se Nadja era una Sfinge, un fantasma profetico, Violette era di sangue, carne e cartilagini. Un Totem dolente che non può non risvegliare lo spirito violentemente antiborghese del Surrealismo. Affatturato da questo nuovo Amore, Breton non deve insistere troppo per coinvolgere la crème surrealista nella realizzazione di un pamphlet dedicato alla Santa Di Tutti Gli Assassini: il libro, stampato in Belgio nel 1933 per le edizioni Nicolas Flamel, riuniva, sotto una copertina composta da Man Ray, poesie di Breton, Char, Eluard, Maurice Henry, Mesens, César Moro, Péret, Rosey e disegni di Dalí, Tanguy, Max Ernst, Brauner, Magritte, Marcel Jean, Arp e e Giacometti. In un momento fondamentale per la storia del Surrealismo, devastato dalla discesa in politica, diviso fra fedeltà al Verbo Comunista e simpatie verso le istanze del ribelle Trotsky, ecco un libello che riscopre il gusto di scuoter le tombe del perbenismo, irridendo la Famiglia e sguazzando con vecchio spirito Dada nel tema tabù dell’incesto, disgregatore massimo della Patria. Il padre di Violette, che era macchinista dei treni presidenziali, avrebbe perpetrato tale lurida liason fra le ombre del capanno di casa, ed ecco che la mannaia dei post dadaisti viene nuovamente affilata: “Non si guida la propria figlia come un treno” (E.L.T. Mesens), “Era bella come una ninfea su un mucchio di carbone / quel carbone / che suo padre infornava nei treni presidenziali / al posto del Presidente” (Benjamin Péret)... Un tripudio di fatrasies surrealiste ove nulla viene salvato: Dio, Patria, Famiglia, Buon Senso e dove Violette assume la tinte della Martire che ha scelto di percorrere i lastricati del Vizio per sputare sulla Tomba degli avi. “Violette ha sognato di disfare / ha disfatto / l’orribile nodo di serpi dei legami di sangue” (Paul Eluard).
Titolo originale: Violette Nozières (1933)
Traduzione e layout grafico: Carmine Mangone
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