lunedì 12 marzo 2012

LA MORTE DELLA PIZIA (Parte seconda) Friedrich Dürrenmatt










n queste circonstanze la fortuna dell’oracolo era ormai inarrestabile, anche per motivi economici. Merpos XXVII aveva in mente lavori colossali di ristrutturazione: un gigantesco tempio di Apollo, un portico delle Muse, una colonna ofitica, diverse banche e perfino un teatro. Il gran sacerdote frequentava ormai solo re e tiranni e da tempo aveva smesso di preoccuparsi dei sempre più numerosi incidenti sul lavoro e del palese e crescente disinteresse del dio. Conosceva i suoi Greci, Merops. E quante più follie tirava fuori la vecchia nei suoi vaneggiamenti tanto più lui era contento, nessuno comunque l’avrebbe buttata giù da quel tripode dove, infagottata nel suo nero mantello, passava il suo tempo a sonnecchiare tra i vapori. Dopo la chiusura del santuario, Pannychis aveva l’abitudine di strasene seduta ancora un po’ davanti al portale laterale, poi, zoppicando, andava a rintanarsi nella sua capanna, si cucinava un semolino e lo lasciava lì perché si adormentava. Detestava qualsiasi cambiamento nel trantran quotidiano. Solo di tanto in tanto, e sempre di malavoglia, si presentava nell’ufficio di Merops XXVII, borbottando e mugugnando; il gran sacerdote, del resto, la faceva chiamare solo quando arrivava qualche indovino con la richiesta che un oracolo da lui stesso formulato venisse pronunciato dalla Pizia per un suo cliente. Pannychis detestava gli indovini. Va bene che non credeva negli oracoli, ma non vedeva nell’arte del vaticinio niente di particolarmente indecente, gli oracoli non essendo per lei che un’idiozia voluta dalla società; tutt’altra cosa erano invece le profezie dei veggenti,che lei era tenuta pronunciare su loro ordinazione; formulati com’erano in vista di un certo scopo, quegli oracoli celavano sempre qualche sporco intrallazzo, se non addirittura un ben preciso interesse politico; e la sera d’estate in cui Merops, stiracchiandosi dietro la scrivania, le disse col suo solito tono melenso e falsamente cordiale che il veggente Tiresia aveva espresso un desiderio, la Pizia pensò subito che dietro quella richiesta si nascondesse qualche sporco intrigo o calcolo politico.
Per questo, benché si fosse appena accomodata su una sedia, Pannychis XI scattò in piedi e dichiarò che con Tiresia non voleva avere niente a che fare, era ormai troppo vecchia, protestò, per poter imparare, tenere a mente e recitare con sicurezza gli oracoli altrui. Arrivederci e grazie. Un momento, disse merops inseguendola e sbarrandole il passo sulla soglia dell’ufficio, un momento, non era il caso di prendersela in quel modo, anche lui era convinto che quel cieco di un Teresia fosse un tipo quanto mai sgradevole, di sicuro il più grande maneggione e politicante di tutta la Grecia, e, per Apollo, marcio e corrotto fino alle midolla, ma bisognava ammettere, aggiunse, che nessuno pagava bene come Tiresia, e stavolta la sua richiesta era più che comprensibile, essendo a Tebe di nuovo scoppiata la peste. La peste era di casa a Tebe, borbottò Pannychis, né c’era da stupirsene poi tanto, disse, bastava un’occhiata alle condizioni igieniche intorno all’acropoli, la cosiddetta Cadmea, per rendersi conto del perché in quella città la peste fosse diventata per così dire endemica. Certo, disse Merops XXVII a Pannychis XI sperando di rabbonirla, Tebe era proprio raccapricciante, un fetido buco sotto ogni aspetto, non a caso correva voce che perfino le aquile di Giove faticassero a sorvolare la città perché sbattevano un’ala soltanto, dovendo con l’altra turarsi il naso, e poi… per non parlare poi di quel che succedeva alla corte del re. Tiresia chiedeva di profetare al suo cliente, atteso a Delfi per l’indomani, che la peste non sarebbe finita se prima non fosse stato scoperto l’assassino di Laio, il re di Tebe. Pannychis, stupita per la banalità dell’oracolo, pensò che Tiresia, data l’età, si fosse ormai rincitrullito. Giusto per salvare la forma, domandò ancora quando quel delitto fosse stato commesso. Mah…, esattamente non lo sapeva, fu la risposta di Merops, vari decenni addietro, ma non aveva grande importanza, che l’assassino si trovasse o no, la peste prima o poi sarebbe finita, e allora i Tebani si sarebbero persuasi che gli dèi, per venire loro in aiuto, avessero di loro iniziativa ristabilito la giustizia annientando l’assassino dopo averlo scovato in un qualche remoto nascondiglio. La Pizia, contenta di poter tornare ai suo vapori, domandò sbuffando come si chiamasse il cliente di Teresia:
”Creonte” rispose Merops XXVII.

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