martedì 30 aprile 2013

Mack The Knife, a song by Bertolt Brecht

Lyrics by Bertolt Brecht, music by Kurt Weill. Performed by Bobby Darin.


Oh, the shark, babe, has such teeth, dear

And it shows them pearly white
Just a jackknife has old MacHeath, babe
And he keeps it, ah, out of sight
Ya know when that shark bites with his teeth, babe
Scarlet billows start to spread
Fancy gloves, oh, wears old MacHeath, babe
So there's never, never a trace of red

Now on the sidewalk, huh, huh, whoo sunny morning, un huh
Lies a body just oozin' life, eek
And someone's sneakin' 'round the corner
Could that someone be Mack the Knife?

There's a tugboat, huh, huh, down by the river dontcha know
Where a cement bag's just a'drooppin' on down
Oh, that cement is just, it's there for the weight, dear
Five'll get ya ten old Macky's back in town
Now d'ja hear 'bout Louie Miller? He disappeared, babe
After drawin' out all his hard-earned cash
And now MacHeath spends just like a sailor
Could it be our boy's done somethin' rash?

Now Jenny Diver, ho, ho, yeah, Sukey Tawdry
Ooh, Miss Lotte Lenya and old Lucy Brown
Oh, the line forms on the right, babe
Now that Macky's back in town

I said Jenny Diver, whoa, Sukey Tawdry
Look out to Miss Lotte Lenya and old Lucy Brown
Yes, that line forms on the right, babe
Now that Macky's back in town

Look out, old Macky's back!

lunedì 29 aprile 2013

Klong Toey Community Lantern, architettura nella baraccopoli

Klong Toey è il più grande e antico insediamento informale di Bangkok. Si è stimato che più di 140000 persone vivano qui, la maggior parte in case piccolissime, con scarsi diritti sul suolo dove risiedono, e nessun sostegno da parte del governo.
L'idea di base del progetto dello studio norvegese TYIN tegnestue Architects è quella di ricreare un piccolo centro multifunzionale in grado di far fronte a diverse esigenze, anche attraverso una facile personalizzazione nel tempo. La costruzione si adegua alla geometria del vecchio campo di calcio presente, con una tribuna laterale lunga 12 metri, e con uno sviluppo in altezza su livelli differenti per compensare la sua ridotta estensione in larghezza. Date le esigue dimensioni del sito si é data notevole importanza al concetto di flessibilità: in questo modo il campo da calcio può adattarsi a sport o giochi differenti o “trasformarsi” in spazio per spettacoli e dibattiti, gli spalti laterali destinati al pubblico possono assumere funzioni diverse a seconda dell'utilizzo richiesto. Il Community Lantern é un intervento di dimensioni modeste che fa parte di un progetto più grande di riqualificazione a lungo termine e a larga scala, e si pone come l'incipit di un grande cambiamento, raggiungibile attraverso la sensibilizzazione e la partecipazione degli abitanti nel tentativo di ottenere un rinnovo urbanistico e culturale. La fase progettuale é stata preceduta da una lungo periodo di analisi sociale che ha coinvolto la comunità di Klong Toey con interviste e meeting, con lo scopo di individuare le reali necessità della popolazione e le possibili modalità d'intervento: questo modo di procedere è da ritenere fondamentale per ogni tipo d'architettura che ponga realmente attenzione al contesto in cui si sviluppa, puntando a migliorarne le condizioni. L'accurata fase preparatoria e i molteplici workshop, a cui hanno partecipato anche architetti e studenti universitari, hanno permesso al team di velocizzare i tempi di costruzione, realizzando l'intera struttura in meno di tre settimane.


venerdì 26 aprile 2013

I Prelibri di Bruno Munari

A – Che cos’è un libro?
B – Un oggetto fatto da tanti fogli, tenuti assieme da una rilegatura.
A – Ma cosa c’è dentro?
B – Di solito ci sono delle parole che, se fossero messe tutte in fila su una riga sola, questa riga sarebbe lunga chilometri e per leggerla bisognerebbe camminare molto.
A – Ma che cosa si legge in quelle parole?
B – Si leggono tante storie diverse, storie di gente di oggi o dei tempi antichi, esperienze scientifiche, leggende, pensieri filosofici o politici molto difficili, poesia, bilanci economici, informazioni tecniche, storie di fantascienza…
A – Anche favole?
B – Certamente anche favole, storie antiche, nonsense, limerick.
A – Con tante figure?
B – Certe volte con moltissime illustrazioni e poche parole.
A – Ma a cosa serve un libro?
B – A comunicare il sapere, o il piacere, comunque ad aumentare la conoscenza del mondo.
A – Quindi se ho ben capito serve a vivere meglio.
B – Spesso sì.
A – Ma la gente li usa questi libri?
B – Alcuni ne leggono molti, altri li usano per decorazione, c’è gente che ha in casa un solo libro: l’elenco dei telefoni.
A – Allora sarebbe utile che anche i bambini di tre anni cominciassero a familiarizzarsi con il libro come oggetto, a conoscerlo come strumento di cultura o gioco poetico, ad assimilare quella conoscenza che facilita l’esistenza.
B – La conoscenza è sempre una sorpresa, se uno vede quello che sa già, non c’è sorpresa. Bisognerebbe fare dei piccoli libri tutti diversi tra loro ma tutti libri, ognuno con dentro una sorpresa diversa, adatta a bambini che non sanno ancora leggere.
A – Posso averne uno anch’io?
B – Ne avrai una intera biblioteca, piccoli libri di tanti materiali diversi, di tante materie diverse: un libro di ottica, un libro di avventure tattili, un libro di geometria dinamica, uno di ginnastica, uno storico culturale, uno di filosofia, un romanzo d’amore, un libro pieno di tutti i colori, un libro trasparente, un libro morbido, un libro di fantascienza…
A – Ma come si chiamano questi libri?
B – I PRELIBRI.
A – Li voglio subito.

Bruno Munari, Febbraio 1980

mercoledì 24 aprile 2013

This is not a love story Allestimento coreografia e testo – Gunilla Heilborn in collaborazione con i performers – Johan Thelander & Kristiina Viiala Ovo Performing Arts 2013, Milano



A volte non fare nulla porta a qualcosa” ma è anche vero il contrario “a volte fare qualcosa non porta a niente”. Sono queste le parole che ritornano nella performance dell’artista svedese. La coreografa rivisita - insieme a suoi due talentuosi performer- l’estetica del road-movie. Lo fa con una delicatezza estrema, unendo momenti di squisita poesia e forte ironia. Una performance di leggerezza e precisione.

Tutto inizia dalla fine e si ripete incessantemente. Una road-movie dance in cui la fine è già annunciata. “Qui inizio e qui finisco. Qui inizio e qui finisco” ripetono i due ballerini mentre eseguono i loro passi e via di nuovo. Tutto inizia dall’epilogo di Vanishing Point, l’eroe si rende conto che non può più tornare indietro e sceglie la morte, premendo l’acceleratore. Come due punti che si muovono uno accanto all’altro e finiscono col fondersi.

Gli uomini, gli spazi –alberghi, parchi, distese,altopiani e strade- la nostalgia degli spazi aperti.

Non è una storia d’amore ma qualcosa d’altro, la storia di due persone, un uomo e una donna -un destino che ritorna anche nei nomi, nei nomi di altre coppie- che condividono un pezzo di strada insieme, un viaggio difficile per conoscere sè eil mondo. Un’odissea introspettiva quella dei due performer-attori, tra passi di danza interrotti e ripresi e numerose domande “chi, che cosa, quando, dove, perchè” che ci portano verso la fine, una possibile fine, perchè inevitabilmente ogni storia si conclude in qualche modo.

Ma altri potrebbero essere i tentativi di approssimazione. Parrucche e abiti cambiano, modulando una scena tanto più naturale quanto più surreale. Un’esplorazione dello spazio scenico e della realtà attraverso coreografie minimali e interrotte che costruiscono una traiettoria discontinua, ricomposta solo alla fine, mentre i sopratitoli a un certo punto si arrestano e i puntini di sospensione ci restituiscono i residui incomunicabili e inspiegabili della vita.

In verticale


Edificio all'uscita del
traforo del Quirinale, Roma
Ivan Leonidov, progetto
di una torre a Mosca

El Lissitzky, "Grattacieli orizzontali"
Silos di Livorno
Minareto della moschea di Samarra

domenica 21 aprile 2013

Il Rap di Enea

Rem Koolhaas - ex Mercati Generali Roma

OMA proposes to redevelop a well known traditional Italian market place, the Mercati Generali, into a modern civic and entertainment centre. In doing so OMA translates the contemporary shopping mall and supermarket phenomenon, both of which have come to threaten the very existence of a way of life that has defined Italian culture for centuries: street market shopping.

The project is located on the outskirts of Central Rome in a strategic position between Via Ostiense and the Garbatella district. Several of the buildings on the site date back to ancient Rome. Unfortunately, however, these structures have remained, for at least their recent history, disheveled and underutilized – solemn figments of past glories.

Traditional market-huts are to be transformed into free standing shops or "pavilions" while staggered and roof terraces produce a three dimensional topography, dramatising the unique sights and sounds of the site. The green streetscape and cafés inserted between the old structures can further add to a street atmosphere. 

Transforming this section of Rome into a live performance area is carried out with commercial and cultural elements of a central cinema, capable of hosting international events, such as the Roman film festival, as well as a theatre for 3,000 people, art galleries, sport and recreational areas. 


Five new main entrances, located alongside main arterial roadways, suggest a greater interaction between the different districts the market borders whilst aiding movement between the different programs within the complex.

sabato 20 aprile 2013

Tina Modotti e il Messico


Alla fine del luglio del 1923 Tina Modotti arriva a Mazatlan, in Messico, a bordo del piroscafo Colima, , insieme al compagno Edward Weston e  a Chandel, il  figlio tredicenne di quest’ultimo. Dapprima soggiornano per un paio di mesi nel sobborgo di Tacubaja, solo in seguito, si stabiliranno definitivamente presso la capitale, a Calle Lucerna. La Città del Messico dell’inizio degli anni Venti è lo sfondo anche di un’altra delle coppie più conosciute della storia del cosiddetto “Rinascimento Messicano” voluto dal governo di Alvaro Obregon:  il muralista Diego Rivera e la pittrice Frida Kahlo. La passione per la militanza politica e l’infuocato clima post rivoluzionario  farà incrociare le vite di quattro questi artisti dapprima nell’adesione della Modotti e di Weston al Sindacato degli artisti, (dove accanto allo stesso Rivera militavano anche due altri grandi pittori muralisti, David Alfaro Siqueiros e Clemente Orozco) e poi nellEl Machete, l’ organo di diffusione ufficiale del Partito Comunista Messicano.
La casa di Tina ed Edward diventa ben presto il luogo di ritrovo di muralisti e militanti comunisti. Nel 1924 Weston torna a San Francisco per stabilirsi nello studio della fotografa Dorothea Lange insieme al suo amico Hagemeyer lasciando Tina da sola in Messico; forse il breve la breve ma intensa storia che ella ebbe con Diego Rivera si consumò proprio mentre la bellissima fotografa  posava per i ritratti dell’artista. Era allo stesso tempo modella, (alla scuola di Agricoltura di Chapingo nel 1928, comparve nel murale Arsenal come uno dei personaggi storici) e fotografa ufficiale del movimento muralista messicano, immortalando i lavori di Orozco e di Diego. La Modotti non era nuova a questo genere di cose, per il suo fascino era già stata musa ispiratrice dei lavori di Weston, Johan Hagemeyer, Jean Charlot, Pablo O’Higgins, Renato Guttuso… mentre i poeti Pablo Neruda, Rafael Alberti e Antonio Machado l'ammirarono e la immortalarono nei loro versi. Sempre nel 1924, scatta le sue prime fotografie al circo russo ed apre al Palacio de Minerìa, alla presenza del presidente Obregon, una grande mostra con lavori suoi e di Weston.
Fu grazie a Diego che Tina conobbe nel 1928 Frida Kalho. L’amicizia di Tina con Frida Kahlo si rivelò ben presto qualcosa di più profondo di un semplice sodalizio artistico. Le due donne erano accumunate oltre che da una grande sensibilità artistica, dalla lotta  politica e dall’amore per la terra messicana. Solamente dopo l’arrivo in  Messico  infatti, Tina, appresi i rudimenti tecnici da Weston,  aveva imparato a destreggiarsi nell’arte della fotografia e a raggiungere ben presto i risultati altissimi, che la avrebbero portata nel dicembre 1929, a partecipare con i suoi lavori alla prima “Mostra fotografica rivoluzionaria in Messico”.

giovedì 18 aprile 2013

Topographical Amnesias, il teatro nel cemento armato

The play Nomads, by theater company Armatrux, was another phase of the Topographical Amnesias project. The event was an architectural intervention which transformed a previously under-utilized space with airs of a trash dump. Architecture, landscaping and environmental reclaiming intermingle and worked as an urban set for the theater play. Topographical Amnesias is part of a long research by Vazio S/A on urban voids, the body, events and art performances.

It was designed by Carlos Teixeira and Louise Ganz

martedì 16 aprile 2013

A passeggio per Berlino di Joseph Roth


Navigando in Internet mi sono imbattuto in un piccolo libretto, rieditato nelle “Occasioni” della Piccola Biblioteca Passigli.

Siccome Joseph Roth mi appassiona perché i suoi scritti mi fanno pensare un po’ a quei quadri dove non solo è rappresentata una scena, ma si può vedervi anche ciò che il Pittore vi ha visto, ho subito comprato “A passeggio per Berlino”.  Non credo ci siano contestazioni nel dire che, leggendo “il santo bevitore” ognuno abbia visto da vicino quel barbone di Parigi e abbia riconosciuto il suo spirito, sia stato anche sotto i ponti della Senna e questo ben prima di aver guardato il pur bellissimo film di Olmi.

Per questo libro, si tratta di reportage scritti da Joseph Roth negli anni 20, dopo essersi trasferito a Berlino. In giro per la città la racconta, nei luoghi e soprattutto nella vita che li abita.

Riporto qui piccoli stralci di uno degli articoli, che vale, oggi, più di altri commenti (ma ci sono anche articoli su aspetti altrettanto di attualità come, per esempio, la questione ebraica):

Il parlamentismo tedesco ha una posizione poetica. C’è solo la Königsplatz a dividere il Reichstag dal verde pastorale del Tiergarten. A un impolitico riesce difficile rinunciare a una bella giornata di maggio in cui si riunisce il nuovo parlamento tedesco………L’atmosfera dovrebbe essere festosa, almeno tanto festosa quanto quella che c’è all’inaugurazione di una qualunque esposizione cui abbia contribuito la nazione intera, indipendentemente dal partito d’appartenenza. Anche quei partecipanti che-così pensa un impolitico- lottano contro il parlamentarismo, dovrebbero avere rispetto, se non per questo, almeno per l’attività che loro stessi stanno per intraprendere….Qui invece, nel Reichstag tedesco, ogni singolo partito non ha soltanto la propria convinzione politica, bensì anche il proprio cerimoniale. Gli sguardi (del mondo) sono rivolti ai rappresentanti del popolo tedesco. E cosa vedono? Il passo dell’oca dei nazionalisti. Tafferugli tra i comunisti. …Gli occhiali scuri…L’impolitico non riesce a comprendere perché, tra tutti i professionisti del mondo, proprio il politico tedesco abbia una tale smania irrefrenabile a volersi rendere ridicolo ancor prima di aver iniziato con la propria politica, che è già di per sé una notevole riserva di stupidaggini. Ma cosa può capirne l’impolitico degli enigmi della politica?.......Ventisei milioni e mezzo di marchi hanno pagato i tedeschi per il loro Reichstag. Indubbiamente da fuori appare imponente. Speriamo che i delegati sappiano renderlo anche importante.”

lunedì 15 aprile 2013

Terzo Torneo di Architettura – Third Architectural Challenge


Il montepremi minimo garantito è di 2.500 euro, ma quota parte delle iscrizioni verrà divisa fra i vincitori! In questo modo le potenzialità sono illimitate. Con l’aumentare degli iscritti aumenterà anche il montepremi!
Il concorso in oggetto è finalizzato alla valorizzazione di piccole aree urbane in degrado che avrebbero le potenzialità per essere spazi qualitativamente validi ma che, per una serie di motivi, sono ancora in attesa dell’idea giusta. Il tema non sarà pubblicato prima della chiusura delle iscrizioni, perché il concorso si svolgerà nel lasso di tempo che comprende un fine settimana. Gli elaborati dovranno essere consegnati 72 ore dopo la pubblicazione del tema.
La scelta di proporre un tema che non preveda una realizzazione, e di concentrare in un tempo così breve la fase progettuale, è stata fatta per permettere ai partecipanti di dedicarsi solo alla parte creativa del progetto, senza dover impegnare tempo e risorse eccessivi.
Un gioco, che però si impegna di offrire ai cittadini una serie di idee che dimostrino quanto differenti potrebbero essere le città in cui vivono.
Il regolamento completo può essere scaricato nell’area download del nostro sito (FLASH_WIDGET quì di fianco!)

ENG – The minimum guaranteed jackpot is 2.500 €. Beside this, a part of the registration fees will be given to the winners, so there is no limit to the maximum possible prize. The more participants the higher is the prize!
This contest reach to increase the value of degraded town areas, which waiting just a smart idea to become likable urban places.
We choose no subject that will be built up for real. Also we focus in a short time the project period. That allow participants to go in for just creativity, and no spent so much time and crafts.
Contest’s subject shall not released before the registrations end, ’cause the contest itself lasts only one weekend. Then, projects must be delivered 72 hours after the subject release.
Performing projects is something made by power and responsibility. The “game appareance” of the challenge is not a way to underestimate the force of projecting, rather a way to take back the funny and pleasant side of it.
A game capable to offer a bunch of ideas to the audience, showing up how different (maybe better?) could be the places we living.

http://officina06.com/2013/03/14/terzo-torneo-di-architettura-third-architectural-challenge/

nina simone - my baby just cares for me


venerdì 12 aprile 2013

Reality, di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini; Milano – Spazio Pim Off



“Perchè?” Forse è questa la prima domanda. “Perchè?”. Ma scoppiano subito gli applausi. La sensazione di aver assistito ad una performance difficile da definire rimane lì, sospesa.  Reality prosegue  e sviluppa lo studio precedente, Rzeczy/cose, in cui i due performer Daria Deflorian e Antonio Tagliarini giocavano e si interrogavano tra cumuli di oggetti, oggetti presi dalle loro case o comprati ai mercatini, oggetti che sarebbero potuti appartenere alla loro protagonista e che, accostati casualmente, commentati, fissati in un ricordo, formavano come la sintesi di una vita.

La forza di questi due artisti, , sta ancora una volta nel rompere la frontalità dell’immedesimazione con il loro sguardo laterale. Entrano ed escono dalla storia, attirati dalle scrupolose annotazioni di Janinia Turek restando però lucidi nella loro ricerca.
“Che cos’è la realtà? Come raccontare una vita?”

I due artisti la cercano ovunque. Inziando dalla fine. Dalla morte di Janina. Con ironia. “Come rendere credibili gli ultimi attimi della sua vita?” In strada, le buste della spesa in mano, l’infarto, la caduta sull’asfalto. La posizione di gambe-mani-muscoli in quel momento, il volto coperto dai capelli. Tra un aggiustamento anatomico e un formicolio articolatorio finiamo nella vita di questa giovane donna polacca. Janina Turek. Morta nel 2000 lasciando gli ultimi anni della sua vita meticolosamente annotati sui suoi diari. Insospettati. Persino dai suoi familiari.

Srotoliamo la maniacale e compulsiva annotazione del microcosmo di Janinia, la trascrizione asettica e oggettiva dell’infinita serie di eventi, persone e ricorrenze che hanno scandito la sua quotidianità, fino all’irruzione inattesa - in mezzo a tutto quel rigore – di qualche indizio di soggettività. Daria Deflorian con la maestria del suo tono dimesso e Antonio Tagliarini con la sua delicatezza scoprono infatti negli spazi vuoti,nelle correzioni lasciate tra righe e numeri dei suoi 748 quaderni, un’altra possibile realtà e ci restituiscono attraverso altre parole, quelle sfuggite alla sua metodica annotazione - le cartoline che durante i viaggi Janina indirizzava a se stessa – una sorta di confessione.

La realtà non è che una possibilità, debole e fragile come tutte le possibilità” direbbe Burroughs.

È proprio in questi interstizi fra realtà oggettiva e realtà soggettiva che nasce questo spettacolo. Daria e Antonio non “raccontano”, non “recitano”, non “creano personaggi” ma si avvicinano alle trascrizioni di Janina, danno vita alle sue statistiche, alle svariate categorie e nomenclature, costruiscono eventi del suo quotidiano, immaginano e inventano scorci di vissuto a partire da un dettaglio o un numero ma subito interrompono l’operazione. Smontano tutta la loro costruzione. Riavvolgono questa soggettività “artificiale”. Tutto nel perimetro un pò stretto dell’autofiction-reportage-performance.

Affiora allora l’altro interrogativo. Come dare vita, nella forma più adatta, ad una VITA? Qual è il modo più adatto per penetrare nella vita di un essere umano, attraverso i suoi resti?

Ci soccorre in qualche modo l’ultima scena, rivelatrice di tutto l’approccio estetico dello spettacolo. Daria evoca la tradizione della danza balinese.Danza preparata meticolosamente dai suoi ballerini tutto l’anno, ripetendo fino allo sfinimento tutti i suoi passi e i minuziosi dettagli del trucco, ma eseguita e offerta al pubblico dietro a un telo bianco indossando una maschera.

Cosa vede esattamente il pubblico dietro quel telo?

Andrea Pazienza


sabato 6 aprile 2013

Architettura Medievale 7 – Finiamo


Nel 1400 Filippo Brunelleschi e Leon Battista Alberti cambiarono improvvisamente la rotta, dichiarando il loro amore alla forma geometrica, al linguaggio monumentale, all’antichità vista come un raggiungibile modello di perfezione. Fine di tutta la possibile evoluzione architettonica: si ritorna al passato!
E per almeno tre secoli l’architettura non è più un’arte povera e comunitaria, ma individuale e ricca; non vuole tanto soddisfare necessità, quanto essere bella in sé; accentua sempre più il potere di alcuni ed il non potere dei più. Da William Morris in poi qualcosa cambia, ma questa è un’altra storia.
Occorre però fare uno sforzo di osservazione, e si può vedere che ancora oggi lo stesso modo e lo stesso concetto di fondo dell’architettura medievale resiste.
Con il Movimento Moderno, grazie a Le Corbusier, Gropius, Oud, tutti i tabù dell’accademia di belle arti sono messi in discussione, e la funzionalità viene messa in primo piano; il problema della casa e della città diventa importante molto di più di quello del monumento; la bellezza degli edifici moderni, la loro stessa forma, derivano dal loro significato.


Ma tutta la teoria che sta dietro al Movimento Moderno è così complessa che lo rende un periodo del tutto autonomo; invece la logica medievale della città è presente oggi negli “Slums”, cioè in tutti quei quartieri, o baraccopoli, o favelas, nati spontaneamente. Essendo la minima risposta all’esigenza di gente povera, queste città hanno la forma più diretta e semplice possibile, eppure diventano spontaneamente complessissime, e sopravvivono in luoghi impensabili (su scarpate, su fiumi, su picchi). Sono di gran lunga più interessanti e belle di molte città ricche; penso ai barrios di Caracas, alle favelas di Rio de Janeiro, alle baraccopoli di Bangkok. Con un occhiata da lontano puoi leggere il luogo e ciò che sta sotto le abitazioni; il contrario di città come New York, dove anche il paesaggio è costruito. Sono come immense Venezie o Perugie. E di certo sono i luoghi dove intervenire architettonicamente è più urgente e necessario, ma anche più stimolante.