mercoledì 29 maggio 2013

Santi quattro coronati

Sulla via Labicana, arrivati quasi al Colosseo, troverete, guardando a sinistra, una chiesetta paleocristiana, preceduta da un quadriportico con un portale antico o pseudoantico: san Clemente. A chi, come me, ama questo periodo artistico e storico, sconsiglio di entrare, se non per vedere il solito sovrapporsi di marmi colorati e simboli di potenza in un edificio che di ricco, in origine, non aveva nulla.
Continuate, invece, la strada che si arrampica sul Celio, finchè non sentirete il frastuono delle auto diminuire, finchè dai ricchi palazzi la città non diventi composta di piccole case appoggiate l’una all’altra. Fra i tetti vedrete emergere, come una rocca poderosa ma discreta, un abside. Cercate la chiesa a cui appartiene; non la vedrete se non girando attorno alle case, dove la salita si fa più dura.

Si giunge ad un piazzale che è più che altro uno slargo del marciapiede: davanti a voi un vecchio muro quasi in rovina e un portale a tutto sesto. Sul muro una targa: “Basilica dei Santi Quattro Coronati”. Passato il portale, non siete più a Roma, non siete più nel ventunesimo secolo. Siete in campagna, in un’abbazia o in una fattoria o comunque in un luogo non di questo tempo, che usa perfino l’udito e l’olfatto per trasportarvici. Il luogo è un cortile scrostato e sghembo; alla destra c’è un portico buio, rinascimentale e semplice, e alla destra una scaletta conduce a una porticina. Il suolo è ricoperto d’erba: un vialetto geometrico vi porta ad un ingresso antistante quello da cui siete giunti. Prima di passare oltre, guardatevi dietro. Da fuori non l’avevo notato, ma su quel muro scrostato, non allineata con il portone, vi è una piccola torre tozza e storta, incastrata in quella che forse un tempo era una facciata; rompe la massa muraria una fila di quattro bucature separate da colonnine bianche, unica concessione alla grazia decorativa in questa rustica struttura. L’effetto del muro, del portale e della torretta visti da dentro è quello di una facciata verso l’esterno; fatto che in una chiesa può avere un significato.
Passato il cortile, eccone un’altro: stavolta il portico di destra continua sul lato di fronte a voi: è la facciata della chiesa vera e propria (se di facciata si può parlare): quattro archi anonimi, con una fila di finestre
ancora più anonime sopra. Nulla lascia presagire lo splendore interno: l’impianto tipico paleocristiano è variato dai matronei, e si conclude in un abside (finalmente lo ritroviamo!) sproporzionato rispetto alla chiesa, che abbraccia tutte le tre navate. Il pavimento cosmatesco accompagna fino all’altare: il silenzio e il cammino fatto per arrivare fin qui, dalla via Labicana, impongono rispetto. L’interno dell’abside, che probabilmente ospitava un mosaico, è stato sostituito da un qualche trionfo di angioletti alati e felici tutti azzurri e rosa: unico punto dolente.
Ora, sulla navata di sinistra, suonate il campanello ed entrate nella porticina. Ecco il cortile più bello, quello del monastero annesso: opera dei Cosmati, famiglia di artigiani marmorei del 1300, autori di metà dei pavimenti delle chiese romane nonchè del famosissimo portico romanico di San Paolo fuori le mura, a cui questo cortile assomiglia. I portici bui circondano la corte luminosissima e la fontana; due file di colonnine (opere di design medievale)ci separano dalla luce; gli spazi fra di esse aumentano in quattro punti assiali, a formare delle porte dalle misure appena sufficienti per un uomo. E’ il luogo della misura giusta, della bellezza umile. Il prospetto interno è molto insolito, perchè sovrappone alle piccole bucature formate dalle colonnine dei balconi molto alti, scanditi da pilastri grezzi.
Ecco quello che ho visto in questo luogo; a scriverne, mi rammarico di non avervi perso tempo, di non aver studiato ogni particolare, di non aver guardato ogni possibile punto di vista di questo edificio che uno sguardo non può abbracciare in una sola volta.
Uscendo e tornando indietro, si arriva a san Giovanni. Ritorna il chiasso, acustico e visivo, e pare di non essere mai stati in un luogo diverso da questo.
Dal blog STE:POL:AR

domenica 26 maggio 2013

Il dileggiato



Tutti sappiamo più o meno qualcosa sulla grande pittura italiana e perciò tutti abbiamo visto qualche opera del Beato Angelico. E’ facile, perciò, avere uno sguardo superficiale perché certi riferimenti diventano talmente quotidiani che si impoveriscono.

L’artista è colui che crea qualcosa per il popolo. Fra Giovanni venne definito beato nel significato di fortunato perché è uno dei pochi pittori che identifica la sua pittura con il senso della sua vita. Voleva vedere il volto del suo Dio. Hegel dirà che non c’è pittura più significativa di questa. Divenne l’Angelico perché non era un semplice artista di bottega, come molti a quel tempo, ma era colui che, in mezzo a quelli che vivevano con lui della medesima identità, aveva saputo raffigurare ciò che avevano cercato e trovato.

Ogni uomo porta in sé la domanda di bellezza, giustizia e verità perché ogni progetto di vita è una ricerca della bellezza e della giustizia. Domandare tale compimento è domanda globale che sinteticamente è domanda di “dio”. Ognuno cerca tale suo “dio” (lettera minuscola) cioè tale realizzazione globale.
Beato Angelico volle raffigurare il volto del suo Dio. Una persona qualunque, come ognuno dei suoi simili, era entrato nella storia degli uomini con questa pretesa di essere Dio, perciò il volto di Cristo è il volto di Dio.
Cristo venne deriso, schernito nel senso più volgare e osceno del termine, non da Pilato o dai Romani, bensì dal Sinedrio, cioè da una comunità che fondava su Dio il suo esistere. Una struttura religiosa di potere non poteva accettarlo e lo accusò di bestemmiare proprio per essersi detto Dio. 

Era impossibile che uno che conoscevano, con quel volto particolare, fosse la rivelazione del senso ultimo dell’esistere. Egli, di fronte a tale mentalità di potere, tace perché la sua legge era “vieni, vedi, seguimi”. Una delle celle del convento dove Beato Angelico visse e dipinse, che oggi è lo splendido Museo San Marco nel centro di Firenze, conserva l’immagine del “Cristo deriso”. Un’immagine che pone l’interrogativo se Dio non sia diventato un’entità religiosa o filosofica o antropologica alta ma senza legame con il presente di ogni uomo. E in ciò non si compia nuovamente il dileggio del Cristo.

Une banlieue en extension : Bobigny


Ipse Dixit: Roque Dalton

Mis venas no terminan en mí
sino en la sangre unánime
de los que luchan por la vida,
el amor,
las cosas,
el paisaje y el pan,
la poesía de todos.


Roque Dalton

sabato 25 maggio 2013

Vie in prospettiva

Le vie delle città possono essere fili che le collegano o crepe che ne dividono gli edifici. La loro qualità è data dalle costruzioni intorno o dalla propria storia. Alcune sono fatte per rappresentare bene la città al forestiero, altre per unire due quartieri, altre sono il cortile delle case di un vicinato. Le vie sono sempre delle linee, siano esse dritte o curve.

giovedì 23 maggio 2013

Street Art.

Saint Denis

Camera Obscura

Notre Dame depuis l'Institut du Monde Arabe. Paris

Per non addormentarsi... Siesta 2013 Pane Pace Lavoro


Siesta_PPL_2013
Abbiamo voluto, di nuovo, come per l’iniziativa che organizzammo dal 10 al 12 ottobre 2008 al “parco delle caprette”, utilizzare la parola “Siesta” per indicare queste giornate di incontri promosse da Pane Pace Lavoro. In quell’occasione iniziammo dicendo che desideravamo “proporre, a tutti, un momento e un simbolo di “siesta” e di riposo, contro l’incessante e assurdo correre di una società che è ormai disumanizzante, di una società che vuole essere la fabbrica tecnologicamente perfetta di un impero così umanamente impossibile da ricordare la disfatta di quello mitico di Babele”. Dicevamo inoltre che era necessario, in un momento molto grave di emergenza democratica e contro lo stato di menzogna e di disumanità, ed oggi il momento non pare molto differente, reimparare la parola “libertà” e tornarla a gustare nella pratica, così da far nascere naturale una distanza umana, culturale, sociale e politica da quelle personalità che vogliono negare ogni diritto alla resistenza o al dissenso. Oggi, come già 5 anni fa, vogliamo ancora dire che c’è ancora qualcuno che non tace di fronte al conformismo del potere, che c’è qualcuno che dissente dalle propagandate verità false, che c’è qualcuno che già sta vivendo uno spazio di libertà.

Credo che queste parole, riprese dall’allora discorso introduttivo, siano ancora oggi necessarie per poter introdurre gli interventi di questa sera e delle due serate che seguiranno. Non possiamo però, oggi, prescindere dai cinque anni che, da quegli incontri, sono passati; cinque anni in cui in Italia e nel mondo moltissime cose sono accadute, facendo maturare esperienze e personalità, svelando nuove menzogne e brame di potere, portando alla luce nuovi razzismi e generando allo stesso tempo imprevisti eroismi. Non possiamo prescindere nemmeno dagli amici che ci hanno lasciato, i cui nomi, anche se non pronuncio esplicitamente, sono stampati nei cuori e nelle azioni di migliaia di persone. Non prescindere da tutto questo significa aver compreso che non si può muovere un passo in questa lotta se non ci si impone di essere uomini nuovi, se non si lotta per creare un costume e uno stile di vita, se non si lotta per riscoprire e liberare una cultura.
Solo in questo modo potremo evitare due grandi rischi: l’asservimento e il tradimento. L’asservimento di chi, se non è quell’uomo nuovo, è certamente preda di quell’ideologia che lo vuole schiavo e sottomesso: il buon cittadino che il potere vuole che egli sia, tenendolo asservito alla propria logica, che rende impotenti in ogni luogo, persino in quelli in cui si potrebbe ritenere di essere in qualche modo liberi.


Warschawski-2

Il tradimento di chi, non avendo oggi rapporti umani e sociali nuovi, tornerà di certo, domani, a creare quelle contraddizioni, anche in una nuova società, nelle quali ora, coscientemente o meno, si alimenta, tradendo la vera aspettativa di chi lotta con lui. Entrambi i rischi sono e saranno sempre presenti in qualunque azione rivoluzionaria che, presumendo, erroneamente o per pigrizia mentale, una omogeneità tra le parti che la compongono, ritenga che queste possano giungere autonomamente e spontaneamente alla coscienza di una propria cultura, dando per scontato il faticoso e difficile processo di rivoluzione culturale.
L’invito di Pane Pace Lavoro è quindi, ancora una volta, quello di attuare per la conquista di una nuova coscienza rivoluzionaria, che si formi a partire dall’azione sul campo e che abbia in sé un azione di acculturazione interna ed allo stesso tempo esterna.
Questo tipo di lavoro però presuppone che non ci possano essere un lavoro intellettuale ed uno pratico separati, che non ci possa essere un lavoro teorico slegato dall’azione. Non possono essere separati lo scrivere il libro e il volantinare, così come non possono essere separati lo studio dall’aiuto al compagno nei suoi bisogni immediati: nessuno può escludere il benché minimo fattore della lotta politica (e della vita quotidiana), pena il ridurre a nullità tutto ciò che un’azione ha di storicamente pregnante.
Le personalità che in queste serate si alterneranno racconteranno proprio di questo struggente desiderio di una nuova cultura e di una viva azione per l’ apparentemente assurda pretesa di costruire spazi di libertà.

mercoledì 22 maggio 2013

Piero Golia at the Venice Biennial




vice versa is the title chosen by curator Bartolomeo Pietromarchi for the Italian Pavilion exhibition project at the 55th International Art Exhibition of la Biennale di Venezia.
vice versa proposes an exhibition made up of seven rooms, seven spaces, each of which hosts two artists in dialogue with one another, where the works displayed reveal the profound sense of this dialectical approach.

For his participation in the 2013 Venice Biennale, Piero Golia presents a solid, rebar-reinforced, gold dust-infused concrete cube outside the Italian Pavilion. Approximately eight feet high, this work acts as both a figure of urban resistance, obstructing and rerouting pedestrian traffic, and a public offering. Golia invites the viewer to mark the surface or even attempt to dislodge and keep part of the sculpture. Tempting the gold-digger within, he serves the public by making the work available as a dense reservoir of souvenirs in waiting. While on view, the sculpture remains in process outside Golia's control. Its final form will be a record of its public life and history, determined by the shamanistic choreography of social behaviors.

VISITOR INFORMATION
La Biennale di Venezia
Italian Pavilion
Tese della Vergini at Arsenale
Venice
ITALY
E. info@viceversa2013.org 
Website: vice versa | Venice Biennial 

Dom Hans Van der Laan, l'architetto e il benedettino

martedì 21 maggio 2013

Studiare la storia oggi: le fonti sul web.


È una domanda precisa e che non concede vie di fuga quella che apre il libro “Apologia della Storia” di Marc Bloch: “A cosa serve la storia?”.

Partendo da questa l’autore opera un'analisi molto approfondita del rapporto tra lo studio metodologico del passato e la propria contemporaneità, ponendo l’attenzione principalmente su quale sia concretamente “il mestiere dello storico”.
Attraverso queste riflessioni emerge, pagina dopo pagina, l’immagine di uno studioso-artigiano, impegnato in una eterna sfida contro il tempo per poter ottenere un racconto il più vero possibile, che sia capace di scandagliare e chiarire le ragioni, le cause, le conseguenze degli eventi trattati.

Il risultato di questo lavoro non sarà ovviamente una trasposizione esatta dell'accaduto, quanto piuttosto una ridefinizione parziale dei suoi aspetti significativi.

Più che gli eventi, quindi, tale studioso ricostruisce il rapporto tra questi e le tracce che ci hanno lasciato, le fonti per l'appunto, e di conseguenza è per questo che senza fonti lo storico stesso viene a mancare.

Tali tematiche, esposte più di 60 anni fa, sono oggigiorno fondamentali nell'educazione dei giovani studenti di storia.
Questi si ritrovano infatti quotidianamente a contatto con – e allo stesso tempo ne sono produttori più o meno consapevoli – un'infinità di fonti digitali, di difficoltosa gestione sia per l'immenso numero sia per la loro “volatilità”.

Di fronte alla prima di queste due problematiche gli esperti di digital history evidenziano come sia importante tenere da subito a mente che i materiali nativi digitali non sono, nella maggior parte dei casi, “documenti 'nobili', architettati con rigore filologico”(1).

Quello che manca, infatti, sono anzitutto i riferimenti alle fonti originali: come ricorda lo studioso belga Serge Noiret, l'esempio classico è quello delle fotografie, le quali sono quasi sempre prive di metadati descrittivi associati e vengono utilizzate sul web senza alcun rispetto per le basilari regole del Creative Commons (condividi/modifica, ma cita la fonte).

Altra questione basilare è l'affidabilità dei documenti digitali stessi, e il riferimento principale è ovviamente a Wikipedia: chi ha scritto una determinata voce? Chi controlla che i riferimenti alle fonti siano corretti? Chi tiene aggiornate le informazioni?

La seconda problematica coinvolge invece in primo luogo l'archivistica informatica.
Sviluppare standard per la preservazione dei documenti digitali e strumenti per permetterne l'individuazione e l'accesso continuato nel corso del tempo è di notevole importanza.
Alcuni esempi concreti, a largo respiro, di questo tipo di approccio sono noti da anni, tra i più citati compare ovviamente l'Internet Archive.

Per sensibilizzare gli studenti e avvicinarli a una delle tematiche più complesse affrontate dagli storici di questi decenni ritengo sia quindi importante iniziare a mostrare concretamente, attraverso percorsi didattici mirati, come questi due tipi di difficoltà possono essere efficacemente gestiti.

Prendendo un caso di studio specifico, che sia un blog, un flusso di tweet legati a un determinato evento o il sito di un quotidiano online, gli insegnanti dovranno così sottolineare come una solida preparazione interdisciplinare viene incontro a tali esigenze.

Riprendendo proprio la metodologia descritta da Bloch, questa non risulterà datata, anzi il legame tra la fondamentale opera di individuazione, interpretazione, contestualizzazione, critica e selezione delle fonti e la necessità di preservare i contenuti del Web si rivelerà essere sempre più inscindibile.

Ponendo l'attenzione su due esempi specifici tutto ciò risulterà evidente.

In un primo caso abbiamo l'enorme e importantissima raccolta di testimonianze digitali relative all'11 settembre 2001, realizzata tra gli altri proprio dall'Internet Archive(2), che si è dimostrata essere uno dei primi veri e propri esempi di preservazione, in chiave storica, del Web.

In secondo luogo invece, la crescita e diffusione del social network Storify, aperto al pubblico nell'aprile 2011, evidenzia come la necessità di preservare testimonianze digitali sia un sentimento nutrito anche dagli utenti “comuni”.
Questa piattaforma è infatti espressamente dedicata a operare una selezione mirata di interventi, provenienti da altri social network (primariamente Twitter), per raccontare eventi in maniera più efficace e permettere di conseguenza una loro migliore consultazione futura. Raggiunta la notorietà per l'utilizzo durante i “London Riots” dell'estate 2011 e le manifestazioni legate a “Occupy Wall Street” dell'autunno seguente, Storify è divenuto in pochi anni uno strumento, alla portata di tutti, per la preservazione di testimonianze digitali.

Grazie a tecnologie di questo tipo, e tenendo a mente i metodi dell'analisi storica, sarà possibile per un professore evidenziare ai propri studenti la complessità, ma anche l'importanza, di un lavoro di ricerca e selezione sul patrimonio digitale presente in rete.

Ritengo infatti che sia giusto quanto sosteneva Donald Waters, parafrasando “Mending Wall” di Robert Frost: migliori strumenti di preservazione faranno migliori studenti.

Tuttavia è opportuno tenere a mente anche la validità del reciproco: sarà soltanto grazie a studenti che conoscono il mestiere dello storico, i metodi dell’archivista e gli strumenti dell’informatico che potremo in futuro avere progetti di preservazione, accesso e analisi di quell'immenso patrimonio documentario che è il World Wide Web.


(1) Pasetti, M., “La storia nella rete. Conversazione con Serge Noiret”, in “Storicamente”, 2, 2006. http://www.storicamente.org/02_tecnostoria/strumenti/02noiret.htm
(2) Interessante il saggio di Roncaglia, “Internet e l'11 settembre”: http://www.merzweb.com/testi/saggi/11settembre.htm


Bibliografia:
• Bloch, M., “Apologia della storia o mestiere dello storico”, Einaudi, Torino, 1950.
• Mandic, S., Internet Archive e nuove tipologie di fonti storiche, in “Diacronie: Studi di Storia Contemporanea”, no. 8, 2011. http://www.studistorici.com/wp- content/uploads/2011/10/07_MANDIC_numero_8.pdf
• Noiret, S., “Storia digitale: quali sono le risorse di rete usate dagli storici?”, 2011. http://www.academia.edu/1096776/Storia_Digitale_quali_sono_le_risorse_di_rete_usate_dagli_storici_
• Pasetti, M., “La storia nella rete. Conversazione con Serge Noiret”, in “Storicamente», 2, 2006. http://www.storicamente.org/02_tecnostoria/strumenti/02noiret.htm
• Waters, D., “Good Archives Make Good Scholars: Reflections on Recent Steps Toward the Archiving of Digital Information”, in “The State of Digital Preservation: An International Perspective”, pp. 78-95, 2002. http://www.clir.org/pubs/abstract/pub107abst.html

Di Federico Nanni
PUBLICATO SU:
http://www.educationduepuntozero.it

"L'approdo". Un'animazione dal libro di Shaun Tan

lunedì 20 maggio 2013

La Biennale di Venezia | Theatre 2013 | Teatro 2013



Object: Biennale College Theatre 2013

We are glad to send you the special project “Biennale College – Theatre”, a special project addressed to actors, dancers, performers, directors, set designers, playwrights, choreographers, critics, journalists, bloggers.
A project by Àlex Rigola - Director of the Theatre section

More info about the 42nd International Theatre Festival (1st > 11th August 2013) : click here >>


ANNOUNCEMENT

This year the Biennale College – Theatre project seeks again to adopt the spirit of a science laboratory: a place of postulation and debate. The Biennale, as a space open permanently to encounter and experimentation, wishes to become established as a valuable opportunity for artists, scholars, spectators, theatre lovers. A factory of ideas that explore the potential of theatre: languages, codes, techniques and technology, the sciences of the stage provide the guidelines for a systematic evaluation, entrusted to masters and experts from around the world.

The Biennale College – Theatre 2013 will offer seventeen workshops.
The programme schedules participants to attend the workshops in the morning and through the early afternoon, the meetings in the late afternoon and the performances in the evenings (with specific discounts, limited places).

For all the workshops that require the submission of a video with no further specifications, it is understood that the video must show the applicants’ work for the theatre.

The deadline for the submission of the applications is June 3rd.


Workshops for the creation of a short final production based on Shakespearian characters, to be performed before an audience on the last day of the Festival.
GABRIELA CARRIZO/ PEEPING TOM*
Ophelia
for: 15 actors/dancers/performers and 5 auditors, in English or Italian
5-11 August

JAN LAUWERS/ NEEDCOMPANY*
King Lear
for: 15 actors/dancers/performers and 5 auditors, in English
5-11 August

ANGÉLICA LIDDELL*
Lucretia
for: 15 male actors/performers and 5 auditors, in Spanish or Italian
5-11 August

KRYSTIAN LUPA*
Hamlet and Ophelia
for: 14 actors and 6, in Italian
5-11 August

CLAUDIO TOLCACHIR*
Macbeth
for: 15 actors and 5 auditors, in Spanish or Italian
5-11 August


Workshop for the creation of a short production (15’) for the 42nd Festival
ROMEO CASTELLUCCI/ SOCIETAS RAFFAELLO SANZIO**
The Meaning of
for: 12 actors/performers and 8 auditors, in English or Italian
1-9 August


Workshops that will involve working with the Company on the production that will be performed at the Festival, on the last day of the workshop.
LA VERONAL**
PICASSO - Pajaros muertos
for: 40 actors/dancers/performers, in English, Italian or Spanish
1-9 August

MOTUS**
Storm Chaser: The Tempest
MucchioMisto Workshop organized by Motus (Enrico Casagrande, Daniela Nicolò and Silvia Calderoni)
for: 15 actors/performers and 5 auditors, in English or Italian
1-4 August


Scenography workshop
ANNA VIEBROCK**
Deaths in Venice
for: 20 actors/directors/set designers/playwrights, in English
7-10 August


Dramaturgy workshops
WAJDI MOUAWAD*
The Creative Process
for: 20 playwrights/directors/actors/choreographers, in English or French
2-6 August

FAUSTO PARAVIDINO**
for: 20 playwrights/directors/actors/choreographers, in English or Italian
2-6 August

FLORIAN BORCHMEYER/ SCHAUBÜHNE*
Adapting and Rewriting the Classics: Il Gattopardo
for: 20 playwrights/directors/actors/dancers/choreographers, in Italian
7-11 August


Master class
UTE LEMPER*
Masterclass
for: 20 actors/singers and 10 auditors, in English
2 August
Teatro la Fenice, Venice


Other workshops
DECLAN DONNELLAN - NICK ORMEROD/ CHEEK BY JOWL*
Classical Text and the Ensemble: Measure for Measure
for: 20 actors, in English or Italian
1-4 August

DIRK ROOFTHOOFT/ TONEELHUIS*
Words Fluttering Away
for: 15 actors/dancers/performers and 5 auditors, in EnglishFrench or Italian
3-6 August

THOMAS OSTERMEIER/ SCHAUBÜHNE*
Re-directing the Classics: Shakespeare
for: 15 actors/dancers/performers and 5 auditors, in English or Italian
6-10 August


Critical Workshops
ANDREA PORCHEDDU
The Tempest – daily print newspaper of the Theatre Biennale
for: 8 critics, bloggers, journalists, who have worked at least 2 years for blogs, websites or daily print newspapers specialized in theatre, performance, and live entertainment; 1 photographer specialized in stage and theatre photography; 1 illustrator-cartoonist, all under the age of 35
1-11 August


RULES FOR PARTICIPATION
Applicants in the selection process may choose more than one workshop if attendance is compatible. They must apply on the Biennale website (www.labiennale.org/teatro) and submit specific material for each workshop.

Deadline for applications for the selection process
The material containing the documentation in digital form must be submitted on or before June 3rd 2013.
The Director Àlex Rigola will select the applicants in collaboration with the Masters conducting the individual workshops: their decision will be final and the results of the selection will be announced to the winners by June 17th 2013.

Fees
Workshops marked with (*): 100 euro VAT included (including the vision of the show of the master with whom you are working)
Workshops marked with (**): 80 euro VAT included

Payment
Each selected applicant will be required to pay the registration fee following the announcement of acceptance and in any case on or before July 1st 2013.
All costs involved in participating in the workshop (travel, room and board) will be at the expense of the participants.


For further information:
Facebook: Biennale Teatro

Sous les toits de Paris


venerdì 17 maggio 2013

Il Gigante Egoista, Oscar Wilde "fumettato" da Dino Battaglia

Ipse dixit: l'esiliato

L'esiliato ha una doppia vita, e la seconda vita, che un giorno è stata la prima e forse un giorno lo ridiventerà, è come iscritta in sovrimpressione sulla vita banale e tumultuosa dell'azione quotidiana. L'esiliato tende l'orecchio per percepire il pianissimo delle voci interiori attraverso il chiasso tuonante della strada, della Borsa e del mercato. Queste voci interiori sono le voci del passato e della città lontana, ed esse sussurrano il loro segreto nostalgico nella lingua della musica e della poesia.

Vladimir Jankélévitch

 

 

lunedì 13 maggio 2013

Vagone di seconda classe


Video di JF

Honoré Daumier, Vagone di terza classe

Honoré Daumier, Vagone di terza classe, cm 67 × 93, Ottawa, National gallery of Canada
Lo spazio della scena è tutto occupato dal vagone scuro e stretto; lo spazio in cui si muove il treno è rivelato solo dalle due finestrelle, ma queste sono relegate in fondo. L'unico che si volta per guardarci è un anziano signore con il cilindro; gli altri o non ci guardano, o ci guardano perché non sanno dove guardare.
In fondo a destra, invece, pare ci sia una discussione: solo un uomo parla concitato, mentre gli altri ascoltano seri.
Le tre (quattro con il neonato) figure in primo piano sono rappresentative di ogni età: il bambino è ancora indifferente al contorno e dorme, la donna giovane è tutta presa dal piccolo, la vecchia si fissa nei propri pensieri e sorride.
Nessuno pare rendersi conto di quello che allo spettatore del quadro salta subito all'occhio, cioè la povertà di tutta la scena. C'è in tutti una certa dignità da poveri, da uomini che, non possedendo, non sono schiavi di ciò che possiedono. Daumier, caricaturista, sapeva rappresentare con i lineamenti del volto ogni corruzione o disperazione: ma in questo quadro i volti sono fieri, anche se non eroici; e belli, anche se non idealizzati.
La tranquillità degli sguardi, la serietà della situazione, non fanno pensare a una povertà da cui si voglia evadere, cioè a quel povero che vuole diventar ricco per schiacciare i poveri come lui; è invece una povertà come condizione umana, perché, in fondo, siamo deboli e fragili.
Per cui i viaggiatori del vagone di terza classe sono nel bel mezzo di una lotta più rivoluzionaria della ribellione fine a sé stessa: abbracciano la propria condizione e vi si dedicano: la madre con il bambino, il gruppetto in fondo con la conversazione (dal latino cum vertere, voltarsi insieme); ognuno nella propria specifica condizione.

sabato 11 maggio 2013

Oscar Niemeyer. Le Volcan

Roma non è una cosa enorme.




Roma non è una cosa enorme. E’ una miriade di stanze, di paesini che non sanno di essere parte di una stessa cosa. Un ragazzo di periferia, se deve andare in centro, si prepara una settimana prima, si studia i percorsi, si fa prestare la macchina e poi finisce immancabilmente a Campo de’ Fiori; è entrato in un altro paesino. 
C’è la Roma antica, c’è quella medievale, c’è quella rinascimentale, barocca, rococò, moderna, postmoderna e addirittura quella contemporanea. C’è quella ricca, quella turistica, quella vivibile, e c’è quella povera, vuota e invivibile. Ci sono quartieri di villette ognuna col suo giardino; ci sono quartieri di grandi palazzi coi balconi che si affacciano sulla strada; nei primi quartieri non si vede nessuno, nei secondi sono tutti al bar o su qualche panchina, mentre i bambini giocano a calcio.

Ma tutte queste Rome, che non sanno di essere parte di una stessa cosa, in realtà lo sono. Dal centro storico a Tor Tre Teste, c’è sempre lo stesso sole pesante e bianco e ci sono gli stessi muri scrostati, ci sono persone che muoiono di caldo e che quando piove non escono di casa, anche perché tanto la metro sarà bloccata. 

Roma è poco europea; se io dovessi  fare un paragone con città che non ho mai visto, credo che ci siano più somiglianze con Algeri che con Parigi. L’immagine che si forma è quella di tanti palazzi a forma di scatola, gialli o rossastri, con le persiane quasi tutte chiuse, bagnati dal sole che rende bianca una faccia e nera l’altra. Il cemento e i sampietrini alla lunga sono insopportabili; allora i romani si rifugiano in uno dei grossi parchi urbani con il cane e i figli.

La città è rotonda, è un cerchio di mura circondato da un cerchio di binari circondato da un cerchio di autostrade. Le strade consolari escono come dei raggi dal centro e portano a tutto il mondo, altrimenti nessuna strada porterebbe a Roma. L’Ostiense passa sempre per case e nuovi paesini, senza mai vedere uno spazio libero, fino ad arrivare al mare e vedere lo spazio più libero di tutti. La Tiburtina si introduce dritta tra due file di palazzi di dieci piani che non finiscono mai. La Nomentana è più verde, più ricca: ai lati vedi le palazzine più belle.

Poi c’è l’EUR. Ora, non è che ho dei pregiudizi, ma qui il fascismo c’è riuscito, a costruire una città fascista. Qui sono tutti impiegati, sono tutti in case di vetro, le strade sono pulite, il traffico scorre, i bar sono pieni di gente che ha da fare, e in pausa pranzo sono tutti al parco del laghetto con gli auricolari e l’iPhone. A Roma non si sono mai tracciate le strade così ad angolo retto, così simmetriche, anche se si sarebbe sempre voluto; L’EUR è un progetto sbagliato in partenza, dove i monumenti sembreranno sempre dei simboli e non dei luoghi.

Il Tevere inumidisce la città; sulle sue rive c’è fango e verde, campi da calcio e campi nomadi. L’isola Tiberina sembra una cosa salvata dal bagnato, con le case aggrappate alle murate, e davanti il ponte rotto, pieno di gabbiani. Il mare di Ostia è un po’ triste; dal lungomare non si vede, tanti sono i lidi e i ristoranti. 

L’uomo è un mistero; se uno avesse uno sguardo profondo non concepirebbe come degli uomini, che in fondo sono tutti poveri e limitati, abbiano un desiderio di bellezza così forte da costruirci una città. Una città è impensabile da un uomo solo: un uomo solo si crea una casa e basta, mentre due uomini creano due case e la strada in mezzo. Una città bella come Roma è impensabile anche da due milioni di persone, perché il desiderio di bellezza non è nostro, ci è stato messo dentro.