mercoledì 29 maggio 2013

Santi quattro coronati

Sulla via Labicana, arrivati quasi al Colosseo, troverete, guardando a sinistra, una chiesetta paleocristiana, preceduta da un quadriportico con un portale antico o pseudoantico: san Clemente. A chi, come me, ama questo periodo artistico e storico, sconsiglio di entrare, se non per vedere il solito sovrapporsi di marmi colorati e simboli di potenza in un edificio che di ricco, in origine, non aveva nulla.
Continuate, invece, la strada che si arrampica sul Celio, finchè non sentirete il frastuono delle auto diminuire, finchè dai ricchi palazzi la città non diventi composta di piccole case appoggiate l’una all’altra. Fra i tetti vedrete emergere, come una rocca poderosa ma discreta, un abside. Cercate la chiesa a cui appartiene; non la vedrete se non girando attorno alle case, dove la salita si fa più dura.

Si giunge ad un piazzale che è più che altro uno slargo del marciapiede: davanti a voi un vecchio muro quasi in rovina e un portale a tutto sesto. Sul muro una targa: “Basilica dei Santi Quattro Coronati”. Passato il portale, non siete più a Roma, non siete più nel ventunesimo secolo. Siete in campagna, in un’abbazia o in una fattoria o comunque in un luogo non di questo tempo, che usa perfino l’udito e l’olfatto per trasportarvici. Il luogo è un cortile scrostato e sghembo; alla destra c’è un portico buio, rinascimentale e semplice, e alla destra una scaletta conduce a una porticina. Il suolo è ricoperto d’erba: un vialetto geometrico vi porta ad un ingresso antistante quello da cui siete giunti. Prima di passare oltre, guardatevi dietro. Da fuori non l’avevo notato, ma su quel muro scrostato, non allineata con il portone, vi è una piccola torre tozza e storta, incastrata in quella che forse un tempo era una facciata; rompe la massa muraria una fila di quattro bucature separate da colonnine bianche, unica concessione alla grazia decorativa in questa rustica struttura. L’effetto del muro, del portale e della torretta visti da dentro è quello di una facciata verso l’esterno; fatto che in una chiesa può avere un significato.
Passato il cortile, eccone un’altro: stavolta il portico di destra continua sul lato di fronte a voi: è la facciata della chiesa vera e propria (se di facciata si può parlare): quattro archi anonimi, con una fila di finestre
ancora più anonime sopra. Nulla lascia presagire lo splendore interno: l’impianto tipico paleocristiano è variato dai matronei, e si conclude in un abside (finalmente lo ritroviamo!) sproporzionato rispetto alla chiesa, che abbraccia tutte le tre navate. Il pavimento cosmatesco accompagna fino all’altare: il silenzio e il cammino fatto per arrivare fin qui, dalla via Labicana, impongono rispetto. L’interno dell’abside, che probabilmente ospitava un mosaico, è stato sostituito da un qualche trionfo di angioletti alati e felici tutti azzurri e rosa: unico punto dolente.
Ora, sulla navata di sinistra, suonate il campanello ed entrate nella porticina. Ecco il cortile più bello, quello del monastero annesso: opera dei Cosmati, famiglia di artigiani marmorei del 1300, autori di metà dei pavimenti delle chiese romane nonchè del famosissimo portico romanico di San Paolo fuori le mura, a cui questo cortile assomiglia. I portici bui circondano la corte luminosissima e la fontana; due file di colonnine (opere di design medievale)ci separano dalla luce; gli spazi fra di esse aumentano in quattro punti assiali, a formare delle porte dalle misure appena sufficienti per un uomo. E’ il luogo della misura giusta, della bellezza umile. Il prospetto interno è molto insolito, perchè sovrappone alle piccole bucature formate dalle colonnine dei balconi molto alti, scanditi da pilastri grezzi.
Ecco quello che ho visto in questo luogo; a scriverne, mi rammarico di non avervi perso tempo, di non aver studiato ogni particolare, di non aver guardato ogni possibile punto di vista di questo edificio che uno sguardo non può abbracciare in una sola volta.
Uscendo e tornando indietro, si arriva a san Giovanni. Ritorna il chiasso, acustico e visivo, e pare di non essere mai stati in un luogo diverso da questo.
Dal blog STE:POL:AR

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