mercoledì 30 maggio 2012

Il messaggio dell'imperatore

Proprio a te l'imperatore ha sussurrato un messaggio dal suo letto di morte.(...) Il messaggero si è messo subito in moto; è un uomo robusto, instancabile, ma la folla è così enorme (..) c'è tutta la città imperiale davanti a lui, il centro del mondo ripieno di tutti i suoi rifiuti, nessuno riesce a passare di lì e tanto meno col messaggio di un morto. Ma tu stai alla finestra e ne sogni, quando viene la sera."

FRANZ KAFKA. Il messaggio dell'imperatore.

domenica 27 maggio 2012

FUORDELLAVITAÉILTERMINE

Recensione

FUORDELLAVITAÉILTERMINE.Scritto così il titolo di questo straordinario romanzo di Antonio de Petro, edito nel 1981 dalla casa editrice Città Armoniosa, dà già un primo sentore di cosa ci aspetta.
Se la musa è manzoniana, non lo è lo stile, né l’accadimento, che non è di quelli che “vanno sempre a finire bene”. Ma, forse, non è proprio così, se ci sono ancora cuori vivi che sapranno fondersi perché ci sia una giustizia sulla terra.
La storia è quella di un imprenditore bresciano, originario della Lucania, che torna nella sua terra per darsi ragione dell’atroce morte della moglie. Il tempo però si accanì con lui e al Sud trovò un mondo morente non solo a causa del tragico terremoto, così pur “avendo fretta di risolvere i suoi problemi, si trovò ad affrontare quelli altrui, quelli nostri”.
A questo punto conviene, per vostro agio di lettori, che vi venga riportato quanto disse l’editore, un pomeriggio d’aprile del 1993, a un gruppi di ragazzi un po’ frastornati davanti a un testo inconsueto. Questo scrittore cerca di parlare ai giovani e non ai critici letterari o agli esperti di letteratura; i suoi testi sono pensati per le nuove generazioni e quindi De Petro abbandona il modo del romanzo tradizionale. Si preoccupa di parlare in modo educativo, cercando di condurre dentro e perciò rendendo ineliminabile la fatica al lettore.
Non è una scrittura d’evasione, è, anzi, piuttosto difficile, ma, ogni tanto, ci sono dei punti di pausa più semplici, in modo che uno sia invogliato a entrare nel difficile. Ricordate che come uno scrive è anche il modo con cui guarda la realtà. Perciò, anche titolo, sottotitolo, forma, struttura, dicono questo. Quest’opera, fatta come un breviario, ha tutta una parte che pare una digressione, segue poi una tradizione che affronta i temi del cuore dell’uomo.
Una tradizione che viene ironizzata, mai disprezzata, portata al paradosso perché sia più chiara l’apparenza e la verità delle cose”.
In un breviario ci sono i tempi della giornata scanditi dalla preghiera (Cosèlapreghiera? E’ riflettere di fronte al proprio destino. E, siccome il destino è diventato un uomo, si può anche dargli del tu) e, in questo ordine del tempo entrano i personaggi, si intrufola la regia a guidarci per non smarrirci, si va e si viene attraverso incontri imprevisti, rapporti avuti altrove, irruzione di uomini che, incontrando il Pasquale, divennero più uomini, fatti accaduti in luoghi diversi, perfino in romanzi diversi.
Come finisce questo libro? Con un dialogo con chi lo sa leggere. De Petro scrive per il suo lettore, costringendolo a soffermarsi nella lettura, cercando di conoscere la vita più a fondo, facendo fare quella fatica che è necessaria per farsi domande. Se sarete nel numero di quei suoi venticinque lettori (riecco, dopo il titolo, la musa manzoniana), forse, dovrete leggere e rileggere, tornare indietro, spingervi un po’ in avanti prima di capire, lasciarsi guidare e interrogare dalle chiose in apertura dei salmi.
“Pasquale, per molti, qui, sei stato il primo maestro. Ma la tua è anch’essa una luce da niente, se i cuori sono di pietra. Che giustizia vuoi che ci sia sulla terra, se Dio è morto nei cuori?”.
In questo libro i personaggi sono come persone e vanno trattati come le persone, soffermatevi perciò sul monologo durante la cena, la confessione, gli appunti della predica di don Sandro al matrimonio, la telefonata….senza tralasciar il passaggio di Filippo.
T.B.

martedì 22 maggio 2012

Longueur d’un jour

Longueur d’un jour sans vous, sans toi,
sans Tu, sans Nous,
Sans que ma main sur tes genoux
Allant, venant, te parle à sa manière,
Sans que l’autre, dans la crinière
Dont j’adore presser la puissance des crins,
Gratte amoureusement la tête que je crains…

Longueur d’un jour sans que nos fronts
que tout rapproche
Même l’idée amère et l’ombre du reproche
Sans que nos fronts aient fait échange de leurs yeux,
Les miens buvant les tiens, tes beaux mystérieux,
Et les tiens dans les miens voyant lumière et larmes…

Ô trop long jour… J’ai mal.
Mon esprit n’a plus d’armes
Et si tu n’es pas là, tout près de moi, la mort
Me devient familière et sourdement me mord.

Je suis entr’elle et toi ; je le sens à tout heure.
Il dépend de ton cœur que je vive ou je meure
Tu le sais à présent, si tu doutas jamais
Que je puisse mourir par celle que j’aimais,
Car tu fis de mon âme une feuille qui tremble
Comme celle du saule, hélas, qu’hier ensemble
Nous regardions flotter
devant nos yeux d’amour,
Dans la tendresse d’or de la chute du jour…

22 mai 1945
Paul Valéry (1871-1945) – Corona et Coronilla

domenica 20 maggio 2012

E chiamarmi Giovanni


Giovanni Riva

A unos días del fallecimiento de Giovanni Riva, recordamos entrañablemente a este hombre que sin duda fue padre en la Fe, maestro en la Caridad, amigo en la Esperanza, pero sirvan estas líneas para recordar hoy, también, al gran poeta. Alguna vez escuché decir al propio Giovanni que, en la actualidad, en muchas partes, se tiene por incuestionable la ecuación Italia = Vaticano = Catolicismo, de donde italiano = católico es un prejuicio que molesta ser desmentido; el propio Fellini acomete  la cuestión en su película 8 1/2. Lo cierto es que el lado religioso se encuentra presente en la cultura italiana, como una tradición que solicita revisión continúa. De ello da cuenta el primer poema de E chiamarmi Giovanni, “Il giorno in cui”:

Il giorno in cui decisi di tornare
non ricordavo più il perchè della partenza
tanto era il tempo transcorso.
Pensai allora di essere un altro,
che i miei capelli si fossero imbiancati.
Credevo di non essere più in Te.
Guardavo nello specchio, ogni istante,
per vedermi in viso.
La mia anima è viola
per il troppo pianto e le Tue braccia
aperte
credono al mio ritorno.

Como podemos apreciar, la poesía  revive el relato del Hijo pródigo: con la pasión y la herencia agotadas “non ricordavo più el perché della partenza”, dice la voz poética.  La poesía nos remite al momento, a las cavilaciones de aquel hombre que dejándolo todo, se fue a perseguir un sueño, ahora ya difuso en el tiempo, ya sin color, a la pérdida de la identidad: “pensai allora di essere un altro”. [Viene a la memoria el Día tres. AL ESPEJO de la bitácora de Sinbad el varado: “soplan ráfagas de nombres. /Mas si gritan el mío responden muchos otros que yo no conocía”].
El hombre que buscaba su identidad y su realización en los propios sueños se despierta irreconocible para él mismo: ¿La aventura del hombre del siglo XX abandonado de sentido? Sí, tal vez. Pero volvamos a la tradición.  ¿Es acaso el joven Hamlet quién continúa asomándose en el disfraz de hijo pródigo? Es muy posible. Sin embargo, importa notar que hay una cuestión inquietante en el poema, un Tú, que no es aquella voz de diálogo, donde nos podemos perder en cavilaciones.

Continuará...

venerdì 18 maggio 2012

House in Zushi by Takeshi Hosaka



images are all courtesy japan-architects, who visited the open house in early May.
Japanese architect Takeshi Hosaka is master of the unconventional. Whether he’s designingigloo-looking noodle shops or amazing homes that flip the indoors for the outdoors, Hosaka is continually pushing architectural boundaries with his shape-shifting projects. House in Zushi is his latest home – completed just last month – and uses recessed flooring as a unique method for ensuring privacy.
Those slabs of concrete that you see in the windows are actually the ceilings of each story or, if you prefer, the floor of the above story. Confusing? Have a look at the architectural model.
The curved floors allow for sunlight to enter each room, while also creating a significant barrier between residents and neighbors. Although I have a feeling the interesting house will only attract more eyes.
I’m not convinced that this is the most efficient way to maximize space, but it certainly creates in interesting interior, which will, in turn, undoubtedly create interesting sitting positions.
via http:spoon-tamago

giovedì 17 maggio 2012

LA MORTE DELLA PIZIA (Parte Quinta) Friedrich Dürrenmatt



l sole stava ora tramontando dietro il cantiere del tempio di Apollo, il solito, sempiterno spettacolo Kitsch; Pannychis, che il sole lo detestava, pensò che un giorno voleva proprio vederci chiaro in quella faccenda, la favola del carro e dei cavalli del sole la trovava assolutamente ridicola, ed era pronta a scommettere che il sole non era altro che una massa di gas fetidi e fiammanti. Dirigendosi verso l’archivio pensò per un attimo che era zoppa anche lei, proprio come Edipo. Lì si mise a sfogliare il libro degli oracoli, tutti i responsi emessi nel santuario vi erano registrati. Finalmente di imbatti in un oracolo pronunciato per un certo Laio, re di Tebe. Qualora gli fosse nato un figlio, costui lo avrebbe assassinato.
“E’ un oracolo intimidatorio,” pensò Pannychis tra sé e sé “riconosco lo zampino di Krobyle IV, la Pizia che mi ha preceduta”, della quale peraltro sapeva benissimo quanto fosse corriva coi desideri del gran sacerdote. Poi, frugando nei libri contabili, trovò la prova di un versamento di cinquemila talenti da parte di Meneceo, l’uomo drago, il suocero del re di Tebe Laio, con la seguente annotazione: “Per un oracolo formulato da Teresia in relazione al figlio di laio”. La Pizia chiuse gli occhi, meglio sarebbe stato, pensò, essere cieca come Edipo. E rimase a sedere pensierosa al tavolo di lettura dell’archivio. Ora capiva: il suo oracolo si era avverato per grottesca coincidenza, ma Krobyle in passato aveva vaticinato per impedire a Laio di generare un figlio e perciò un erede, in modo che fosse il cognato Creonte a succedergli al trono. Il primo oracolo, quello che aveva spinto Laio a esporre Edipo, era stato il frutto di una pastetta, il secondo si era avverato per puto caso e il terzo, quello da cui l’indagine aveva preso le mosse, era stato anch’esso formulato da Teresia. “Per portare Creonte sul trono di Tebe, sul quale di sicuro è già salito” pensò Pannychis. “E io che per troppa condiscendenza nei confronti di Merops ho recitato il responso formulato da Teresia,” borbottò tra sé furibonda “per di più in quegli orribili giambi, sono più perfida io di Krobyle IV, che almeno profetava solamente in prosa”.
Si alzò dal tavolo e lasciò quell’archivio coperto di polvere, da molto tempo ormai nessuno si preoccupava più di pulire e rassettare, ovunque nell’oracolo di Delfi la sciatteria più spensierata regnava sovrana. Comunque anche l’archivio sarebbe stato ben presto demolito, pensò, e al posto della vecchia casupola di pietra sarebbe sorto un nuovo e pomposo edificio, era perfino già prevista una casta sacerdotale che avrebbe avuto il compito precipuo di sostituire a quella spensierata sciatteria una sciatteria rigorosamente preordinata.
La Pizia abbracciò con lo sguardo i cantieri che aveva dinnanzi: era notte, pietre e colonne giacevano dappertutto, la sensazione era quella di un cumulo di rovine; un giorno, pensò, in quel luogo ci sarebbero state soltanto rovine.

France souviens-toi

lunedì 14 maggio 2012

Perché scriviamo ?

Il blog DaSeyn nasce da un’esperienza di amicizia, da un gruppo di giovani coscienti che il mettersi insieme è il modo migliore per affrontare la realtà. Soli, saremmo tutti schiavi. La presenza di un senso che mantiene in vita me, la persona che amo, la realtà e tutto il creato, emerge solo in una compagnia.
DaSeyn, “esserci”, è un piccolo segno culturale, il desiderio che fiorisca una cultura nuova. Per noi la cultura è un fatto, un’appartenenza, è il giudizio che nasce da un’esperienza vissuta. Non ci basta volerci bene, lo scegliere di essere insieme ci permette di desiderare un esistenza da uomini. Non crediamo nel semplice motto “l’unione fa la forza”, cosi spesso smentito dai fatti. Siamo insieme per scoprire il senso ultimo dell’essere, del vivere e del morire. Siamo immersi nella nostra condizione quotidiana, dalla quale non vogliamo né possiamo evadere, nella quale, tuttavia, ogni cosa è segno di una realtà che sta oltre ciò che appare.
Insieme volgiamo portare un giudizio culturale. Ma tutto è cultura: l’amore è un fatto culturale, il lavoro è un fatto culturale, il lavoro lo è, ogni piccola cosa di cui si costruisce la giornata è fatto culturale, poiché richiede di essere giudicata, per essere libera.
La narrazione di qualcosa di vivo è sempre inadeguata ai fatti. E il nostro “esserci” è un fatto vivo, non una struttura redazionale, ma un’amicizia, la ricerca di una comunione di giudizio. Scriviamo in primo luogo per noi stessi, poiché ogni rivoluzione nasce dal cambiamento del modo di concepire sé. È il lavoro di tutta una vita, una rivoluzione culturale, a lungo termine.
Un’amico ci ha detto: “Ma come fate a non accorgervi che la cultura non é un aumentare la quantità di dati, ma piuttosto un mutamento nella qualità di giudizio?”
Ecco, una redazione più stabile è nata, neaonata e dunque fragile.
Saremo felici di tutte le idee che il lettore vorrà segnalarci.
(L’indirizzo della redazione è: daseyn2009@gmail.com)
Ben ritrovati