mercoledì 21 novembre 2012

Qualandiya international, arte e vita in Palestina. Biennale Palestinese

 
 
 
Mohammed Hawajri
The Jerusalem show project.


Mohammad Al-Hawajri was born in Bureij refugee camp in the Gaza Strip in 1976. In 2000, he participated in the Summer Academy held at Darat al Funun, the cultural division of the Khalid Shuman Foundation, and won first prize during the closing exhibition. In 2008 he participated in the Jerusalem Show “Outside the Gates of Heaven” (Al-Ma’mal Foundation for Contemporary Art); the International Biennial of Alexandria; and the symposium “Mediterranean in Art Waves of Emotions” in Pescara, Italy. His works have been displayed in Palestine, Britain, Italy, Jordan, France, and Switzerland. Al-Hawajri is a founding member of Eltiqa Group for Contemporary Art in the Gaza Strip.

Artwork Synopsis
M43, 2009
44 watercolor drawings on paper

The scenes in the drawings are moments of micro-resistance, gestures that subvert the relationship between the occupier and the occupied. They almost function as a diary of daily fictitious and real events; the landscape is empty as if suspended in the imagination of a child playfully weaving subversive situations. The scenes progress like a film, with a laughing turtle that appears at times as a soldier's helmet and at other times as a panicked soldier.

 Qualandiya international: www.qalandiyainternational.org

Coupure de presse I


martedì 20 novembre 2012

Ipse Dixit: Bonhoffer


Dietrich Bonhoffer: 8 luglio 1944

Chi sono io?
(...)
Io, in realtà, son ciò che gli altri dicono di me?
O sono solo ciò che io so di me stesso?
Inquieto, nostalgico, malato come un uccello in gabbia
bramoso d'un respiro vivo
come mi strozzassero la gola
affamato di colori,
di fiori, di voli d'uccelli
assetato di parole buone, di presenza umana
tremante di collera davanti all'arbitrio
e alla più meschima umiliazione
roso per l'attesa di grandi cose
impotente e preoccupato per l'amico ad infinita distanza
stanco e vuoto per pregare, per pensare, per creare
esausto e pronto a prendere congedo da tutto?
Chi sono io? Questo o quello?
Oggi uno, domani un altro?
Sono tutti e due insieme?
Davanti agli uomini un simulatore
e davanti a me stesso
uno spregievole, querulo rottame?
(...)
Chi sono io?-domandare solitario che m'irride.
Chiunque io sia, tu mi conosci,
tuo sono io, o Dio!

domenica 4 novembre 2012

La Morte della Pizia Parte Decima










entono tutti” stabilì la Pizia.
“Chi dici che mente?” domandò Tiresia, ancora immerso nei suoi pensieri.
“Le ombre”, fu la risposta della Pizia “non c’è nessuno che dica tutta la verità, nessuno tranne Meneceo, il quale è troppo stupido per dire bugie. Laio mente, così come mente quella puttana di Giocasta. E perfino Edipo non è del tutto sincero”.
“Secondo me tutto sommato Edipo è sincero” dichiarò Tiresia.
“Può darsi,” replicò amaramente la Pizia “ma con la Sfinge ha cercato di imbrogliare le carte”. Un mostro con testa di donna e corpo di leone. Ridicolo”.
Tiresia scrutò la Pizia: “Vuoi sapere” domandò poi “chi è la Sfinge?”.
“Ebbene” chiese Pannychis. L’ombra di Tiresia le venne più vicino, quasi paternamente avviluppandola.
“La Sfinge,” cominciò a raccontare l’indovino “era così bella che io la guardai con tanto d’occhi quando, attorniata dalle sue docili leonesse, la vidi per la prima volta davanti alla sua tenda sul monte Ficio nei pressi di Tebe. “Vieni, Tiresia, vieni qui, vecchio furfante, di’ al tuo fanciullo di andare nella boscaglia e siediti accanto a me” mi disse ridendo. Io fui contento che non avesse parlato in presenza del ragazzino, la Sfinge sapeva che la mia cecità era tutta una finta, ma per fortuna se lo tenne per sé. Così, davanti alla tenda, mi sedetti accanto a lei sopra una pelle di animale, e intanto le leonesse ci giravano intorno mansuete. Aveva lunghi e morbidi capelli d’oro chiarissimo, era enigmatica e limpida, insomma una creatura vera; soltanto quando impietrì, allora, Pannychis, io rimasi atterrito, ma la vidi così una volta soltanto: quando mi raccontò la storia della sua vita. Naturalmente le conosci anche tu le tremende peripezie della famiglia di Pelope. Il fior fiore dell’aristocrazia. Ebbene, il giovane Laio, appena salito sul trono di Tebe, sedusse la celebre Ippodamia, anche lei appartenente all’alta aristocrazia. Pelope, lo sposo di lei, si vendicò nello stile della famiglia: evirò Laio e lo abbandonò gemente al suo destino. Ippodamia partorì una figlia che per dileggio chiamò Sfinge la strangolatrice e poi consacrò a Hermes come sua sacerdotessa in modo da condannarla alla perpetua castità, ma anche per ottenere che Hermes, il dio dei commerci, favorisse le esportazioni verso Creta e l’Egitto, esportazioni di vitale importanza per la stirpe di Pelope; e pensare che era stata Ippodamia a sedurre Laio e non viceversa, ma come tutti gli aristocratici Ippodamia era maestra nel coniugare il piacere alla ferocia e la ferocia alla convenienza. Ma perché la Sfinge, dal monte Ficio, tenesse suo padre e Tebe sotto perpetua minaccia, e perché facesse sbranare dalle leonesse tutti coloro che non risolvevano il suo enigma, questo lei non volle svelarmelo, probabilmente perché aveva indovinato che io ero andato a trovarla su incarico di Laio per sondare le sue intenzioni. Si limitò a trasmettermi l’ingiunzione che Laio lasciasse Tebe in compagnia del suo auriga Polifonte. E Laio, con mio stupore, ubbidì”.
E Tiresia fece una pausa di riflessione. “Ciò che accadde poi” disse ancora “lo sai anche tu o Pizia: lo sciagurato incontro nel valico stretto tra Delfi e Daulide, l’uccisione di Laio e Polifonte per mano di Edipo e la visita di quest’ultimo alla Sfinge sul monte Ficio. Tutto bene. Edipo sciolse l’enigma e la Sfinge si gettò a capofitto giù nella vallata”. Tiresia tacque.
“Stai alterando, vecchio,” disse la Pizia “perché mi racconti questa storia?”
“E’ una storia che mi tormenta” disse Tiresia. “Posso sedermi accanto a te? Ho freddo, l’acqua gelida di cui mi sono abbeverato alla fonte Tilfussa mi sta consumando.”
“Prendi il tripode di Glykera” rispose la Pizia, e l’ombra di Tiresia prese posto accanto a lei sopra la crepa nella roccia. I vapori si fecero più fitti e rossastri.
“E perché mai dovrebbe tormentarti?” domandò la Pizia in tono quasi amichevole.
“La storia della Sfinge è del tutto irrilevante, testimonia soltanto com’è miserevolmente finita la discendenza di Cadmo. Con un re castrato e una sacerdotessa condannata alla perpetua castità.”
“C’è qualcosa che non quadra in tutta questa storia” disse pensieroso Tiresia.
“Se è per questo, non quadra proprio niente,” rispose la Pizia “ma cosa vuoi che conti, tanto per Edipo non ha importanza se Laio era castrato o invertito, Laio comunque non era suo padre. La storia della Sfinge è assolutamente irrilevante.”
“In realtà, Pannychis, se c’è una cosa che mi preoccupa,” mormorò Tiresia “è che non esistono storie irrilevanti. Tutto è connesso con tutto. Dovunque si cambi qualcosa, il cambiamento riguarda il tutto. Perché, Pannychis, “seguitò Tiresia scuotendo il capo “perché con il tuo oracolo hai inventato la verità! Senza quel tuo responso, Edipo non avrebbe mai sposato Giocasta. E ora sarebbe il re di Corinto, un ottimo sovrano. Ma non credere che io voglia farti delle accuse. Sono io il maggiore colpevole. Edipo ha ucciso suo padre, beh, sono cose che succedono, poi è andato a letto con sua madre, e allora, che c’è di tanto strano? L’unico vero disastro è che tutto sia venuto alla luce in maniera così clamorosa e paradigmatica. Quel dannatissimo ultimo oracolo riguardante la solita eterna pestilenza! Invece di costruire una fognatura come si deve, tanto per cambiare ti chiedono un oracolo.
“Pensare che fra l’altro io ero perfettamente al corrente della situazione, Giocasta mi aveva confessato tutto. Sapevo benissimo che il vero padre di Edipo era un oscuro ufficiale della guardia. E sapevo altresì che Edipo aveva sposato sua madre. Ebbene, pensai, c’è un solo problema adesso: fare un po’ d’ordine. Incesto o non incesto, Edipo e Giocasta avevano ormai messo al mondo quattro figli, e dunque il loro matrimonio doveva essere salvato. L’unica persona che ancora poteva minacciarlo era quel galantuomo di Creonte, devotissimo alla sorella e al cognato, il quale, però, data la sua visione del mondo, se fosse venuto a sapere che il cognato era anche suo nipote e che i figli del cognato erano a pieno titolo suoi nipoti e suoi pronipoti, data la sua vision del mondo, dicevo, una cosa del genere non avrebbe mai potuto accettarla, e certo avrebbe cacciato Edipo dal trono, per pura devozione al comune senso della morale. E a noi allora sarebbe toccato come a Sparta uno Stato totalitario, sangue a pranzo e a cena, i bambini handicappati eliminati alla nascita, ogni giorno esercitazioni militari, eroismo come dovere civico; sicchè io decisi di inventare una cretinata, la più grande cretinata della mia vita: ero convinto che ad uccidere Laio nello stretto valico tra Delfi e Daulide, con l’intento di sostituirlo sul trono, fosse stato proprio Creonte, sempre per devozione, naturalmente, questa volta nei confronti della sorella di cui voleva vendicare il figlioletto, dal momento che lui, Creonte, credeva di sicuro che Edipo, esposto appena nato, fosse figlio di Laio, per il semplice motivo che, essendo fatto tutto d’un pezzo, l’adulterio era per lui assolutamente inconcepibile; insomma ho escogitato quel responso solo perché Giocasta mi ha taciuto che Edipo aveva ucciso Laio. Sono convinto infatti che lei lo sapesse, perché ho la certezza che Edipo le raccontò quello che era successo nello stretto valico tra Delfi e Daulide e che Giocasta abbia solo fatto finta di ignorare per mano di chi fosse caduto Laio. Non ho alcun dubbio: Giocasta l’ha capito immediatamente.