martedì 31 maggio 2011

Ipse Dixit: Wilde

Essere capaci di una passione e non realizzarla, significa ritrovarsi incompleti e limitati.

Forma Urbis: Utopia

Chi ha veduto una di quelle città le ha veduto tutte, tanto sono un’ a l’altra simile, ove la natura del luoco lo consente. Ne dipingerò adunque una, e benché non importi descrivere più questa che quella, nondimeno ragionerò di Amauroto, la più degna, la quale per avervi il senato è da tutte le altre onorata, e io ho di quella maggior cognizione, perché vi sono stato cerca anni cinque. Amauroto è situata in una costa di monte, quasi quadrata, perché la sua larghezza comincia poco di sotto da la cima del colle e per duemila passi si stende al fiume Anidro, lungo la ripa del quale alquanto più si stende. Anidro fiume sorge da picciol fonte ottanta miglia sopra Amauroto, ma, dal concorso d’altri fiumi accresciuto, passa avanti Amauroto largo cinquecento passi, e indi poi slargandosi a seicento, mette ne l’Oceano. In questo spacio di alquante miglia tra el mare e la città, l’acqua va e torna con molta fretta ogni sei ore. Il mare, quando v’entra, occupa il letto del fiume per trenta miglia e caccia indietro le acque di quello, e a le fiate le corrompe col salso. Ma tornando poi adietro, il fiume a l’usato corre con dolci acque irenanti la città; e un ponte non di travi o legnami, ma di pietra egregiamente lavorata, serve per passare il fiume a quella parte che è più dal mare luntana, acciò che le navi possino passare inanti a quel luoco de la città senza pericolo. Hanno ancora un altro fiume, non già grande, ma tranquillo e piacevole, il quale, sorgendo del monte ove la città è fabricata, passa per mezzo di quella e mette ne l’Anidro. Amaurotani hanno tolto dentro ne la città la fonte di questo fiume, che non era molto luntana, e fortificatola, acciò che non potesseno i nimici divertire l’acqua o corromperla. Indi con canoni di pietra cotta derivano l’acqua a le più basse parti, e ove per il luoco non si può condure l’acqua, fanno cisterne in le quai si raccoglie la pioggia, e ne pigliano i popoli il medesimo commodo. Il muro largo e alto cinge la città con torri e revelini; la fossa secca, ma larga e profonda e con spine e siepi; da tre bande ha le mura, e da la quarta il fiume li serve per fossa; le piazze sono fatte acconciamente, e per condurvi le cose necessarie, e perché siano secure da’ venti; gli edificii non vili e tirati al dritto quanto è lungo ogni borgo, con le case a rimpetto una de l’altra. Le fronti dei borghi hanno tra loro una via larga venti piedi. Dietro le case quanto è largo il borgo è l’orto largo e rinchiuso da le muraglie di dietro dei borghi; ogni casa ha la porta di dietro e davanti, la quale si apre agevolmente in due parti e si chiude da sé stessa; ognuno vi può entrare; tanto hanno ogni lor cosa commune, che ancora mutano le case ogni dieci anni. Fanno gran stima degli orti, nei quali piantano viti, fruti, erbe e fiori con grande ordine e vaghezza. Garreggiano i borghi uno con l’altro di aver orti più belli, né hanno cosa de la quale piglieno più diletto e commodo che di questi, dei quali pare che avesse più cura il loro autore che di qualunque altra cosa, perché dicono Utopo da principio aver descritto questa forma de la città, lasciando poi la cura di ornarla ai descendenti. Ne le loro istorie, da quel tempo che fu preso l’isola, che comprende anni mille settecento e sessanta, le quai conservano molto diligentemente, leggesi che le case erano basse come tugurii, fatte di ogni sorte di legnami che potevano avere, i pareti lutati e la cuoperta de strami levata nel mezzo. Ma ora le case hanno tre palchi, i muri di selice o mattoni con calce incrostati e ripieni de rottami; i tetti, piani e rassodati in guisa che non portano pericolo del fuoco, sono cuoperti di piombo per tollerar le piogge; le finistre di vetro, ch’hanno bellissimo, li defendono dai venti; usano ancora a questo tele sottili unte con oglio lucidissimo o di ambro, e indi hanno più chiara luce e sono dal vento meglio difesi.

lunedì 30 maggio 2011

No Tankers Oil Posters

No Tankers Oil Posters posters environment design advertising
No Tankers Oil Posters posters environment design advertising
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As part of the Dogwood Initiative’s No Tankers campaign, creative agency Rethink Canada designed these oil tanker posters printed with water-soluble ink that when exposed to rainwater proceed to bleed onto everything below them, simulating the potential for oil spills in the region. (via this is colossal)

The Critic as Artist, 1891

The sculptor hewed from the marble block the great white-limbed Hermes that slept within it. The waxers and gilders of images gave tone and texture to the statue, and the world, when it saw it, worshipped and was dumb. He poured the glowing bronze into the mould of sand, and the river of red metal cooled into noble curves and took the impress of the body of a god. With enamel or polished jewels he gave sight to the sightless eyes. The hyacinth-like curls grew crisp beneath his graver. And when, in some dim frescoed fane, or pillared sunlit portico, the child of Leto stood upon his pedestal, those who passed by,λάμπουν απαλά μέσω του αέρα became conscious of a new influence that had come across their lives, and dreamily, or with a sense of strange and quickening joy, went to their homes or daily labour, or wandered, it may be, through the city gates to that nymph-haunted meadow where young Phædrus bathed his feet, and, lying there on the soft grass, beneath the tall wind-whispering planes and flowering agnus castus, began to think of the wonder of beauty, and grew silent with unaccustomed awe.

Street Art: Yves Montand's sagesse

Réggio emilia, ore 12.52, domenica 29 maggio 2011

Ipse dixit: Edward Bond


Dans son livre sur Aushwitz, Si c’est un homme, Primo Levi rapporte l’incident suivant. Il avait très soif,un glaçon pendait à l’extérieur de la fenetre, il tendit la main et cassa le glaçon. De l’extérieur un garde allemand lui arracha le glaçon des mains. Levi demanda au garde « Warum ? » Ce n’était pas même une tasse d’eau, ce n’était qu’un glaçon. Le garde répondit « Hier ist kein warum ». L’enfer est le lieu où il n’y a pas de « warum »

Edward Bond

domenica 29 maggio 2011

Hey You! What Song are you Listening to?



Desde siempre he deseado hacer esto, osea, habia pensado de hacerlo, pero no lo hice. Se me adelantaron. De todas formas, un divertido video che refleja la vida urbana...

sabato 28 maggio 2011

Sofa_XXXX by Yuya Ushida



Following our video interview with designer Yuya Ushida, this film demonstrates the earlier bamboo version of his Sofa_XXXX expanding seating system, which is made from thousands of components. Ushida developed the concept while studying at Design Academy Eindhoven.

yuyavsdesign.com
dezeenscreen

venerdì 27 maggio 2011

El Museo Reina Sofía podrá gestionar su presupuesto como una empresa privada

El Museo Reina Sofía de Madrid cumple 20 años con cambios sustanciales en la situación jurídica que hasta ahora impedía a su director comprar, contratar y gestionar sin autorización previa del Ministerio de Cultura. Un proyecto de ley remitido por el Gobierno de la Nación a las Cortes Generales facilitará la conversión del museo que lleva el
nombre de la Reina de España en un organismo mucho más ágil, con capacidades propias de una empresa privada. “Queremos atraer el mecenazgo de grandes instituciones que aporten financiación, compras, donaciones y depósitos de obras”, explica Guillermo de la Dehesa, que fue Secretario de Estado de Hacienda con Felipe
González, y que ahora preside el Patronato del Reina Sofía. La nueva ley permitirá a los gestores del museo crear sociedades, firmar convenios internacionales y administrar su presupuesto con “una completa autonomía en la gestión”. Además, el personal pasará a regirse por un convenio colectivo, como en cualquier fábrica.

Jacques Copeau, troisième partie



La Bourgogne et les dernières années

Après tout ça, Copeau se retire en Bourgogne avec ses élèves. Il a continué à chercher celle que Gide appelait sa « chimère » jusqu’à la fin: travailler avec la jeunesse. La vie collective et le travail commun continuent dans le chemin commencé à l’école. La journée commençait à 9 heures du matin avec les exercices de gymnastique, suivis par la pratique du mime, et dans l’après midi modelage, musique et peinture d’abord et puis improvisation, et répétition du spectacle en chantier. Finalement les acteurs jouaient la pièce dans les marchés, dans les places, dans les rues, où se déroulait la vie quotidienne.
Les Bourguignons, d’abord méfiants, les accueillent bientôt avec sympathie, les désignant sous le nom de « Copiaus ». Ils joueront «Fragment d’une célébration de la vigne et du vin », en 1932, et entre le 1925 et le 1929, « Le triomphe de Notre Dame de Chartres », « La vie profonde de Saint François d’Assise », et « La souriante madame Beudet » d’Obey.
C’est en fait à Lyon, le 14 Mai 1924 que la troupe rencontre André Obey. Il était à l’époque un jeune dramaturge déjà assez connu. Il restera avec eux trois ans en tant que poète de la troupe et avec lui Les Copiaus fonderont La Compagnie des Quinze. Pendant ces ans ils ont monté « Noé», « Le viol de Lucrèce » et « Bataille de la Marne ».
En mai 1940 Copeau est nommé pour une brève période « Administrateur provisoire de la Comédie française ». Mais, en refusant de s’incliner devant les exigences des autorités d’occupation, il démissionne le 6 Mars 1941. Le même mois, il publie Le Théâtre populaire et termine Le Petit Pauvre, histoire de saint François d'Assise. Assombri par la guerre et la maladie, il peut encore assurer, en juillet 1943, la mise en scène du « Miracle du pain doré » dans la cour des Hospices de Beaune, avec l'assistance d'André Barsacq. Ses derniers ans passent en donnant des conférences en Europe et aux Etats-Unis et en écrivant.
Il mort en 1949.

La calligrafia islamica. Dalla calligrafia ai graffiti ultima parte

Tutti i graffitari hanno avuto un’intuizione molto felice, quella di ridare vita alla parola, cercare di avvicinare nuovamente immagine e parole “cercando così di sfuggire all’anonimia alla quale ci ha condannato la tipografia, la famigerata invenzione di Gutenberg, da cui la nostra cultura occidentale ha ricevuto tanta forza, ma anche tanta povertà sensoriale”. La scrittura e lo studio calligrafico tornano ad avere una posizione centrale che porta nel mondo occidentale a creare nuove tipologie di scrittura e nel mondo orientale in genere, islamico in particolare, a portare avanti e a trasferire su supporti diversi ciò che è stato tradizione secolare; in generale è “come si fossero trasformati in schiere di miniaturisti, dove tuttavia il termine è da riusare nel significato letterale originario, che viene dal minio, cioè dal ricorso a un colore squillante, nell’atto della scrittura. Le lettere devono campeggiare sulle fiancate dei vagoni della metropolitana o dei treni, appunto impresse con colori sgargianti, densamente emotivi”.
Nel mondo dell’arte islamica il XX secolo aveva già dato grandi innovazioni introducendo la calligrafia  nelle più elevate tecniche di pittura, portando quindi la calligrafia a essere da decoro artistico a espressione artistica in quanto tale. Possiamo distinguere diverse caratteristiche in cui si sviluppa la nuova espressione artistico-calligrafica: 1. Un intreccio geometrico di lettere nel quale il pittore incomincia da una frammentazione e ricompensazione creativa dell’alfabeto, per guidarci dentro un talismano magico del linguaggio. 2. Lettere o parole che si impongono di per se stesse su di uno sfondo colorato o con diverse raffigurazioni. 3. Un semplice trattamento decorativo di lettere, parole, frasi o interi testi con uno stile di rapida comprensione per fare subito presa sullo spettatore, i testi scelti sono di facile comprensione anche per permettere una meditazione sulle parole scritte.
I graffiti islamici riprendono e accettano tutte le tecniche dell’arte calligrafica standard ma ormai viene abbandonata la calligrafia religiosa; oggi si gridano le proteste o si danno messaggi che sperano di attirare l’attenzione per far meditare non in senso mistico ma dichiaratamente politico. “Sometimes the letter is presented in a variety of different ways (horizontal, vertical, slanting, reversed or superimposed to give a palimpsest effect), so that the writing appears to walk and run and skip across the space. On another occasion, with a sustained energy that can sometimes be ferocious, the artist projects the viewer into a maze where one is liable to trip on the reading of a word and be thrown off balance”.
Nuovi quadrati magici sufi per meditazione e cura (della società?) sono comparsi e continueranno a comparire nei (non)luoghi più insoliti per accompagnarci nella giornata.

giovedì 26 maggio 2011

Forma Urbis: Sforzinda

Sforzinda è forse il primo progetto di città rinascimentale concepita secondo un disegno unitario e dettagliato in ogni sua parte.
L'architetto e scultore fiorentino Filarete, fu inviato dai Medici alla corte di Francesco Sforza, duca di Milano, come portatore della nascente cultura rinascimentale toscana. Durante un secondo soggiorno nella città lombarda scrisse un trattato di architettura, nel quale vengono esposte le sue teorie sui "modi e misure dello hedificare". La città dovrà sorgere in un luogo ideale, la valle dell'Inda, attraversata da un corso d'acqua e riparata dai venti.La costruzione dell'intera città viene pianificata con i tempi di lavoro, i materiali da usare e le maestranze da impiegare ( dodicimila maestri e ottantaquattromila lavoranti ).La data di inizio dei lavori viene stabilita da un astrologo e la stessa pianta stellare deriva probabilmente da motivazione di ordine cosmico - geografico ma anche da problematiche legate alla migliore difesa della città. La pianta presenta uno schema urbano di tipo radiale.la forma è una stella, generata dall'intersezione di due quadrati ruotati di 45° ed iscritta entro un fossato circolare: nelle otto punte di questa figura sono poste altrettante torri e negli spigoli rientranti otto porte, dalle quali otto strade radíocentriche conducono alla piazza centrale porticata, di forma rettangolare. sulla quale si dispongono gli edifici destinati alle funzioni civiche più importanti, cioè gli spazi per le attività governative, amministrative, religiose ed economiche.

L'intero progetto è riportato sotto forma di dialogo tra il principe ( Francesco Sforza ) - da cui deriva il nome della città- e il progettista ( Antonio Averulino, detto Filarete ) nel codice Magliabechiano, pubblicato per la prima volta da W.von Ottigen nel 1894 " Tractatus ".
" le mura prima ottangulate saranno, grosse
braccia sei; et alte voglio che siano quattro
volte quanto sono grosse. Le porte saranno
negli angholi retti; poi le strade si partiran-
no dalle porte, et andranno tutte al centro.
E quivi farò la Piazza, la quale sarà per la
lunghezza uno stadio, e pel largo sarà mez-
zo stadio. E in testa sarà la chiesa cathedrale
con le sue appartenenze....
Lungo le strade si aprono otto piazze, collegate da un percorso circolare concentrico, che ospitano mercati specializzati (in quelle verso oriente ed occidente, paglia e legname, a settentrione olio e altre cose, a meridione grano e vino; ed in ciascuna, secondo la necessità, ci saranno vendite di carne e varie attività). Altre strade radiocentriche collegano la piazza centrale con le torri, e su queste si troveranno altre piazze, nelle quali saranno collocate le chiese parrocchiali e quelle dei conventi.

Le strade radiali che conducono alle piazze di mercato sono costeggiate da un sistema di canali collegati al fiume esterno. che poi si riuniscono ad anello intorno alla piazza principale: la funzione di queste "vie d'acqua" è quella di permettere in modo economico il trasporto delle merci. Un'idea, questa, certamente ripresa da Venezia e che sarà ulteriormente sviluppata da Leonardo.La piazza centrale è un rettangolo nel rapporto tra i lati di 1:2 (centocinquanta braccia per trecento). Intorno a questo spazio maggiore, alle cui estremità sorgono il palazzo dal principe e la cattedrale con l'episcopio, si aprono due piazze minori. sulle quali si affacciano gli altri edifici pubblici: il palazzo del comune, il palazzo del podestà, quello de capitano, la prigione. la dogana, la zecca, il macello, bagni pubblici. locande e il lupanare; inoltre le due piazze ospitano rispettivamente il mercato dei generi alimentari e quello delle altre merci. Il trattato prosegue con una descrizione analitica degli edifici principali, che sono anche illustrati, nella versione del codice Magliabechiano di Firenze, con fantastici disegni autografi: una torre diventi piani, che sorgerà nel centro della piazza, dall'alto dell quale "si discernerà tutto il paese". la cattedrale, a pianta quadrata con quattro campanili negli angoli e una cupola al centro; l'ospedale, che riprende il modello dell'Ospedale Maggiore di Milano progettato dallo stesso Filarete.

Per le problematiche affrontate anche in certo dettaglio, seppur in passi del trattato non corrispondenti a possibili e concreti sviluppi, Sforzinda appare un punto d'incontro tra città ideale e città reale.

E' forse la prima volta che si parla in termini di zone specializzate allo sviluppo di certe attività; vengono prese in considerazione orientamenti e venti dominanti; si differenziano flussi di traffico con l'uso di corsi d'acqua specializzati per il traffico mercantile disposti parallelamente alle vie tracciate sul terreno; vengono teorizzate, se pur non rispondenti scientificamente, soluzioni di ingegneria antisismica per le costruzioni di importanza pubblica; si predispone una distribuzione dei servizi principali della città per un migliore servizio al cittadino. Dalla descrizione delle opere, della intenzioni progettuali, Sforzinda più che una città del sogno o "ideale" appare come una metafora della città dentro cui leggere indicazioni concrete per la pianificazione urbana e territoriale.

A cidade :o medo eo desejo. Um Filme Falado, 2003, by Manoel de Oliveira



mercoledì 25 maggio 2011

Matisse, Deux négresses

fig. 1
Si veda ad esempio Henri Matisse “Scultura e vaso persiano” (fig.1); quest’opera del 1908 è interessante perché vi ritorna il motivo della figura del ‘Souvenir de Biskra’ riproposta al centro della tela, ed inoltre è circondata da altri dei temi ricorrenti del repertorio iconografico di Matisse, ad esempio il riferimento all’arte giapponese; presente sul paravento azzurro, lo ritroviamo nelle ampie serie di dipinti caratterizzati da forte decorativismo come ravvisabile nell’ “Armonia in rosso”(38) e nella lunga serie di nature morte dove oltre al decorativismo c’è un altro elemento tipico di Matisse riscontrabile anche in questo quadro: un vaso che racchiude dei fiori; dal vaso con fiori possiamo ricollegarci alla “ Natura morta con pannello 'La danza'”(39), in cui ritorna l’allusione al movimento, il ramo fiorito che fuoriesce dal vaso va a sovrapporsi alla tela della danza raffigurata in secondo piano tanto da entrarci dentro e formare un inscindibile legame fra ognuno di questi leit motiv matissiani reiterati in ogni fase del continuo maturare dell’artista. Al Salon d’Automne del 1907 oltre alle “due negre” vennero esposte altre tre opere di Matisse(40), tutte e tre espressioni diverse della stessa ricerca che persegue anche con la scultura: una deformazione in un sistema di curve ed angoli e una forte semplificazione ai fini della composizione anatomica: “La musica”(41), “Il lusso” e “La toletta”. Per concludere possiamo affermare che la ricerca in campo scultoreo di Matisse abbia influenzato, a volte molto da vicino, altre meno, la produzione pittorica matissiana e di altri artisti suoi contemporanei.
fig. 2
Dallo studio e l’analisi di questi primi nudi anticonvenzionali, si svilupperà una linea iconografica che porterà nel 1909-10 alla “Danza I”(42) e “Danza II”(43) di Matisse e, nello stesso 1907, alle “Demoiselles d'Avignon”(44) di Picasso(45). Matisse risolve le perplessità sulle pose umane con la scultura, dove può girare intorno alla figura(46); certamente alcune sculture di Matisse come le “Due Negre” o “La Serpentina” (fig. 2), furono esperimenti a cui l’artista guardò nel comporre le due versioni della “Danza”, continuazione e maturazione dello studio del movimento sviluppato qui in un articolato incrocio fra braccia e gambe. Il rimando, soprattutto nella leggerezza della “Danza I”, è lampante al gruppo di sei figure danzanti in secondo piano nella “Gioia di vivere”.
La somiglianza con la sculture invece si nota in particolare nella seconda stesura del dipinto , nei nudi rossi in cui la muscolatura è molto più evidente rispetto alla prima versione. Questa revisione radicale del linguaggio pittorico che assume i modi della scultura, c’era anche in Gauguin con la differenza che egli inseriva l’idolo nel quadro, qui invece è il quadro ad essere eseguito in toto come una scultura tribale(47). Diceva Matisse che il quadro è come un libro, per essere compreso a fondo va letto e riletto ovvero guardato e riguardato attentamente(48).

Nest by UID Architects


photos by Hiroshi Ueda 
The Hiroshima-based UID Architects recently shared with us some of their recent projects. One of the more striking homes I have seen recently is Nest, a single-family residence in Onomichi City, constructed at the foot of a mountain. If you’ll recall some of their older projects we’ve showcased, such as this rad dentist office, you’ll know that the architects have a penchant for bringing the outdoors, in. And I mean that in a literal sense.

Aptly titled “Nest,” the home – in its interconnectedness and open layout – projects a maternal presence upon its inhabitants, whom happen to be 3 very close women; a mother and her two daughters. The structure, completed late last year, consists of a small entrance on the ground, that expands outward into the forest. Much in the same way that a birds nest incorporates the branches that surround it, the home itself appears to have been placed right on top of a tree.



Source: UID Architects’ weblog
via spoon & tamago

Forma Urbis: Floating Chicago

Floating Chicago video Chicago
Floating Chicago video Chicago
Floating Chicago video Chicago

Using time-lapse footage of the Chicago skyline shot over several years Craig Shimala (previously) has created another one of his superb mirrored videos. It’s fascinating how this simple editing trick turns the cold city skyline into a hovering, monolithic spacecraft.
via this is colossal

martedì 24 maggio 2011

Camera Obscura: via a Roma


Made in Italy at Gagosian Gallery Rome - Opening reception

Made in Italy
27 maggio - 29 luglio 2011
a cura di Mario Codognato
Inaugurazione
Venerdì 27 maggio dalle 18 alle 20

Georg Baselitz, Jean Michel Basquiat, Joseph Beuys, Dike Blair, Marcel Duchamp, Alberto Giacometti, Douglas Gordon, Andreas Gursky, Keith Haring, Damien Hirst,

Howard Hodgkin, Mike Kelley, Jeff Koons, Louise Lawler, Roy Lichtenstein, Richard Prince, Robert Rauschenberg, Gerhard Richter, Richard Serra,

Cindy Sherman, David Smith, Thomas Struth, Cy Twombly, Andy Warhol, Lawrence Weine


Gagosian Gallery Roma
via Francesco Crispi 16, Roma
T. +39 06 42086498

La calligrafia islamica. Dalla calligrafia ai graffiti VII parte


“Ovviamente il perbenismo giudica violenta l’aggressione del murale che insozza o deturpa lo spazio bianco e sacro del muro. Ma la violenza è esattamente dall’altra parte: è la violenza del neutro, dello sfingeo, dell’intoccabile costruzione, mattone su mattone, che blocca il passaggio o irretisce in tante cellette di alveare il consorzio umano. Così il movimento del graffito murale verso il muro, suo naturale ospite e antagonista, deve essere letto con tre interpretazioni di diversa finalità. La prima, la più ovvia, è offendere e alterare l’impassibilità istituzionale della parete. La seconda è comunicare ad altri ciò che diversamente non riusciresti a far pervenire, la comunicazione della comunione. La terza, meno facile da definire, è il penetrare, l’andare oltre, il parlare contemporaneamente a quello che stanno di qua e quelli che stanno di là”.
Volendo introdurre la calligrafia islamica nel mondo dei graffiti risulta già evidente come il mondo islamico sia stato, per la sua grandissima tradizione di decoro calligrafico, architettonico e non, molto avvantaggiato nel comprendere subito la vera natura dell’arte del graffito. Va subito detto che più entriamo negli anni ’80 più il graffito prenderà in sé anche un forte significato di protesta politica e dagli anni ’80 in avanti tutto il mondo arabo-islamico si troverà ad affrontare, chi prima chi dopo, grandi cambiamenti politici spesso uniti a violenze molto forti.

Tristan Perich, 1-Bit Symphony



Released On: August 24, 2010

Label: Cantaloupe Music

Sku #: CA21054

Tristan Perich's 1-Bit Symphony is an electronic composition in five movements on a single microchip. Though housed in a CD jewel case, 1-Bit Symphony is not a recording in the traditional sense; it literally "performs" its music live when turned on. A complete electronic circuit programmed by the artist and assembled by hand plays the music through a headphone jack mounted into the case itself.


Tristan Perich: 1-Bit Symphony (Part 1: Overview) from Tristan Perich on Vimeo.

A return to the format of Perich's lauded 1-Bit Music (described by the Village Voice as "technology and aesthetic rolled into one"), 1-Bit Symphony further reduces the hardware involved while simultaneously expanding its musical ideas. 1-Bit Symphony utilizes on and off electrical pulses, synthesized by assembly code and routed from microchip to speaker, to manifest data as sound. The device treats electricity as a sonic medium, making an intimate connection between the materiality of hardware and the abstract logic of software.

While 1-Bit Symphony is purely electronic in its execution, its contents reflect Perich's long-standing interest in orchestral composition. Since the release of 1-Bit Music in 2006, Perich's compositional work has combined 1-bit audio with acoustic classical instruments, providing insight into the conceptual and aesthetic relationships between physical and electronic sound. With 1-Bit Symphony, Perich brings this insight back into the digital realm, juxtaposing the grand form of a classical symphony with the minimal nature of 1-bit circuitry.

For more information, please visit

Tom Bachtell, Illustrator


Violette Nozières; René Char+Tanguy

La mère du vinaigre
Primauté du cuir incarné
Sur le fétide spectre chevillé
Une partition les combattants fraternisent
Sinon dans la maison des éclipses
Celle qui domine en se retirant fera l’obscurité
Tu cylindrais tes annexions avec des pavés dégagés de
[la tête des limaces

Sanglot suivi de son venin
Urine eau‐de‐vie du rêve
Trouble la trame du tulle
Tu tires sur le jour
Ta perte est une larme
Elle présage une idylle

Défense de l’amour violence
Asphyxie instant du diamant
Paralysie douceur errante

Visual Design. Museo Scienza E Tecnologia.

Davide Bignotti (Italia), Pietro Paciullo (Italia), Vladimir Sabillon (Honduras).
Scuola Politecnica di Design SPD



lunedì 23 maggio 2011

HUNGER of JUSTICE, -38 dias

Insiriendose en las jornadas culturales del congreso estivo internacional Tonalestate (www.tonalestate.org), el concurso para jovenes artistas “Hunger of justice” se fija como objetivo la realización de dos exposiciones artisticas dirigidas a desarrollar y enriquecer el tema anual del ya mencionado congreso, que tendrá lugar del 5 al 8 de agosto 2011, en la localidad de Ponte di Legno (Bs), en Italia.

La siguiente convocatoria ofrece a  dos jovenes artistas la posibilidad de exponer gratuitamente sus obras en un ambiente internacional, a la presencia de participantes provenientes de Europa, Japón, América Latina, Medio Oriente y otros paises del mundo. El concurso es promovido por la Maison Artistique DaSeyn en colaboración con la Asociación Cutural Tonalestate.(http://daseyn.blogspot.com/ y www.tonalestate.org)


 El concurso tiene por tema la lucha entre los pueblos, en el pasado y en el presente, y los genocidios porvocados por el hambre, vista como falta de justicia. El mundo de hoy nos muestra, de hecho, un preocupante retrosceso hacia problemas y tragedias que una vez más, se repiten. La reflexión propuesta por la siguiente convocatoria desea recordar los exterminios mas o menos olvidados o manipulados por la historia, entendidos como clara falta de justicia y derechos, y el grave manifestarse en la historia, y hoy en día, del horror del predominar de una parte del mundo sobre la otra, de naciones y pueblos “fuertes” contra aquellos más “debiles”. El concurso desea contar la historia de aquellos pueblos que estuvieron y que estan en guerra y que soportan y sufren esta “hambre”.

Muy pronto convocatoria en lengua española

En memoria del grande poeta hondureño Roberto Sosa

FÁBULA DE LA MUERTE
Éste es el muro: no hay puente,
ni relámpago,
ni océano.
¿Cómo olvidar su exacto
dominio entre lo obscuro?


Me mareo de angustia
y te hablo de aquellos
que no tienen ni una piedra
en que tender los huesos,
porque, oh muerte,
¿qué inválido ignora los días de lluvia
cuando tú multiplicas
tus sillas de ruedas?
¿Qué anciano abandonado
desconoce tus hierros?
¿Qué animal perseguido
no sabe de tu trato?


De niño conocía tu apariencia
allá en mi pueblo junto a las fogatas
que hacen las pobres gentes.
TE solía mirar en mis textos
de escuela y alguna vez hablamos
sobre tus cacerías de mendigos.


O en el límite abierto de par en par
donde ella gritaba mi nombre
cada vez más distante,
ya entonces advertía
tu arena movediza.


Desde aquel tiempo a éste
me espías sin descanso.
Te reconozco en mis preocupaciones,
en los encuentros,
en la palabra diaria;
dentro de los sanatorios
de la nieve
donde se hace más pálido tu rostro,
y si moviera un dedo,
expiraría
en la palabra libertad que escribo.


Sí,
éste es el muro y su dudosa torre.
Y yo huyo -en círculos-
con mi frágil cuchillo
de marinero muerto.


18 de abril de 1930
Hizo estudios de Maestría en Artes en la Universidad de Cincinnati (Ohio), fue director de revistas literarias y galerías de arte, fue catedrático de literatura y escritor residente en el Upper Montclair College ([Nueva Jersey]]); colaboró con los principales diarios y revistas de Honduras y demás países centroamericanos. Su obra poética ha sido favorablemente comentada en España, Cuba, Colombia y México.

En 1968 recibió el Premio Adonáis de Poesía (España), por su libro Los pobres (Editorial Rialp), convirtiéndose, de esta manera, en el primer latinoamericano que obtiene ese galardón. En 1971 su libro Un mundo para todos dividido, se hace acreedor al Premio Casa de las Américas, con un jurado integrado por notables autores tales como Gonzalo Rojas y Eliseo Diego. En 1990 el gobierno de Francia le otorgó el grado de Caballero en la Orden de las Artes y las Letras; murió hoy a las 2:20 de la mañana, producto de un infarto.

Entre sus obras tenemos:
  • 1959: Caligramas (Tegucigalpa)
  • 1966: Muros (Tegucigalpa)
  • 1967: Mar interior (Tegucigalpa)
  • 1967: Breve estudio sobre la poesía y su creación
  • 1968: Los pobres (Madrid)
  • 1971: Un mundo para todos dividido (La Habana)
  • 1981: Prosa armada
  • 1985: Secreto militar
  • 1987: Hasta el sol de hoy
  • 1990: Obra completa
  • Antología personal
  • Los pesares juntos
  • 1994: Máscara suelta
  • 1995: El llanto de las cosas
Su obra ha sido traducida al alemán, chino, francés, inglés, italiano, japonés y ruso.

Street Art: Space Invaders Paris

Le marais, 22 mai 2011

The city: fear and desire. No country for old men, 2007, Ethan & Joel Coen.


Violette Nozières

Notre‐Dame des Assassins
Quelle rose rosse.
Quel canestro di rose rosse.
Quel canestro di rose imprigionato fra le fetide mura di un cella.
Ossimoro straziante.
 
Entr’acte

Il 23 agosto 1933 i giornali parigini riportarono una insolita notizia: “Una giovane fanciulla, rientrando nella notte in casa, scopre il cadavere del padre e la madre in coma. Asfissia da gas”. Gli inquirenti si convincono da subito che dietro a quel cadavere si celi un omicidio, grossolanamente fatto passare per incidente. L’autopsia del padre, infatti, mostra che l’uomo ha ingerito una notevole dose di veleno, il Véronal. I sospetti cadono subito su Violette Nozières. Che si dà immantinente alla macchia. Nasce così “Il caso Violette Nozières” che titillerà per mesi le più morbose fantasie della borghesia francese. Il primo di settembre, il confronto doloroso con la madre: “Pardon maman...” e la Mater, ben poco Dolorosa: “Sì, ti perdonerò quando sarai morta!”


Quelle rose donate all’Assassina erano di André Breton. Un bel giorno, il papà del Surrealismo, era andato in visita a casa di Picasso. Ed il buon Pablo, col suo ispanico, sanguigno, candore, gli aveva confessato: “Sai, sto pen‐ sando di realizzare un ritratto di Violette Nozières, quella che ha cercato di ammazzare i genitori...”. E fu Amour (fou) a prima vista: Violette Nozières, con i suoi gonfiori da troppe albe mal consumate, era la versione atrabiliare di Kiki de Montparnasse...

domenica 22 maggio 2011

Associazione editoriale “Officina delle 11”

Via Apollo 6 Agropoli 84043 SA
Italia



Officina delle 11 è una casa editrice, costituitasi inizialmente come Associazione.
Lo scopo è promuovere la cultura, intesa come formulazione di giudizi sulla realtà che, partendo da esperienze vissute, ne fomentino il rispetto. Rispettare la realtà significa innanzitutto conoscerla. Non è un desiderio utopistico il desiderare l’armonia della realtà a cui l’uomo di ogni tempo è chiamato ad esprimere, ad ampliare e a rispettare. Tutte le opere letterarie testimoniano questo anelito insito nella creatura uomo.
La decisione di mettersi al lavoro per far conoscere opere letterarie che indichino questo desiderio primario nell’uomo nasce da una pretesa, che è nascosta nella didascalia del logo. E’ la pretesa di certezza nel fatto che è proprio questa armonia, questa realizzazione dell’uomo insieme all’altro uomo, l’unica cosa di cui il mondo, di ieri, di oggi e di domani, ha bisogno. Officina delle 11 è solo un tentativo o una forma dell’ultima ora per esprimere questo “necessarium”.
L’attenzione “imprenditoriale” di Officina è focalizzata, dunque, soprattutto su opere che testimonino quella passione del tutto gratuita per l’uomo che si chiama educazione. Opere educative sono, per Officina, opere che insegnano quello sguardo sulla realtà, a partire dal proprio io, che ne maturino il rispetto e il senso di responsabilità. In questa dimensione, contemporaneamente ideale e operativa, si struttura la produzione letteraria e artistica de Officina, seguendo una logica che rispecchia anche i tempi naturali della maturazione, quali sono: l’infanzia, l’adolescenza, la giovinezza, la maturità.

Jacques Copeau, deuxième partie

La troupe au Garrick Theatre de New York.

Et puis, voici la guerre. Dullin et Jouvet sont dans l’armée. La France a besoin de propagandistes à l’étranger et ainsi en 1917, Clemenceau charge Copeau du Théâtre français Garrick à New York. Copeau y réunit toute la troupe du Vieux Colombier, en obtenant la rentrée de Dullin et Jouvet.
Dans ses souvenirs il ne décrit que des chagrins dus à cette période aux Etats-Unis. « Le labeur qui nous avons accompli durant ces deux années d’exil, passe l’imagination (…) La première année s’étant écoulée dans un rythme à peu prés tolérable, (…) la second fut inhumaine. (…) A travers ces éprouves (…) nous tracions notre sillon, nous exercions notre influence, nous préparions le chemin pour d’autres. » Il faut ajouter que le répertoire dans une ville comme New York devenait de plus un plus un répertoire de commande, un succès en appelait un autre. Copeau rentre en France le 6 Juillet 1919, dans un état d’âme épouvantable. Quand il rouvre sa petite salle du Vieux Colombier, ce n’est pas avec le même enthousiasme qu’en 1913. Il est fatigué, de santé fragile, il est déçu par le théâtre contemporain. Copeau conduit toute sa vie en suivant un rêve après l’autre. Comme d’autres grands génies de son temps, Copeau comprend qu’il faut fonder une école afin que le théâtre puisse être renouvelé à l’origine. Il faut au même temps renouveler constamment la troupe avec des éléments jeunes pour que cette tâche soit accomplie.

L’école

Ce que Copeau avait déjà compris en 1913, quand il apposa sur les murs de Paris la très connue affiche qui commençait par : «Théâtre du Vieux Colombier : appelle à la jeunesse pour réagir contre toutes les lâchetés du théâtre mercantile et pour défendre les plus libres, les plus sincères manifestations d’un art dramatique», c’était l’importance de la jeunesse. C’est pour elle qu’il ouvrira l’Ecole du Vieux Colombier avec Suzanne Bing en 1920, en rue Cherche -Midi dans un local que Copeau voulait séparé du Théâtre.
Il déclara aussi, que cette deuxième étape de son travail, l’ouverture de l’école, était même plus importante de celle du 1913 avec l’ouverture du Théâtre.
Elle mérite donc d’être creusée en peu plus au fond.
Pendant les années à Paris et à New York Copeau revient sur son idée de départ. Il était parti de ce point là, déjà avec les journées que la troupe passait ensemble à Limon.
Son but était créer une troupe de jeunes dévoués (parmi eux, Marie-Hélène Copeau (Maiène), Jean Dorcy, Aman Maistre, Jean Dasté) et obéissantes à la mission de l’art théâtral. Selon sa vision, ils devaient arriver à avoir un même esprit et à une même formation générale. Chaque élément de la troupe devait se compléter d’une façon harmonieuse, développant sa propre capacité personale à faveur de toute la communauté.
C’est une idée de « communauté » très proche à l’idée d’une famille, dont le père était, bien évidemment, Copeau lui-même. La méthode suivie ne se éloignait d’ailleurs pas de cette conception. «Sa méthode épouse le développement de l’instinct du jeu chez l’enfant. On commence par la gymnastique, par le développement du corps. Puis on passe au rythme intérieur, à la musique, à la danse, au mime, à la parole, aux formes dramatiques élémentaires, au jeu conscient pour arriver à l’invention scénique. »
L’école entraînait des certaines règles morales que les comédiens devaient suivre. D’abord ils devaient accepter l’obligation de étudier leur art et pour leur art. L’école offrait une culture solide d’ordre général qui se fondée non de moins sur l’expérimentation. Copeau pratiquait une pédagogie adressée non seulement aux résultats de l’élève, mais aussi à son âme, c'est-à-dire à ses qualités « morales » qui devaient le soutenir dans le grand effort d’une vie dédiée au théâtre. Les cours étaient divisés selon l’âge des élèves. Il y avait un cours pour les enfants à partir de 8 ans, jusqu’à 12 ans et un deuxième cours pour les adolescents de 14 jusqu’à 20 ans. La journée était divisée entre cours d’éducation physique, musique, éducation de l’instinct théâtral, langue française, exercices de mémoire, développement du sens dramatique, diction, mise en scène, travail di bois et du cuir avec des notions de dessin pour fabriquer des masques.
Copeau passait désormais toute sa journée avec Madame Bing et les élèves de l’école et il savait bien de ne pas pouvoir mener de front les deux activités. Il devait choisir entre les deux choses les plus importantes de sa vie, et en plus les comédiens du théâtre étaient de plus en plus malheureux de cette situation.
On peut imaginer que Copeau ait choisit pour l’école dès le début, mais que quand même il aurait aimé que le théâtre pût continuer sans lui. C’est pour ça que, quand Dullin quitte le Vieux Colombier pour tenter sa chance, Copeau commencera une période de crise morale qui l’amènera aussi à la conversion au catholicisme.
Marcel Raymond écrit à propos de cette période que « Copeau se désaffectionne de sa troupe. Il est devenu irascible. Les jeunes auteurs s’emportent contre lui parce qu’il ne lit plus les manuscrits qu’ils lui soumettent. (…) Les critiques ne comprennent pas ce qu’il veut. (…) Copeau est appelé à défendre son œuvre devant la Société des Amis du Vieux Colombier ? Soixante-quinze pour cent des fondateurs n’ont pas renouvelé leur souscription. C’est la faillite. »
L’année 1923 connaît tout de même des très importantes mises en scènes : « Bastos –Le –Hard » de Léon Régis et François de Veynes, « L’imbécile » de Pierre Bost et « La maison natale » de Copeau, après lesquelles le théâtre ferme les portes. C’était le 15 Mars 1924. C’est comme ça que Copeau commente les faits : « Il n’est pas vrai de dire que Le Vieux Colombier ait agonisé. Il n’est même pas vrai de dire qu’il soit mort, qu’il se soit éteint. C’est moi qui me suis arrêté. »

Street Art: qui cerche, trouve

T’as pas une clope ?

L'uomo solo, Cesare Pavese+Leo Ferré

Non è possibile sapere se Léo Ferré e Cesare Pavese si siano mai effettivamente incontrati; ma il fatto che Léo Ferré abbia deciso di mettere in musica e di cantare, nella lingua originale italiana, questa impressionante poesia di Cesare Pavese è un autentico incontro, dei più fecondi.
La poesia dell'uomo solo, uscito dal carcere, e che nel carcere aveva lungamente sognato sensazioni, sapori (il pezzo di pane che sa di lepre, l'odore del vino nell'osteria)...e una volta uscito, il recupero di queste sensazioni si rivela semplicemente impossibile: tutte le sensazioni di una volta se le sono prese gli altri. A lui non resta più niente. La prigione, fisica e anche dell'anima, s'è presa tutto quanto. Il pane non solo non sa di lepre, ma non sa più neanche di pane. Il vino sa di nebbia. Solo alla fine, assieme alla sua cagna su un argine, ritrova un barlume quando compare la lepre; è una lepre viva, che corre, che gli rammenta la vita
.

L'uomo solo - che è stato in prigione - ritorna in prigione
Ogni volta che morde in un pezzo di pane.
In prigione sognava le lepri che fuggono
Sul terriccio invernale. Nella nebbia d'inverno
L'uomo vive tra muri di strade, bevendo
Acqua fredda e mordendo in un pezzo di pane.

Uno crede che dopo rinasca la vita,
Che il respiro si calmi, che ritorni l'inverno
Con l'odore del vino nella calda osteria,
E il buon fuoco, la stalla, e le cene. Uno crede,
Fin che è dentro uno crede. Si esce fuori una sera,
E le lepri le han prese e le mangiano al caldo
Gli altri, allegri. Bisogna guardali dai vetri.

L'uomo solo osa entrare per bere un bicchiere
Quando proprio si gela, e contempla il suo vino :
Il colore fumoso, il sapore pesante.
Morde il pezzo di pane, che sapeva di lepre
In prigione, ma adesso non sa più di pane
Né di nulla. E anche il vino non sa che di nebbia.

L'uomo solo ripensa a quei campi, contento
Di saperli già arati. Nella sala deserta
Sottovoce si prova a cantare. Rivede
Lungo l'argine il ciuffo di rovi spogliati
Che in agosto fu verde. Dà un fischio alla cagna.
E compare la lepre e non hanno più freddo.

sabato 21 maggio 2011

Matisse, Deux négresses

fig. 2
fig.1
fig.3

In questo nuovo linguaggio pittorico, con ‘semplificazione’ non si intende ‘lavoro facile’, ma una nuova consapevolezza di una forte valenza simbolica del lavoro dell’artista resa attraverso una riduzione ideografica del linguaggio(29).
Partendo dal prototipo delle Bagnanti cezanniane, ci si ricollega ad un artista in cui troviamo i precedenti di quest’opera scultorea più che in ogni altro: Matisse stesso. C’è un quadro che è come un archivio iconografico di molte delle produzioni successive di Matisse, “La gioia di vivere” del 1905 (fig.1)(30). Composto per aggiunta di gruppi, vi si trovano in nuoce lo studio sui volumi e l’anatomia umana; fulcro dell’opera è la coppia di nudi sdraiati al centro, dichiarazione di tutti i contrasti su cui si regge il quadro fatto da contraddizioni e contrapposizioni. Matisse in questa tela non vuole perdere la forma, ma decide di definirla attraverso il colore, squillante ed acceso e totalmente distaccato dalla teoria postimpressionista. Si noti sulla sinistra del dipinto, in secondo piano, un gruppo di due donne abbracciate, probabilmente danzanti al ritmo dei suonatori di flauto; anche questo potrebbe essere un precedente delle due giovani africane in bronzo del 1907. Dalla “Gioia di Vivere ” possiamo risalire a due opere pittoriche di poco precedenti alla scultura analizzata e che ne precedono la ricerca in campo pittorico senza che questo comporti alcuna interruzione ideologica dovuta al cambio di mezzo artistico.
Si tratta del “Nudo in piedi” del novembre 1906 e del “Nudo Blu: souvenir de Biskra” dell’inizio del 1907(fig.2 e 3) .
Nel “Nudo in piedi” (31) l’influenza della scultura tribale è fortissima, Matisse applica in questo dipinto ciò che più lo affascinava della scultura negra: essere costruita per “piani inventati” (32). Sappiamo che il “Nudo blu” (33) presentato al Salon des Indipendents del 1907 (34), è una trasposizione in pittura di una piccola statua d’argilla scolpita da Matisse nell’estate a Colliure e andata distrutta, l’artista decise di immortalare il ricordo di quella piccola scultura in un quadro; è un’opera estremamente scultorea(35): la torsione del corpo sdraiato è fortemente innaturale, Matisse dipinge sullo stesso piano i glutei, il ventre ed i seni(36). L’iconografia di questo nudo di donna sdraiata, diventerà un motivo ricorrente espresso con l’usuale alternanza di mezzi tipica di Matisse che, infatti, ne riprodurrà una copia qualche anno più tardi in bronzo(37), per continuare poi con variazioni del tema inserite in molte opere pittoriche nel corso della sua lunga produzione artistica.

venerdì 20 maggio 2011

Food as architecture



Love this delicious new series of images from photographer Gary Bryan where everyday foods take on a monumental quality
Bryan's personal project takes perfectly positioned piles of different foods to create images that have a completely transformed sense of scale. The milk and white chocolate above looks like some kind of 60s housing scheme while these wafers (below) resemble a model for a fairly grim civic centre.

In the last shot of the series sugar cubes become ancient ruins


Bryan says there is no CGI involved, just retouching and lighting.
See more of his work here

Camera Obscura: Uccellacci ed uccellini