domenica 8 maggio 2011

Der Wanderer über dem Nebelmeer, Caspar David Friedrich (1811)

Il viandante indossa abiti del suo tempo, e si è soffermato su vere rocce, dipinte con una certa passione per la materialità. La realtà che si apre davanti a lui invece si direbbe fatta da una materia altra. Come se egli si trovasse alla frontiera tra il tempo e l’eternità. Friedrich l’ha collocato al centro dello spazio, egli diventa il centro della prospettiva, il cuore della questione. L’uomo, l’io, resterà sempre, oltre ogni mistificazione e manipolazione che si vorrebbe fare del suo cuore, il nocciolo della questione, il punto di fuoco della prospettiva. Tutto dipende dalla sua libertà. Il viandante è libero di fermarsi a guardare questo mondo, coperto da una nebbia luminosa e affascinante e cercare di coglierne l’orizzonte. E’ libero di pensare che sia lui il padrone di quella realtà, lui che è arrivato con le sue gambe fin lassù. Ma è anche libero di ascoltare la semplicità della realtà, di constatare che non ne sa niente, che non è stato lui a immaginarla così bella e luminosa. Qualche giorno fa parlavo con un anziano signore basco, che mi diceva “sappiamo così poco della profondità delle montagne, del cuore dell’uomo, e vogliamo parlare di cose che non conosciamo, hasta hablar de Dios!
Circondato da tanti incancreniti giovani, tra cui io stesso, morti nella loro presunzione, solo grazie alle parole di un vecchio ho ripensato a questo quadro. Quel giovanissimo vecchio, come quel viandante, ha avuto la semplicità di cuore di riconoscere un mistero dietro alla realtà, di cui non può dire nulla, a meno che non sia lui a svelarsi. Quel vecchio, come quel viandante, forse, fermandosi a osservare, ha domandando una tale rivelazione. E forse, come scriveva Simone Weil, l’inferno sarà solo il momento in cui il tempo sarà svuotato dell’eternità.
"Nous vivons ici-bas dans un mélange de temps et d'éternité. L'enfer serait du temps pur."
Simone Weil

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