martedì 24 maggio 2011

La calligrafia islamica. Dalla calligrafia ai graffiti VII parte


“Ovviamente il perbenismo giudica violenta l’aggressione del murale che insozza o deturpa lo spazio bianco e sacro del muro. Ma la violenza è esattamente dall’altra parte: è la violenza del neutro, dello sfingeo, dell’intoccabile costruzione, mattone su mattone, che blocca il passaggio o irretisce in tante cellette di alveare il consorzio umano. Così il movimento del graffito murale verso il muro, suo naturale ospite e antagonista, deve essere letto con tre interpretazioni di diversa finalità. La prima, la più ovvia, è offendere e alterare l’impassibilità istituzionale della parete. La seconda è comunicare ad altri ciò che diversamente non riusciresti a far pervenire, la comunicazione della comunione. La terza, meno facile da definire, è il penetrare, l’andare oltre, il parlare contemporaneamente a quello che stanno di qua e quelli che stanno di là”.
Volendo introdurre la calligrafia islamica nel mondo dei graffiti risulta già evidente come il mondo islamico sia stato, per la sua grandissima tradizione di decoro calligrafico, architettonico e non, molto avvantaggiato nel comprendere subito la vera natura dell’arte del graffito. Va subito detto che più entriamo negli anni ’80 più il graffito prenderà in sé anche un forte significato di protesta politica e dagli anni ’80 in avanti tutto il mondo arabo-islamico si troverà ad affrontare, chi prima chi dopo, grandi cambiamenti politici spesso uniti a violenze molto forti.

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