martedì 31 maggio 2011

Forma Urbis: Utopia

Chi ha veduto una di quelle città le ha veduto tutte, tanto sono un’ a l’altra simile, ove la natura del luoco lo consente. Ne dipingerò adunque una, e benché non importi descrivere più questa che quella, nondimeno ragionerò di Amauroto, la più degna, la quale per avervi il senato è da tutte le altre onorata, e io ho di quella maggior cognizione, perché vi sono stato cerca anni cinque. Amauroto è situata in una costa di monte, quasi quadrata, perché la sua larghezza comincia poco di sotto da la cima del colle e per duemila passi si stende al fiume Anidro, lungo la ripa del quale alquanto più si stende. Anidro fiume sorge da picciol fonte ottanta miglia sopra Amauroto, ma, dal concorso d’altri fiumi accresciuto, passa avanti Amauroto largo cinquecento passi, e indi poi slargandosi a seicento, mette ne l’Oceano. In questo spacio di alquante miglia tra el mare e la città, l’acqua va e torna con molta fretta ogni sei ore. Il mare, quando v’entra, occupa il letto del fiume per trenta miglia e caccia indietro le acque di quello, e a le fiate le corrompe col salso. Ma tornando poi adietro, il fiume a l’usato corre con dolci acque irenanti la città; e un ponte non di travi o legnami, ma di pietra egregiamente lavorata, serve per passare il fiume a quella parte che è più dal mare luntana, acciò che le navi possino passare inanti a quel luoco de la città senza pericolo. Hanno ancora un altro fiume, non già grande, ma tranquillo e piacevole, il quale, sorgendo del monte ove la città è fabricata, passa per mezzo di quella e mette ne l’Anidro. Amaurotani hanno tolto dentro ne la città la fonte di questo fiume, che non era molto luntana, e fortificatola, acciò che non potesseno i nimici divertire l’acqua o corromperla. Indi con canoni di pietra cotta derivano l’acqua a le più basse parti, e ove per il luoco non si può condure l’acqua, fanno cisterne in le quai si raccoglie la pioggia, e ne pigliano i popoli il medesimo commodo. Il muro largo e alto cinge la città con torri e revelini; la fossa secca, ma larga e profonda e con spine e siepi; da tre bande ha le mura, e da la quarta il fiume li serve per fossa; le piazze sono fatte acconciamente, e per condurvi le cose necessarie, e perché siano secure da’ venti; gli edificii non vili e tirati al dritto quanto è lungo ogni borgo, con le case a rimpetto una de l’altra. Le fronti dei borghi hanno tra loro una via larga venti piedi. Dietro le case quanto è largo il borgo è l’orto largo e rinchiuso da le muraglie di dietro dei borghi; ogni casa ha la porta di dietro e davanti, la quale si apre agevolmente in due parti e si chiude da sé stessa; ognuno vi può entrare; tanto hanno ogni lor cosa commune, che ancora mutano le case ogni dieci anni. Fanno gran stima degli orti, nei quali piantano viti, fruti, erbe e fiori con grande ordine e vaghezza. Garreggiano i borghi uno con l’altro di aver orti più belli, né hanno cosa de la quale piglieno più diletto e commodo che di questi, dei quali pare che avesse più cura il loro autore che di qualunque altra cosa, perché dicono Utopo da principio aver descritto questa forma de la città, lasciando poi la cura di ornarla ai descendenti. Ne le loro istorie, da quel tempo che fu preso l’isola, che comprende anni mille settecento e sessanta, le quai conservano molto diligentemente, leggesi che le case erano basse come tugurii, fatte di ogni sorte di legnami che potevano avere, i pareti lutati e la cuoperta de strami levata nel mezzo. Ma ora le case hanno tre palchi, i muri di selice o mattoni con calce incrostati e ripieni de rottami; i tetti, piani e rassodati in guisa che non portano pericolo del fuoco, sono cuoperti di piombo per tollerar le piogge; le finistre di vetro, ch’hanno bellissimo, li defendono dai venti; usano ancora a questo tele sottili unte con oglio lucidissimo o di ambro, e indi hanno più chiara luce e sono dal vento meglio difesi.

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