martedì 26 giugno 2012

La Morte della Pizia (parte sesta)



l cielo faceva tutt’uno con le rocce e il mare, e a occidente, sopra un nero banco di nebbia, spiccava, strana e malvagia, una stella rossa. Alla Pizia sembrò che Tiresia incombesse minaccioso, lo stesso Tiresia che tante e tante volte le aveva imposto di recitare quei suoi calcolatissimi oracoli, dei quali in quanto veggente andava fierissimo, benché fossero solo cretinate, in realtà, esattamente come gli oracoli che lei stessa, Pannychis, andava escogitando, e Tiresia era vecchissimo, ancora più vecchio di lei, viveva già al tempo di Krobyle IV, e prima ancora, all’epoca di Melitta, e addirittura al tempo di Bakchis. Ad un tratto, mentre attraversava un passo claudicante lo sterminato cantiere del tempio di Apollo, la Pizia si rese conto che la morte si stava avvicinando – finalmente, del resto. Gettò il bastone verso la colonna ofitica, ecco qui un altro monumento kitsch, pensò, e smise di andare in giro zoppicando. Entrò nel santuario: morire, che evento solenne. Si domandò come avvenisse il morire: era emozionata, pregustava l’avventura. Lasciò aperto il portale principale, salì sul tripode e aspettò la morte. I vapori lievemente rossastri che scaturivano dalla fessura nella roccia la avvolsero, strato dopo strato, come nuvole dense, e attraverso quei veli Pannychis scorse la luce perlacea della notte che entrava a fiotti dal portale principale. Sentendo la morte vicina, crebbe la sua curiosità.
Dapprima le comparve dinnanzi un volto cupo e arcigno, capelli corvini, fronte bassa, occhi inespressivi, colorito terreo. Pannychis non si mosse, pensò a un messaggero di morte; poi tutt’a un tratto seppe invece che si trattava di Meneceo, l’uomo drago. La faccia era truce e la stava guardando. Parlava, quella faccia, o forse no, invece, stava zitta, ma in modo tale che la Pizia intese in essa l’uomo drago.
Era stato un piccolo, umile contadino, che trasferitosi a Tebe aveva prima lavorato duramente in qualità di bracciante, poi come caposquadra, infine come imprenditore edile, ma la sua fortuna aveva coinciso con l’incarico di dirigere i lavori della rocca di Cadmo; e il risultato, per gli dèi, era l’acropoli, una vera magnificenza! I maligni dicevano che Meneceo doveva tutta la sua fortuna alla figlia di Giocasta; certo, il re Laio l’aveva sposata, ma non è che Meneceo fosse un uomo qualsiasi, in fin dei conti apparteneva alla stirpe degli uomini drago, così denominati perché sorti a Tebe dal terreno limaccioso in cui Cadmo aveva seminato i denti del drago. All’inizio si erano soltanto viste le punte delle loro spade, quindi i pennacchi degli elmi, poi le teste e i volti che guardandosi con odio si sputavano addosso; e non appena emersero dal fango con tutto il busto, gli uomini drago cominciarono ad azzuffarsi agitando le spade che ancora per metà affondavano nella melma, e quando poi uscirono dai solchi nei quali erano stati seminati, si avventarono come belve gli uni contro gli altrri. Ma Udeo, il bisnonno di Meneceo, sopravvisse alla cruenta battaglia, nonché al macigno lanciato da Cadmo nella mischia furibonda degli uomini drago. Meneceo credeva nelle vecchie storie, e proprio per questo detestava Laio, il borioso aristocratico che faceva discendere la propria stirpe dal matrimonio di Cadmo e Armonia, la figlia di Ares e Afrodite; le nozze di Cadmo e Armonia dovevano essere state fantastiche, questo sì, ma una cosa era certa: Cadmo il drago l’aveva ucciso prima, e seminato i suoi denti nella terra, sicchè l’uomo drago Meneceo si sentiva superiore a Laio, essendo la sua stirpe più antica e prodigiosa di quella del re di Tebe; di Armoni, di Ares e di Afrodite non gli importava un fico secco, e quando Laio aveva sposato Giocasta, l’orgogliosa ragazza dagli occhi chiari e i rossi, incolti capelli, Meneceo aveva in cuor suo accarezzato la speranza che lui, o se non lui suo figlio Creonte, potesse un giorno prendere il potere, Creonte, quell’uomo truce dai capelli corvini e il volto butterato, alle cui parole, che pure pronunciava con voce sommessa, avevano tremato gli operai del cantiere come ora temevano i soldati, perché Creonte, essendo cognato del re, deteneva ormai il comando supremo dell’esercito di Tebe. Soltanto il corpo di guardia del Palazzo reale non prendeva ordini da lui. Creonte però aveva un che di tremendamente leale, era fiero del cognato Laio al quale dimostrava perfino una certa gratitudine, per non parlare della sorella, alla quale era affezionatissimo: nonostante le brutte cose che si dicevano sul conto di Giocasta, lui, Creonte, l’aveva sempre difesa e protetta; per tutti questi motivi, l’ora della sedizione non arrivava mai. Quante volte, a pensarci si sentiva disperato, Miceneo era stato sul punto di suggerire a Creonte: Suvvia, insorgi, fatti re! Ma poi, all’ultimo momento non aveva mai osato; quando dunque aveva ormai rinunciato a quel suo vecchio sogno, un giorno, nell’osteria di Peloro – lui pure pronipote dell’omonimo uomo drago -, Meneceo incontrò Tiresia, il duro e potente indovino cieco che soleva farsi accompagnare da un fanciullo. Tiresia, che conosceva gli dei di persona, non diede affatto una valutazione pessimistica sulla possibilità che Creonte diventasse re; i decreti divini, disse, erano così misteriosi che capitava sovente che gli dèi stessi non li sapessero in anticipo, e ogni tanto, nella loro irresolutezza, essi non disdegnavano una qualche indicazione da parte degli umani… beh, insomma, nel suo caso, nel caso di Meneceo, disse Teresia, la cosa sarebbe costata cinquantamila talenti. Meneceo rimase atterrito, non tanto per l’enormità della somma in sé quanto per il fatto che essa coincideva esattamente con l’ammontare dell’enorme patrimonio da lui guadagnato per i lavori dell’acropoli di Cadmo e per altre opere edilizie commissionategli dal re; le imposte però le aveva sempre pagate soltanto su cinquemila talenti. E Meneceo pagò.

sabato 23 giugno 2012

Global City: A Sprawling Mural Drawn on the Walls and Cabinets of a Kitchen by Deck Two


Global City: A Sprawling Mural Drawn on the Walls and Cabinets of a Kitchen by Deck Two interior design graffiti drawing architecture

Global City: A Sprawling Mural Drawn on the Walls and Cabinets of a Kitchen by Deck Two interior design graffiti drawing architecture
Global City: A Sprawling Mural Drawn on the Walls and Cabinets of a Kitchen by Deck Two interior design graffiti drawing architecture
Global City: A Sprawling Mural Drawn on the Walls and Cabinets of a Kitchen by Deck Two interior design graffiti drawing architecture
Global City: A Sprawling Mural Drawn on the Walls and Cabinets of a Kitchen by Deck Two interior design graffiti drawing architecture
Global City is an impressive new mural by graffiti artist Deck Two that was completed early this month in New York. The line drawing, which stretches across white walls and cabinet doors, includes major landmarks and scenes from countries around the world. Watch the artist at work in this video shot and edited by Nathalie Lapicorey and Thomas Dartigues. (via This is Colossal)


CONSTRUCTION SCHOOL – JAMES LANGDON


James Langdon will present an ongoing research project on the subject of the Construction School, an experimental design programme in Bristol, England (1964 to 1979).
This work explores the history of a bold attempt to establish an experimental art school in a provincial English context. The first phase (1964 to 1968) placed an emphasis on interdisciplinary working and collaboration. The second phase (1975 to 1977) was defined by a radical attempt to decentralise the educational structure of the school.
The school’s history is closely bound to the career and concerns of its founder Norman Potter, a practitioner in the margins of a mid-twentieth century English design culture. His work at the Construction School represents a period of intense critical thought about the structure of design education. The constitution of the school exemplified many of the ideas expressed in Potter’sWhat is a Designer, a text that was formulated during his time in Bristol. In particular Potter’s emphasis on the relational aspects of design – the mechanics of social interactions that shape design processes – was a defining feature of his programme.

June 29, 2012
Corner College, Zürich

Ishinomaki Laboratory | empowering the people of Tohoku



Herman Miller Creative Director Steve Frykholm outside the Ishinomaki Lab
Ishinomaki Laboratory was established after the Tohoku earthquake and tsunami “for reconstruction of Ishinomaki.” Founded by Keiji Ashizawa and supported by an impressive roster of Japanese and foreign designers, the public space and community center aims to restore and reconstruct the devastated area by giving residents the tools to do so themselves. Numerous design initiatives such as workshops for local students and seminars involving design professionals, help to teach the value of hand-made crafts and, more importantly, how to turn those skills into new careers.
Below is a lineup of a few of the understated and practical designs that have come out of Ishinomaki Laboratory, all of which are available through their online store (However, the site is in Japanese only. If you need help White Rabbit Express can assist with your order.). I continue to be most impressed, not with designers who go to Tohoku, create something amazing and then leave, but with designers who use their own skill set to empower the refugees and enable them to reclaim what was lost.
Skydeck by Torafu Architects (photos by Fuminari Yoshitsugu) | click to enlarge

Made from bare minimum materials, ‘skydeck’ acts as a small counter when you’re out on your balcony. Floating in the air, the ‘skydeck’ stretches a narrow balcony space out past its boundaries, just a little bit further…
Ishinomaki Bench designed by Keiji Ashizawa

The Ishinomaki bench was built with the help of high school students at Ishinomaki Technical High School. Above is a photo by the Nakameguro select shop Output, who purchased one of the benches and is using it as a display.
Keiji Ashizawa‘s Ishinomaki stools were constructed with the help of elementary school students and Herman Miller craftsmen.

Koichi Futatsumata’s “246 Stool” is made from six 2×4s.

adorable “buona pesca” tote bags designed by Aoi Huber and Drill Design.

E chiamarmi Giovanni


Non sarà strano, es un claro ejemplo de la posibilidad de realización o de fracaso, de la división interna, la realidad y el deseo la llamó Cernuda. Pero vista nuevamente en ese ir y venir en el tiempo. El final de los tiempos revela la unidad del hombre, pero ahora está la herida, la división:

NON SARÀ STRANO
Dentro di me, l’affanno
- che impone il silenzio –divarica in due questo esistere.
Ma quando alla fine tutto avrà un senso – docile
come il frantumarsi del pane tra le dita –
non sarà strano guardare
dall’alto la piaga
che mi divide inmezzo.
Non ci sarà più nulla
quel giorno a dividermi.


Efectivamente, para Riva el final de los tiempos revela la unidad del hombre, pero ahora está la herida, la división, la tensión dolorosa diría Javier Sicilia: “…Y, en efecto, constantemente el hombre se repite que el sentido de la existencia humana es la felicidad. No lo dudo. Pero la felicidad aquí en la Tierra no existe. Existe la paz de la conciencia y del espíritu, que la prefiguran. La vida, en realidad, es una tensión dolorosa, un sacrificio constante”.


domenica 17 giugno 2012

Quand les sirènes se taisent, Maxence Van der Meersch


Nous tous préférons oublier la réalité. Cela est témoigné par les films que nous regardons, par les livres que nous lisons, par les chansons que nous écoutons, par l’ensemble d’une culture aliénante. Si quelqu’un par désir de justice et par amour de la vérité, nous obligeait à regarder en face la réalité, elle ne ferait que nous crier au visage : «Non, je ne te sauverai pas».

C’est sans doute pour cela que des auteurs tels que Maxence Van Der Meersch ont été oubliés.
Nous avons lu Quand le sirènes se taisent, roman qui raconte des grèves des ouvriers en 1933, dans le nord de la France. Ce livre, comme tous les autres de Van Der Meersch, n’est pas facile à trouver, il se cache et peut-être -qui sait !- un jour Daseyn pourrait en promouvoir la publication en langue étrangère. Mais aujourd’hui nous voudrions simplement rappeler l’humanité qui peuple ses pages. Une fois entamée la lecture de ce livre, nous avons dû oublier notre vision télévisée de la souffrance, de la joie, de la vie et de la mort.

Laure et Jacques, les deux jeunes qui s’aiment sans calculer les conséquences de l’affection, leur enfant qui pousse dans le ventre de Laure, tandis que Jacques se fait tuer par la foule déchaînée. Le vieux ouvrier Fidèle qui meurt tué par ses compagnons, flagellé et persiflé car il cherchait à rentrer à son travail, à sa dignité, à sa tâche. Fidèle qui meurt tout seul, ainsi que le fait la fidélité dans le cœur de l’homme. Et puis sa femme, qui, en voyant qu’il ne rentre pas, deviens folle et s’éteint. Le petit orphelin Popol, fils de la rue, fils de personne, qui reçoit comme don un papa et une maman qui ne lui ont pas été confiés par le sang mais par la grâce. Le petit Popol, qui meurt en courant après son Nounours, qui, avec ses yeux de verre semble avoir «vraiment cherché pour quelles fins incompréhensibles le maître impitoyable des destinées humaines avait pu avoir besoin de l’holocauste de Popol…»

Le chemin d’un ouvrier le long d’une route enneigée, le chemin d’un homme qui n’a plus que ses pieds ensanglantés pour marcher, sa faim pour le faire tenir debout et la certitude de l’amour de sa femme pour le guider. Cet amour trahi, cette femme prostituée. Les deux amis, des deux côtés opposés : le gardian et l’ouvrier. Les deux amis qui dans les moments les plus difficiles s’étaient toujours secourus l’un l’autre, et qui se retrouvent séparés par une violence et par une injustice sans visage, qui leur arrache leur humanité et la jette en pâture à leur instinct. Et Jean Denoots l’industriel, tué lui aussi par la nature pourrie de l’homme, écrasé lui aussi comme ses ouvriers, par la loi du marché, par le dieu argent.

Et puis à la fin, semblable au silence dans une mer de fracas, le cri d’une jeune mère, dont l’enfant meurt de faim dans son ventre. « Pitié ! » crié deux fois, à la fenêtre, contre le vent. Et voici que les sirènes qui appellent les hommes et les femmes à l’usine, sonnent à nouveau. C’est le silence d’une paix que personne ne pourra plus détruire, une paix qui est le fruit de ce cri.
La même réalité, précisément la même, les mêmes hommes et les mêmes femmes, précisément les mêmes, sont transformés par ce cri. Les choses anciennes se font nouvelles, grâce à cette demande criée, presque réclamée : « Pitié ». Personne ne pourra oublier le mal, l’humiliation, la faim, la mort, la dignité piétinée. La réalité qui criait jadis « Non, je te sauverai pas », après le cri de la femme, de la mère, susurre doucement à ses oreilles : «Oui, je t’ai déjà sauvée». L’humanité est grande lorsqu’elle reconnait sa misère. L’ami est alors capable de pardonner et d’aimer le destin de l’autre plus que son propre projet de bonheur, la mère, épuisée, est encore capable de déchirer sa chair pour mettre au monde un nouvel homme, les morts existent encore, unis aux intelligences vivantes.
« Le geste de jeunesse de Pierre, son refus de porter les armes et d’apprendre à tuer autrui, n’avait pas été inutile, pas plus que le pardon de Richard, pas plus que la passion d’un Autre, vingt siècles auparavant. C’est ainsi que l’humanité monte vers son destin. Egoïste, bornée, cruelle, elle reste capable encore de rédemption, puisque des êtres, en elle, savent souffrir pour un idéal, aimer la femme et l’enfant jusqu’à l’oubli d’eux-mêmes, et vaincre, au fond de leur cœur, la haine, pour faire le bien, sans espoir de récompense, à ceux qui les ont frappés. »


Quando le sirene tacciono, Maxence Van Der Meersch
Tutti noi preferiamo dimenticare la realtà. Lo testimoniano i films che guardiamo, i libri che leggiamo, le canzoni che ascoltiamo, tutta una cultura estraniante. Se qualcuno, per ansia di giustizia e per amor del vero, ci obligasse a guardare in faccia la raltà essa ci griderebbe soltanto : “No, non ti salvero’”.
Ed é forse per questo che autori come Maxence Van Der Meersch sono stati dimenticati.
Abbiamo letto “Quando le sirene tacciono”, romanzo che racconta degli scioperi operai del 1933 nel nord della Francia. Questo libro, come quasi tutti quelli di Van Der Meersch é difficile da trovare, si nasconde, e forse, chissà, un giorno DaSeyn potrebbe promuoverne la pubblicazione in lingua straniera. Ma oggi, vorremmo solo fare accenno all’umanità che popola le sue pagine. Nel metterci alla lettura di questo libro abbiamo dovuto dimenticare la nostra visione televisiva della sofferenza e della gioia, della vita e della morte.
Laure et Jacques, i due giovani che si amano senza calcolare le conseguenze dell’affetto, il loro bimbo che cresce nel ventre di Laure mentre Jacques viene ucciso dalla folla impazzita. Il vecchio operaio Fidèle che muore ucciso dai suoi compagni operai, flagellato e sbeffeggiato perché cerca di tornare al suo lavoro, alla sua dignità, al suo compito. Fidèle che muore solo, come lo fa la fedeltà nel cuore dell’uomo. E sua moglie che non vedendolo tornare impazzisce e si spegne. Il piccolo orfano Popol, figlio della strada, figlio di nessuno, che riceve in dono un papà e una mamma che non gli sono stati affidati dal sangue ma dalla grazia. Il piccolo Popol, che muore rincorrendo il suo orsacchiotto travolto dai manifestanti, il suo orsacchiotto che con i suoi occhi di vetro sembra « cercare di capire per quale incomprensibile scopo il padrone impietoso dei destini umani avesse avuto bisogno dell’olocausto di Popol ». Il cammino di un’operaio lungo una strada innevata, la marcia di un uomo che non ha più che i suoi piedi insanguinati per camminare, la sua fame per tenerlo in piedi e la certezza dell’amore di sua moglie a guidarlo. Quell’amore tradito, quella moglie puttana. I due amici di fronti diversi, l’operaio e il guardiano. I due amici che nei momenti più duri si erano sempre aiutati e che sono separati da una violenza e da un’ingiustizia senza volto, che prende la loro umanità e la dà in pasto al loro istinto. E infine Jean Denoots l’industriale, ucciso anche lui dalla putrida natura umana, schiacciato anche lui, come i suoi operai, dalle legge del mercato, dal dio denaro.
E poi, infine, come il silenzio in un mare di baccano, il grido della giovane madre il cui piccolo muore di fame nel ventre. « Pietà, pietà » detto due volte, alla finestra, gridando contro vento. E subito, ecco che nuovamente la sirena riprende a suonare, la sirena della fabbrica che richiama gli uomini e le donne al lavoro. Il silenzio di una pace che nessuno potrà più togliere, pace che é frutto di quel grido. La stessa realtà, esattamente la stessa, gli stessi uomini e donne, esattamente gli stessi, sono trasformati da quel grido. Le cose antiche si fanno nuove, grazie a quella domanda gridata, quasi pretesa. « Pietà ». Nessuno potrà dimenticare il male dell’umiliazione, della fame, della morte, della dignità calpestata. Ma la realtà, che prima gridava « no, non ti salvero’ », dopo quel grido della donna madre, sussurra dolcemente all’orecchio « si, ti ho già salvata ». L’umanità diventa grande quando ammette la sua miseria. L’amico é capace di perdonare e di amare il destino dell’altro più del suo progetto, la madre senza più forze, diventa capace di lacerare la sua carne per mettere al mondo un nuovo uomo, i morti esistono ancora, uniti alle intelligenze viventi.
« Il gesto di gioventù di Pierre, il suo rifiuto di prendere le armi e di imparare a uccidere l’altro, non era stato inutile, non era stato inutile il perdono di Richard, non era stata inutile la passione di un Altro, venti secoli prima. E’ cosi che l’umanità sale verso il suo destino. Egoista, limitata, crudele, essa resta ancora capace di redenzione, poiché alcuni in essa sanno soffrire per un ideale, amare la donna e il bambino fino alla dimenticanza di sé e vincere, nel profondo del loro cuore, l’odio, per fare il bene a coloro che li hanno colpiti, senza speranza di ricompensa. »

venerdì 15 giugno 2012

Bloomsday : June 16th


Bloomsday celebrates the day on which the action of James Joyce’s novel Ulysses takes place, 16 June 1904, the day on which (we believe) Joyce first went out with his future wife, Nora Barnacle. The day is named after Leopold Bloom, the central character in Ulysses. The novel follows the life and thoughts of Leopold Bloom and a host of other characters – real and fictional – from 8am on 16 June through to the early hours of the following morning.

One of the earliest Bloomsday celebrations was a Ulysses lunch, organised by Sylvia Beach, publisher of Ulysses, and her partner Adrienne Monnier in France in June 1929. The first Bloomsday celebrated in Ireland was in 1954, the fiftieth anniversary of the first Bloomsday when the writers Patrick Kavanagh and Flann O’Brien visited locations like the Martello Tower at Sandycove, Davy Byrne’s pub, and 7 Eccles Street, reading parts of Ulysses and drinking a great deal as they went!

Today, Bloomsday is celebrated by Joyceans across the globe with readings, performances, re-enactments, and a host of other events. In Dublin, enthusiasts dress in Edwardian costume and gather during the day at many of the locations where episodes of Ulysses take place. The James Joyce Centre hosts Bloomsday breakfasts (including kidney, which Mr Bloom eats for breakfast in the novel) and other events in the run up to June 16 as well as on the day.

Click here for details on Bloomsday Events at the James Joyce Centre .

http://www.jamesjoyce.ie/default.asp

mercoledì 13 giugno 2012

GAGOSIAN OUVRE UN NOUVEL ESPACE AU NORD DE PARIS CONCU PAR JEAN NOUVEL


Exterior façade of the building / Façade du bâtiment.
© Jean Nouvel and HW Architecture


A l'automne 2012, Gagosian Gallery inaugurera une deuxième galerie dans un espace impressionnant au nord de Paris, situé au Bourget. Ce choix, sans précédent, de s'établir dans la zone industrielle du Bourget est intrinsèquement liée à la découverte de cet espace exceptionnel, un bâtiment industriel des années 1950, de plus de 1650 mètres carrés établis sur deux niveaux. Une mezzanine de 340 mètres carrés surplombe le rez de chaussée, offrant l'opportunité d'exposer des sculptures, des peintures et des installations de tailles surdimensionnées. 

La galerie a été conçue par l'architecte Jean Nouvel (avec sa société Jean Nouvel Design en collaboration avec HW architecture). La conception de l'espace par Jean Nouvel conservera les caractéristiques distinctives du bâtiment, tout en le restaurant et le transformant en un espace d'exposition moderne et souple qui donnera aux artistes un contexte exceptionnel pour présenter leurs œuvres.

Dans cette pratique architecturale d'innovation et de changement, Nouvel aspire à un langage original qui combine à la fois la mémoire collective et les projections dans le futur, la décoration et l'ingénierie perfectionnée, des projets de grande envergure pour un large public tout en conservant un sentiment d'intimité. Cette aspiration continuelle lui a permis de produire concevoir des bâtiments les plus innovants et controversés de notre époque contemporaine, transformant les paysages urbains jusqu'à ce qu'ils existent, défiant les perceptions de ceux qui habitent autour et devenant des événements urbains majeurs en tant que tels. Comme le dit Nouvel « Chaque nouvelle situation demande une nouvelle architecture ou le besoin d'une réadaptation convenant au but recherché. Pour ce projet, le besoin de préserver l'architecture d'origine était la résolution instantanée » Ainsi le projet de Gagosian au Bourget est façonné par une profonde évaluation et interprétation du site en question, de son contexte et de son programme.

E
n Avril 2011, le Project Space de Gagosian Gallery a présenté une exposition de Jean Nouvel Design, incluant les éditions limitées de la Table au Kilomètre et de la Boîte à Outils.

Jean Nouvel
est né en 1945 à Fumel, il a étudié à l'École des Beaux-Arts à Paris. Il est un des protagonistes clé du débat intellectuel en France concernant l'architecture, il co-fonde le mouvement Mars 1976 et participe à la création du Syndicat de l'architecture. Parmi ses réalisations majeures on compte : L'Institut du Monde Arabe (1989), la Fondation Cartier pour l'art contemporain, et le Musée du Quai Branly à Paris ; le Palais de la culture et des Congrès de Lucerne en Suisse; la tour Agbar à Barcelone et le théâtre Guthrie à Minneapolis. Sont également en cours de nombreux projets tels que le Louvre à Abu Dhabi, la Philarmonie de Paris à la Villette ou encore le Musée National du Qatar. Sa carrière fut récompensée par le grand prix national de l'architecture, Prix Aga Khan pour l'Institut du Monde Arabe (1989), le Premieum Imperiale Internation Art Awards (architecture) (2001), RIBA Royal Gold Medal (2001), le Wolf Prize in Arts (2005) et le Prix Pritzker (2008). Son œuvre a été exposée dans le monde entier, de New York à Rio de Janeiro en passant par Tokyo, et a fait l'objet d'une rétrospective majeure à Paris au Centre Pompidou (2001). En 1995, il a fondé une nouvelle agence : JND (Jean Nouvel Design), dédiée au design et aux projets d'architecture d'intérieur en parallèle de la pratique architecturale des Ateliers Jean Nouvel.

Ouverte en 1979 à Los Angeles par Larry Gagosian, Gagosian Gallery est considérée comme l'une des galeries les plus influentes dans le monde de l'art moderne et de l'art contemporain. Avec ce nouvel espace au Bourget et la galerie déjà existante à Paris, il y aura 12 galeries dans le monde au total - trois à New York, une à Beverly Hills, deux à Londres, une à Rome, à Athenes, à Geneve et à Hong Kong. Elles ont été realisé par des architectes tels que Richard Gluckman (New York), Richard Meier (Beverly Hills), Caruso St John (Londres) et Jean-François Bodin (Paris).

Gagosian Gallery
ao
rganisé de nombreuses expositions de grande envergure avec des artistes de renommée internationale tels que Richard, Avedon, Francis Bacon, Joseph Beuys, Georg Baselitz, Jean Michel Basquiat, Alighiero e Boetti, Constantin Brancusi, Cecily Brown, Chris Burden, John Chamberlain, John Currin, Walter De Maria, Urs Fischer, Lucio Fontana, Alberto Giacometti, Douglas Gordon, Arshile Gorky, Marc Grotjahn, Andreas Gursky, Damien Hirst, Howard Hodgkin, Carsten Höller, Edward Hopper, Mike Kelley, Anselm Kiefer, Yves Klein, Willem de Kooning, Jeff Koons, Yayoi Kusama, Roy Lichtenstein, Piero Manzoni, Claude Monet, Elizabeth Peyton, Pablo Picasso, Richard Prince, Ed Ruscha, Jenny Saville, Cindy Sherman, Richard Serra, David Smith, Rudolf Stingel, Robert Therrien, Tatiana Trouvé, James Turrell, Cy Twombly, Piotr Uklański, Andy Warhol, Franz West, Rachel Whiteread, Christopher Wool, et Zeng Fanzhi.Contact Presse
Claudine Colin Communication

28 rue de Sévigné

75004 Paris
www.claudinecolin.com

Pour toute information supplémentaire, merci de contacter la galerie au paris@gagosian.com ou au +33.1.75.00.05.92.


Ipse Dixit: Primo Mazzolari

"No  queremos una revolución que envidie, sino una revolución que ame".

martedì 12 giugno 2012

La morte della Pizia (Parte Quinta)










l sole stava ora tramontando dietro il cantiere del tempio di Apollo, il solito, sempiterno spettacolo Kitsch; Pannychis, che il sole lo detestava, pensò che un giorno voleva proprio vederci chiaro in quella faccenda, la favola del carro e dei cavalli del sole la trovava assolutamente ridicola, ed era pronta a scommettere che il sole non era altro che una massa di gas fetidi e fiammanti. Dirigendosi verso l’archivio pensò per un attimo che era zoppa anche lei, proprio come Edipo. Lì si mise a sfogliare il libro degli oracoli, tutti i responsi emessi nel santuario vi erano registrati. Finalmente di imbatti in un oracolo pronunciato per un certo Laio, re di Tebe. Qualora gli fosse nato un figlio, costui lo avrebbe assassinato.
“E’ un oracolo intimidatorio,” pensò Pannychis tra sé e sé “riconosco lo zampino di Krobyle IV, la Pizia che mi ha preceduta”, della quale peraltro sapeva benissimo quanto fosse corriva coi desideri del gran sacerdote. Poi, frugando nei libri contabili, trovò la prova di un versamento di cinquemila talenti da parte di Meneceo, l’uomo drago, il suocero del re di Tebe Laio, con la seguente annotazione: “Per un oracolo formulato da Teresia in relazione al figlio di laio”. La Pizia chiuse gli occhi, meglio sarebbe stato, pensò, essere cieca come Edipo. E rimase a sedere pensierosa al tavolo di lettura dell’archivio. Ora capiva: il suo oracolo si era avverato per grottesca coincidenza, ma Krobyle in passato aveva vaticinato per impedire a Laio di generare un figlio e perciò un erede, in modo che fosse il cognato Creonte a succedergli al trono. Il primo oracolo, quello che aveva spinto Laio a esporre Edipo, era stato il frutto di una pastetta, il secondo si era avverato per puto caso e il terzo, quello da cui l’indagine aveva preso le mosse, era stato anch’esso formulato da Teresia. “Per portare Creonte sul trono di Tebe, sul quale di sicuro è già salito” pensò Pannychis. “E io che per troppa condiscendenza nei confronti di Merops ho recitato il responso formulato da Teresia,” borbottò tra sé furibonda “per di più in quegli orribili giambi, sono più perfida io di Krobyle IV, che almeno profetava solamente in prosa”.
Si alzò dal tavolo e lasciò quell’archivio coperto di polvere, da molto tempo ormai nessuno si preoccupava più di pulire e rassettare, ovunque nell’oracolo di Delfi la sciatteria più spensierata regnava sovrana. Comunque anche l’archivio sarebbe stato ben presto demolito, pensò, e al posto della vecchia casupola di pietra sarebbe sorto un nuovo e pomposo edificio, era perfino già prevista una casta sacerdotale che avrebbe avuto il compito precipuo di sostituire a quella spensierata sciatteria una sciatteria rigorosamente preordinata.

venerdì 8 giugno 2012

Collection Cinema




MOM et LAA
présentent

COLLECTION
CINEMA

Une archéologie
du musée au travers
du cinéma

LE JEUDI 14 JUIN 2012
A 19h

Laboratoire
d'art d'aujourd'hui
association LA BIFURK,
2 rue Gustave Flaubert
38000 GRENOBLE

Plus d'infos sur
Museum of Museum


Museum of Museum présente Collection cinéma, une archéologie du Musée au travers du cinéma.
Tout le monde connaît le fonctionnement du cinéma, son économie de production (qui n’a jamais regardé un making of de film ?), à l’inverse, le fonctionnement de l’art contemporain n’est pas encore acquis. L’économie de production des artistes surprend souvent compte tenu des clichés de l’artiste, personnalité douée d’un génie, travaillant seul dans son atelier, clichés encore opérant pour une majorité non initiée. Aujourd’hui, le moindre dvd d’un film grand public contient un making of, dévoile sa construction, alors que dans le champ de l’art contemporain il n’est que rarement dévoilé la face cachée de la production, comme si l’on souhaiter conserver un aspect magique de la création.
S’intéressant à la manière dont l’art apparaît en société, les dispositifs régissant son contexte de monstration, Museum of Museum développe une recherche sur la périphérie de l’œuvre d’art, et de son exposition – la documentation constituée par le para-texte et les éphéméras – mais aussi par rapport à l’image diffusée dans les médias – publicité, cinéma, série télévisée, littérature.
Museum of Museum envisage l’utilisation des codes du cinéma comme un moyen pour aborder le fonctionnement du monde de l’art. Le cinéma véhicule des idées, diffuse de la culture, étend la connaissance des éléments du monde, façonne les représentations que l’on se fait de la réalité. Il participe de l’approche virtuelle du monde faisant que l’on connaît précisément des choses que l’on a jamais vu ou expérimenté. Le projet consiste à répertorier la représentation du musée dans le cinéma. Dans l’histoire du cinéma se déploie tout une imagerie du musée. On peut identifier trois représentations principales du musée : magique (Une nuit au musée, Relic), un objet trésor (Hudson Hawk, L’affaire Thomas Crown) et sociale (Pulsions, Batman, Hitch expert en séduction).
Museum of Museum, dans son entreprise réflexive vis à vis de cette institution culturelle, se charge de conserver, de diffuser et d’étudier l’image du musée telle qu’elle apparaît notamment par le biais des films dans sa Collection Cinéma.
ll s’agit de répertorier des scènes de films se déroulant dans une institution muséale. Les scènes sont mises bout à bout et offrent différents points de vue sur le musée et son appréciation : qu’est-ce qu’un musée, qu’est-ce que l’on y présente, comment se comporte t’on à l’intérieur, quelles règles régissent ce lieu, quelle mythologie construit-on, etc. Par un regard sociologique de la manière dont le musée est perçu et présenté en société par le média filmique, dans sa Collection Cinéma, Museum of Museum propose une archéologie du musée par le biais du cinéma.
Projections, 14, 15 & 16 juin, 2012, 19h
Laboratoire d’Art Aujourd’hui – La Bifurk, Grenoble

The DaSeyn Journal #3

mercoledì 6 giugno 2012

GOTT MIT UNS: George Grosz



Gott mit uns e Dada-Messe
Fig. 1. Internazionale Dada Messe presso la galleria
Otto Burchard. Berlino, 1920.
Dal 30 giugno al 25 agosto del 1920 a Berlino, nella bottega d’arte del dottor Otto Burchard (Finanzdada), avviene la Prima Fiera Internazionale Dada, organizzata dal Propagandada Marshall George Grosz, dal Dadasoph Raoul Hausmann e dal Monteurdada John Heartfield (fig.1). Nata come provocazione, Dada-Messe raccoglie più di 150 opere tra quadri, oggetti, cartelloni, collages, marionette, fotografie, riviste e montaggi. Con essa, gli espositori intendono opporsi al militarismo e al capitalismo, al ridicolo autoritarismo della classe dirigente e dell’alta borghesia di Weimar. Piuttosto noto è, a questo proposito, il fotoritratto di Grosz accompagnato dalla citazione “DADA è la disgregazione intenzionale del mondo concettuale borghese e DADA sta dalla parte del Proletariato rivoluzionario”, che lo immortala di profilo in atteggiamento bellicoso(1). Insieme con il Preußischer Erzengel, l’Arcangelo prussiano, soldato-marionetta dalla testa porcina, i nove fogli della cartella Gott mit uns, sparsi sul tavolo e quasi casualmente esposti agli occhi dei presenti, conducono Grosz e Herzfelde al processo per vilipendio delle Forze Armate del Reich(2). Il 9 settembre e il 15 ottobre del 1920, presso la Malik-Verlag, gli esemplari reperibili della cartella e alcuni disegni del Propagandada vengono sequestrati su disposizione del capo della Polizia di Berlino.
Il processo ha luogo il 20 aprile 1921. Per Grosz e Herzfelde sono richieste sei settimane di detenzione, trasformate, durante il processo, in una pena pecuniaria di 300 marchi per il primo e di 600 marchi per il secondo. Gli altri imputati invece vengono assolti. Paradossalmente, al ministro della Difesa del Reich è riservata la possibilità di pubblicare la cartella, mentre le matrici vengono ritirate e distrutte(3).

martedì 5 giugno 2012

Ipse Dixit: George Orwell

En tiempo de engaño universal, decir la verdad se convierte en un acto revolucionario.

domenica 3 giugno 2012

Commento al Paradiso (canto XIII (76-78) di Dante

"Ma la natura la dà (la luce) sempre scema, similmente operando a l'artista che ha l'abito de l'arte e man che trema."

Deridda: Direi che la verità profonda che si esprime attraverso questi versi di Dante è che l'artista è qualcuno che diventa artista solo là dove la sua mano trema, cioè dove non sa, in fondo, che cosa accadrà e se ciò che accadrà gli è dettato dall'altro. Il momento propriamente artistico dell'opera d'arte è il momento in cui la mano trema perchè l'artista non ha più il controllo, perchè quello che gli accade, e che lo sorprende come a dire verticalmente, gli arriva dall'altro.



L'artista può essere responsabile del suo sapere, della sua tecnica, ma non è responsabile di ciò che c'è di più irriducibile nella sua arte e che viene dall'altro e che fa tremare la sua mano."
Jacques Derrida, Annali della Fondazione Europea del Disegno 2006/II

Verso casa, Carlo Carrà, 1939

Porsi davanti a un quadro non è, come qualche idea borghese vuole farci credere, un semplice diletto, un piacere da cui ci allontaniamo con un sorriso sulle labbra. Colui che si trova dinnanzi al quadro è l’uomo, con la sua storia. Forse un quadro di apparente innocenza come “Verso casa” di Carlo Carrà, è il tipo di opera che ci invita a pensare all’infanzia, alla madre che chiama per andare a mangiare. Tuttavia, in questo caso, questo quadro si rivolge a noi in un altro modo. Nell’opera in questione sembra tutto molto esplicito. Vediamo un uomo che dirige i suoi passi verso una casa su una piccola collina. I tratti sono semplici senza intenzioni ostentose, molto vicini ai tratti che farebbe un bambino se fosse lui a realizzare il disegno. L’abbondante chioma degli alberi ci dice che siamo nel periodo in cui nascono le foglie, i fiori e i prati si ricoprono di piante ed erba. La luce del sole che spunta dal breve orizzonte tra le fronde degli alberi contraddice quanto appena detto perché, invece, il sole è benigno. Tutto lo scenario copre l’uomo, è come teso a ripararlo, e le dimensioni degli elementi lo confermano, gli alberi sono appena più alti della statura umana. I componenti sono a misura d’uomo al punto da offrire una certa pace, come dopo una giornata ardua e faticosa. L’uomo è diretto a casa sua, a quel nucleo della sua vita per il quale vale la pena la stanchezza; attira l’attenzione il fatto che porta con sé solo i vestiti che indossa e il suo cappello, non c’è l’intenzione di attribuirgli una determinata occupazione, di identificarlo con un gruppo sociale; in altre parole, parla dell’uomo di qualsiasi lavoro o estrazione sociale. Però, allo stesso tempo, veniamo spinti ad un secondo sguardo o, meglio, ad uno sguardo più profondo. L’uomo non può essere solo una rappresentazione, può e deve essere reale, deve essere l’uomo che sono io, l’uomo seduto accanto a noi, non un uomo astratto. Vedendo questo quadro, ci si interroga su quanti non hanno un tetto sotto il quale condividere il pane con i loro cari, dove recuperare le forze e riposare. Tutti andiamo affaccendati alla ricerca della casa in cui la nostra persona venga riscattata ogni giorno. La casa non è fatta dai muri dipinti, dalla poltrona comoda, o dagli aggeggi elettronici – anche se attualmente pensiamo di non poter vivere senza. Como diceva il poeta, una sola è la casa, quella in cui la nostra fragilità e, quindi, il nostro desiderio che più niente sia dolore, niente sia male, si compia. Desiderare questo e lavorare affinché si realizzi è il compito che ci attente. Sempre.

dal giornalino "the Others International, maggio 2012.

sabato 2 giugno 2012

Sally Mann at Fotografiska, Stockholm



VISITOR INFORMATION 
Fotografiska
Stora Tullhuset Stadsgårdshamnen 22 
116 45 Stockholm
SWEDEN
Website:Fotografiska | Mann  

Douglas Gordon at Art Unlimited, Basel



Gagosian Gallery is proud to present Henry Rebel: Drawing and Burning (2011), a major film installation on two screens by Douglas Gordon.

Gordon is a conjurer of collective memory and perceptual surprise whose tools include the everyday commodities of popular culture: Hollywood films, found scientific footage, photographs of rock-stars, or poetic and ambiguous phrases. Into a diverse body of work--which spans video and film, sound, photographic objects, and texts both as installation and printed matter--he infuses a combination of humor and trepidation to manipulate reactions to the familiar.

Henry Rebel: Drawing and Burning is Gordon's response to a proposal by James Franco to create a work based on the classic 1955 film "Rebel without a Cause." Henry Rebel features actor Henry Hopper, whose father Dennis made one of his first appearances in the original film alongside James Dean. In Gordon's film, Henry Hopper enacts two scenarios which were part of the original film's screenplay, but never shot. In the first, he engages in a disturbing improvised performance of a man burning alive. In the second, he repeatedly draws on his own body with a red marker; an affected eradication of the body's surface reflecting a desire to obliterate the self.
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This year's Art Unlimited sector will for the first time be curated by Gianni Jetzer, Director of the Swiss Institute in New York. The sector will feature 62 projects by artists representing a cross-section of the leading figures from several generations of today's international art scene. Many pieces have been created especially for Art Unlimited and are marked both by their ambition and the relative youth of the artists creating them. The new curation will also be expressed in a very new design and architecture for the sector.

In the 17,000-square-meter exhibition space of Hall 1, Art Unlimited offers artists and galleries a platform for works that surpass the possibilities of the conventional gallery booth, showcasing outsize sculptures, video projections, installations, wall paintings, photographic series, and performance art.
Since its launch in 2000, many of the world's leading contemporary artists have exhibited in the Art Unlimited sector, which is generously supported by UBS. The number of projects proposed by gallerists for this edition increased significantly, signaling the importance of these works and the sector, a third of those proposals were selected for this year's edition.

This year, works by artists including Jeremy Deller, Philip-Lorca diCorcia, Hamish Fulton, Gilbert & George, Dominique Gonzalez-Foerster and Tristan Bera, Douglas Gordon, Roni Horn, Anthony McCall, Ryan McGinley, Bruce Nauman, Mike Nelson, Olaf Nicolai, Richard Phillips, Walid Raad, Ugo Rondinone, Sterling Ruby and Franz West will be on show.

Projects by the artists have been chosen by the Art Basel Selection Committee.

Art Unlimited and Art Statements VIP Opening
Monday, June 11, from 4pm to 7pm
By invitation only 

Public days
Thursday, June 14, 2012 to Sunday, June 17, 2012
From 11am to 7pm

Les Papillons en la Alianza Francesa, Tegucigalpa Honduras.


venerdì 1 giugno 2012

E chiamarmi Giovanni

No es el  tú de Montale. Para el relato bíblico aquel que abría los brazos era un padre, imagen de Dios, del Misterio, que en boca de Jesús tomaba el rostro de Padre para toda la humanidad. Dentro del poema, este es el sentido de ese Tú, con mayúscula. Por lo tanto, es un Tú fiel: “[…] e le Tue braccia / aperte / credono al mio ritorno”. Sí, es un Tú que espera con los brazos abiertos, que no pide sino el corazón:

TU CHE IO VOLLI
E sarà l’ottavo giorno,
quando non avremo più parole da dirci.
Quando si sfoglieranno
i libri dell’infamia.
Tu chiederai, guardandomi, un fardello
che io non avrò: l’amore.
Io lo so. In faccia a me
abbraccerai – Tu, che io volli – pezzenti,
ubriachi e sgualdrine.

El octavo día ya no habrá nada que decir, se abrirá el libro de las infamias y se pedirá cuentas de lo mucho o poco que se haya amado, porque mucho se le perdona a quien mucho ama, dijo una vez Jesús y acogió a la así llamada pecadora pública, que había dado muestras de un gran amor.  He aquí porque Giovanni escribe: “[...] abbraccerai – Tu, che io volli – pezzenti, / ubriachi e sgualdrine”.Ahora bien, puede ser aventurado, pero la cuestión entre forma y fondo, espíritu y materia, se asoma por entre las rendijas; aunque no es un asunto problemático: a diferencia de quienes cantan la desilusión de la no realización (inevitable recordar la lapidaria sentencia de Sartre: “El hombre es el deseo de ser Dios fracasado por anticipado”), Riva canta la necesidad de que se realice: no da por hecho ni lo uno ni lo otro.