martedì 10 maggio 2011

Matisse, Deux négresses

Introduzione
La vita di Henri Matisse è stata molto estesa, non soltanto anagraficamente(1), ma anche artisticamente. Il giovane Matisse infatti, prima di dedicarsi unicamente alla pittura, intraprese la carriera forense (per compiacere la famiglia), ma una volta iniziato a lavorare, si rese conto che la pittura non poteva più essere un passatempo per le ore libere, ma doveva convertirsi nel suo mestiere; così il giovane lasciò un futuro certo per uno imprevedibile, si rimboccò le maniche e iniziò a studiare arte a tempo pieno(2). Sebbene dunque gli inizi della carriera artistica di Matisse siano caratterizzati da un lungo ed incerto noviziato, una volta trovata la sua strada, a partire dal 1905(3), vediamo un artista sorprendentemente conscio del proprio ruolo. Molto attento nel dispensare delucidazioni al fine di non creare fraintendimento alcuno nei confronti del suo lavoro; spiegò più volte il proprio modo di creare in maniera sempre chiara e pertinente (4). Anche riguardo al suo rapporto con la scultura, argomento di questo elaborato, ci ha lasciato varie testimonianze: “Mi piace modellare tanto quanto dipingere- non ho preferenze. Se la ricerca è la stessa, quando mi stanco di un mezzo, allora mi rivolgo all’altro – e spesso faccio, ‘per nutrirmi’, la copia di argilla di una figura di anatomia”(5). Come Matisse, anche Derain e Picasso praticarono l’arte della scultura, affrontando la tridimensionalità per verificare in concreto ipotesi utili ad una riformulazione del linguaggio pittorico; nessuno di loro infatti pensò di abbandonare il supporto della tela, ma tutti e tre utilizzarono la scultura ai fini della pittura (6), spesso utilizzando il medium del nudo femminile.

Quando, ormai ottantaquattrenne, gli chiesero: “Che influenza ritiene abbia avuto la vostra scultura sulla vostra pittura?”(7), rispose coerentemente con quanto detto in giovane età: “Una familiarità con forme e volumi, per completare lo studio della natura attraverso il disegno”(8). Il rapporto fra Matisse e la scultura, risale agli anni della sua formazione, quando a Parigi, lasciata nel 1898 l’Ecole des Beaux-Arts, si cimenta in corsi serali di scultura alla scuola d’arte comunale di Rue Etienne-Marcell (sempre parallelamente al lavoro di pittore), con la convinzione che questo l’avrebbe aiutato a perseguire nel corso della propria evoluzione artistica, uno scopo fondamentale: non fondere mai la forma con il colore. Nello stesso anno inizia a frequentare l’atelier di Bourdelle con il quale strinse rapporti abbastanza confidenziali a differenza di Rodin (9), col quale non si trovò d’accordo fin dai primi incontri(10). Il nodo cruciale alla base dell’incomprensione tra i due artisti, stava nella concezione generale dell’opera: per Matisse era imprescindibile che qualunque parte di un sistema, facesse riferimento all’architettura dell’insieme dell’opera, il che non significava che aderisse ad un criterio di realismo, ma di completa armonia fra le parti e il tutto(11), Rodin invece ragionava in modo contrario, concentrandosi sulle singole parti ritenendole svincolate da un qualsiasi disegno generale, il che rendeva il suo lavoro ‘confuso’ secondo Matisse: “Per me tutto sta nella concezione. È dunque necessario avere, fin dall’inizio, una visione netta dell’insieme. Potrei citare un grandissimo scultore che ci dà degli ammirevoli frammenti: ma per lui una composizione è solo l’aggregazione di più frammenti e ne risulta un’espressione confusa” (12).

Nel 1907 Matisse decide di aprire una propria Accademia, “Pensavo che sarebbe stato bene evitare ai giovani artisti il cammino che io avevo dovuto percorrere da me”; ben presto si accorse di quanto fosse difficile insegnare e correggere il lavoro di molti giovani, dovendo tener conto dello spirito di ciascuno al momento di concepire un’opera; ricorda Matisse la delusione degli allievi nel trovare in lui, ritenuto un rivoluzionario, l’insegnamento della tradizione e la sua delusione nel vedere gli alunni fare “del Matisse” invece di seguire e coltivare la loro individuale sensibilità. Per questi motivi nel 1909 “Capii di dover scegliere tra il mestiere di pittore e quello di professore. Ben presto chiusi la mia Accademia” (13).

1 Henri Matisse (Le Cateau-Cambrésis, 31 dicembre 1869 – Nizza, 3 novembre 1954).

2 Nel 1890-91 si trasferisce a Parigi, a inizio 1891 si presenta al concorso di ammissione all’Ecole de Beaux-Arts e non viene preso. Continua a studiare per conto proprio cercando insegnamenti altrove fino al 1895, anno in cui finalmente riuscirà ad essere ammesso all’Ecole di Parigi, dove troverà in Gustave Moreau, carismatico mastro, un’apprezzata guida e vi resterà fino al 1898 anno della morte di Moreau. Cfr. SCHNEIDER 1985, pp.715-721

3 “Se dunque la sua personalità comincia a profilarsi dopo il 1898, egli non sarà veramente se stesso che a partire dal 1905, a più di trentacinque anni” cit. in Shneider 1985, pag. 719.

4 Dalla “formazione classica e giuridica gli deriverà una certa propensione per la dimostrazione e l’arringa”. Cit. in SCHNEIDER 1985, pag.717.

5 Clara Macchesney, 1913, A Talk with Matisse, leader of Post impressionist, in << The New York Times>>, 9 marzo, cit. in FOURCADE 1972, nota45, pag. 39.

6 “I mezzi non hanno quell’immensa importanza che gli si accorda: io non mi sento affatto legato da quanto ho fatto.[…] Così per esprimere la forma, mi dedico di tanto in tanto alla scultura che mi permette, invece di essere davanti a una superficie piana, di girare intorno all’oggetto e di conoscerlo meglio.” In Florent Fels, 1925, Propos d’Artistes, a renaissance du Livre, Paris, cit. in FOURCADE 1972, nota 45, pag. 39. E aggiunge Matisse: “Ho fatto scultura per completare i miei studi. Ho scolpito quand’ero stanco della pittura. Per cambiare mezzo. Ma ho fatto sculture come pittore. Non ho fatto scultura come uno scultore. Quel che dice la scultura non è quello che dice la pittura[…] Sono strade parallele, ma da non confondersi”. In Georges Charbonnier, 1960, Entertein avec Henry Matisse, in Le Monologue du peintre, Juliard, Paris, cit. in FOURCADE 1972, nota 45, pag.40.

7 Estratto da Matisse answers twenty questions nella rivista << Look>> del 25 agosto 1953. Cfr. FOURCADE 1972, pag.345.
 
8 Ibidem

9 SCHNEIDER 1985, pag. 725.

10 Racconta Matisse a proposito: “Sono stato portato da Rodin, nel suo studio di Rue de l’Universitè, da un suo allievo che desiderava far vedere i miei disegni al maestro. Rodin, che mi accolse bene, ne fu mediocremente interessato. Mi disse che avevo una ‘mano facile’, cosa falsa. Mi raccomandò di fare dei disegni ‘leccati’ e di farglieli vedere. Non ci sono più tornato. Mi dicevo infatti che era proprio per arrivare ai disegni rifiniti, comprendendo la mia strada, che avevo bisogno di qualcuno. Perché procedendo dal semplice al composto(ma le cose semplici sono difficili da spiegare), quando fossi arrivato ai dettagli, avrei terminato il mio compito: quello di capire me stesso”. In Raymond Escholier, 1956, Matisse, ce vivant, cit. in FOURCADE 1972, nota 12 pag. 32.

11 Disse nel 1908 parlando di disegno: “ Non dovete considerare le parti in modo prosaico […] Non vi dico di non esagerare, ma vi raccomando: la vostra esagerazione deve essere in armonia con il carattere del modello- e non un’esagerazione priva di senso, che vi allontanerebbe soltanto dalla particolare espressione che cercate di fissare”. E aggiunge poco più avanti parlando di pittura: “Bisogna fermarsi di tanto in tanto per considerare il soggetto (modello, paesaggio, ecc.) nel suo insieme. È l’unità che dovete cercare prima di tutto”. Alfred H. Barr, 1951, Matisse, his art and his public, Museum of Modern Art, New York, in FORCAUD 1972, pp.21-22 e 27.

12 FOURCADE 1972, pag. 9.

13 Cfr. FOURCADE 1972, pp. 47-48.

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