domenica 29 marzo 2015

L'intenzione iniziale in architettura


In architettura, come nelle arti e in tutte le pratiche umane, ci sono risultati diversi a seconda dell’intenzione iniziale dell’autore; persino due opere formalmente uguali, ma con intenzioni iniziali diverse, sono esse stesse diverse.
L’intenzione iniziale dell’architetto può essere quella di stupire lo spettatore (e questa non è cosa nuova, ma è, dai tempi antichi alle moderne archistar, la tentazione nascosta di tutti i progettisti; è come il piacere personale di essere non originali, ma esotici).
Oppure, l’intenzione può essere quella di “dare un messaggio”, cioè caricare un edificio di significati o simbologie, come una vera e propria opera d’arte (e questa è l’architettura che si insegna nelle università, astratta ed erudita; un’architettura che ha il suo fine nell’essere inserita in un discorso storico/culturale).
Altre intenzioni iniziali sono quella di mettere la propria firma su qualcosa, quella di creare la macchina funzionale perfetta, quella di mettere a punto la struttura migliore, eccetera.
Il punto è che un progettista di architettura spesso si identifica con la figura comune dell’artista, di dover esprimere il proprio io a tutti i costi; ma, come dice Rimbaud, “Io è un altro”. Non si parla qui di stile, perché ognuno ha il proprio modo di fare ed è giusto così; si parla invece dell’intenzione iniziale di mettersi al servizio e di creare un luogo per degli uomini (e non per degli uomini idealizzati, ma per degli uomini reali).
Nel vasto mare di etichette e definizioni prese a priori, si può pescare anche quest’ultimo tipo di progettista: esso è, per la mentalità dominante, l’”architetto sostenibile”, impegnato per l’ambiente e per una certa idea di sociale. E’ quello, per intenderci, che infila piste ciclabili, orti urbani, spazi di co-working in ogni cosa, più per moda del momento che per reale necessità.
Si crede, dunque, che chi ha l’intenzione iniziale di creare luoghi per gli uomini sia un attivista, un tecnologo, un ambientalista e nulla più.
In realtà egli è il tipo di architetto che ha cominciato l’architettura moderna; è Le Corbusier, è Gropius, è Wright, è Aalto; è quello che desidera creare una cosa nuova per l’uomo, non in modo istintivo (cioè seguendo una moda), ma lavorando senza pregiudizi. Essi non erano degli attivisti, ma erano dedicati ad uno scopo al punto che riconosciamo la bellezza delle loro opere non per un effetto calcolato, ma per una nostra corrispondenza di intenzione. Infatti, “Noi riconosciamo il nostro sangue in ogni cosa. E’ l’unico modo di percepire i fenomeni”, come diceva Mendelsohn.
Il gusto del bello non si ferma alla superficie, alla forma visiva, ma cerca corrispondenza in molte altre cose: nella storia dell’edificio, nel suo rispondere ai limiti cui è soggetto, nell’intenzione iniziale di chi l’ha voluto e realizzato, nei ragionamenti che suscita in chi lo guarda. L’immediatezza va fuggita, la complessità va ricercata.

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