giovedì 25 gennaio 2018
Città, paura e desiderio: Nagoya
Nagoya è una città che non si impara facilmente; la monotonia degli edifici e la ripetizione degli stessi elementi, tutti esatte repliche di un modello sconosciuto, come i konbini, le aree di parcheggio a pagamento, le stazioni della metropolitana, le grandi catene di centri commerciali, non aiutano. Sembra di non poterla conoscere mai bene. I monumenti storici sono chiusi in recinti o resi invisibili dagli alberi, per cui dalla strada non si intendono. Le insegne dei negozi, enormi e colorate, si tendono a dimenticare facilmente per i non yamatologi.
L'ingegneria civile, quella delle strade sopraelevate e delle torri per le telecomunicazioni, dei canali e dei cavi sospesi è ciò che dà la vera forma alla città. Quando si pensa a Nagoya in generale, sono questi gli elementi che vengono in mente.
Piano piano ci si costruisce un modo per classificare Nagoya. Si capisce che, proprio appena dietro a dove ci sono aree commerciali pulitissime e capitaliste, probabilmente si trova la rispettiva area residenziale, con le case che meno piani hanno, più sono belle. Si capisce che è il negozio più piccolo quello su cui basarsi per ricordarsi quel dato posto, perché è probabilmente quello che è lì da più tempo. Si capisce che, anche se ci si perde, prima o poi una stazione della metropolitana la si incontra.
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