venerdì 4 novembre 2011

Non si fa che consumare il segno.



Bisogna dire qualche parola, dopo che degli "integralisti cristiani" hanno interrotto con violenza lo spettacolo "Sul concetto di volto nel Figlio di Dio" di Romeo Castellucci, presentato al Festival d'Avignone e negli ultimi giorni al Théâtre de la ville di Parigi. Mi dispiace di aver poco tempo, e di non poter raccontare tutti i fatti, o fare una buona critica dello spettacolo. Spero che voi abbiate il tempo di farlo, di rendervi conto che si tratta di un'urgenza di significato, grave e violenta.


Sotto lo sguardo di quel bellissimo Gesù dipinto da Antonello da Messina sono successe due violenze, sintomi di una malattia grave.

Non di altri, non della società, ma nostra. Mia e tua.


La prima violenza é lo spettacolo stesso. Il teatro fin dalle sue origini ha voluto essere il mezzo che il popolo usa per fermarsi e riflettere sull'unica cosa comune a tutti gli uomini, la realtà. Con Castellucci diventa solo il luogo di "spettacolarità". Si piscia su quel volto cosi' umano di Gesù, si mostra come un animale un vecchio che non ha più il dono di avere coscienza del suo corpo, si fa esibizione di un figlio che non é più capace d'amore.


La seconda violenza é data dalla reazione di quei bigotti sedicenti "cristiani" che si sono battuti, pavoneggiati e indignati per un cristo che é solo il mezzo del potere occidentale, quello che protegge mafiosi e che fa sentire bene i politici quando alla domenica vanno a messa, il cristo di una religione di stato, per gente "bene", per bravi cristiani, senza amore ne pasione per la realtà.


No di quel cristo li, a noi, non interessa nulla.


Ma ci interessa difendere quello sguardo. Lo sguardo del Cristo che camminava per le strade di Palestina, lo sguardo di quell'uomo che dava un senso alla realtà. Ecco il problema. Proprio noi, i cristianoni occidentali, i "sicuramente salvati" cerchiamo di convincerci che tutto é realtivo, che non esiste un valore per cui vale la pena vivere. Non vogliamo più saperne di un Cristo vivo, ma quello morto duemila anni fa andiamo a difenderlo davanti a tutte le televisioni francesi e internazionali. Perché quel cristino li, ci fa vivere comodi e che nessuno ce lo tocchi. Che schifo.

Cerchiamo di vivere senza porci la domanda sul senso, quella domanda incessante che quel Cristo vivo faceva ai suoi amici.


Per chi ha la grazia di avere un cuore semplice, questo spettacolo e il suo pubblico indignato devono sembrare un incubo, uno stupro. Per chi puo' ancora guardare la realtà, con quello stesso sguardo del giovane palestinese, sa che le cose hanno un valore, latente, nascosto ma presente. Ogni cosa é un segno, una realtà particolare e limitata, ma é attraverso esso che si intuisce la verità delle cose. Un bacio é segno di amore, un sacrificio é segno di amore, un'azione sociale é segno di amore.

Per l'applauditissimo Castellucci la storia umana di un giovane crocifisso per aver portato un'umanità nuova, non significa più nulla. Ci si puo' pisciare sopra. Per noi, bigotti e indignati, cattolicissimi e morti, non importa se ieri una signora che ha perso il lavoro e che vive su un marciapiede con suo marito ha partorito in strada un bambino morto. Non é segno di nulla, é solo un bimbo morto. A noi interessa di più andare a difendere la "cristianità" nel teatro più borghese della capitale. La cristianità....

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