sabato 27 luglio 2019

Architettura e geometria: in die irae

Secondo quanto scrive Takashi Hasegawa in Dōbutsu no kenchikugaku, da quando l'uomo iniziò a crearsi delle tane, delle abitazioni non dissimili da quelle degli animali, fu solo ad un punto indefinito della storia che, tramite la geometria, poté realizzare qualcosa di distinto dalla natura. Ovvero, si può dire, la geometria esiste già nella natura, sì; l'uomo non ha inventato la geometria; ma il suo utilizzo è stato "imparato", non è parte del suo corredo genetico, come è, per esempio, nelle api.
C'era una signora senzatetto che viveva a Roma in Piazza di Santa Maria Maggiore, che si è costruita accanto alla fermata del bus un rifugio fatto di carta di giornale, dalla forma indefinibile, che ho sempre immaginato come l'entrata a una tana sotterranea. Non so se lei vi abiti per necessità o per scelta, ma credo che la sua non sia stata una vita tranquilla, e indovinando, molte persone avranno tentato di scacciarla.

E' come se l'uomo avesse bisogno della dignità di sapersi uomo, prima di poter tornare a usare la geometria. Sempre Hasegawa afferma che l'uomo non può che ritornare all'architettura pre-geometrica in situazioni di disastri, di guerre, di necessità estrema: in seguito al grande terremoto di Tokyo del 1923, quando la città fu  rasa al suolo e bruciata da un vasto incendio, si osservavano ovunque rifugi realizzati con tessuti, scarti edilizi, che si reggevano su alberelli utilizzati come pilastri, quasi come nidi di uccello. In die irae, quando non si sa più se ci è permesso di essere uomini, anche l'architettura ritorna ad essere animalesca.
Ma, non avendo noi uomini l'istinto alla non geometria, non riusciamo ormai più a ritornare del tutto animali: anche l'architettura di Gaudì o di Gehry è profondamente basata su calcoli matematici e proporzioni; ugualmente, le baracche dei terremotati di Tokyo e la tana di giornali della senzatetto di Roma hanno un certo fascino, sono fatte di una forma ancora abbozzata ma che tende piano piano alla geometria, all'unire un punto all'altro, a eliminare lo spazio non utilizzato, a reagire all'ambiente esterno razionalmente. Sono inequivocabilmente opera di uomini e non di animali: quello che gli manca ancora è la libertà (la libertà materiale di mezzi e materiali, e la libertà di sapersi uomini). E non appena il disastro finisce, come in tutto il mondo dopo la seconda guerra mondiale, gli uomini che erano stati per forza di cose estremamente non liberi, con una grande boccata d'aria, si trovano più liberi di prima, e questo si riflette nell'architettura, non più legata al "si deve fare così"; e comincia a porre questioni radicali da cui nascono nuove soluzioni. 

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