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Pensa che morirà, che è giovane, e che anche a lei sarebbe piaciuto vivere. Ma non c’è niente da fare. Lei si chiama Antigone e sarà necessario che reciti la sua parte fino in fondo… E da quando questo sipario si è levato, lei sente che si sta allontanando a una velocità vertiginosa da sua sorella Ismene,che chiacchiera e ride con un giovane, da noi tutti che siamo qui belli tranquilli a guardarla, da noi che non dobbiamo morire stasera.
Quel uomo robusto, coi capelli bianchi, che medita là accanto al suo paggio, è Creonte. E’il re. Ha delle rughe, è stanco. Gioca al gioco difficile di guidare gli uomini. Prima, al tempo di Edipo, quando non era che la prima personalità della corte, amava la musica, le belle legature, le lunghe passeggiate oziose dai piccoli antiquari di Tebe. Ma Edipo e i suoi figli sono morti. Ha lasciato i suoi libri, i suoi oggetti, si è rimboccato le maniche e ha preso il loro posto. (…) Creonte è solo.
(…)
Infine quei tre uomini rubicondi che giocano a carte, il cappello sulla nuca, sono le guardie. Non sono dei tipi cattivi, hanno mogli, dei figli, e delle piccole noie come tutti, ma tra poco agguanteranno gli accusati nel modo più tranquillo del mondo. Sanno di aglio, di cuoio e vino rosso, e sono privi di ogni immaginazione. Sono gli ausiliari sempre innocenti e sempre soddisfatti di loro stessi, della giustizia.
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