lunedì 8 ottobre 2012

La Morte della Pizia (parte nona)











arogna,” gridò la Pizia con voce roca “sei proprio una carogna a parlare di decreto degli dèi quando sai benissimo che quell’oracolo è tutto un imbrogli inventato da me di sana pianta!”
Ma la Pizia ormai non gridava più, il suo era soltanto un roco bisbiglio, e ad un tratto dalla fessura della roccia si levò un’ombra, un’ombra immane, una specie di impenetrabile parete, velata ai suoi occhi dalla luce perlacea della notte.
“ Sai chi sono?” domandò l’ombra, che ora aveva un volto i cui occhi grigio ghiaccio la osservavano pacatamente.
“Sei Teresia” fu la risposta della Pizia che si aspettava di vederlo comparire.
“Tu sai bene perché appaio al tuo cospetto,” disse Teresia “benché in questi vapori non mi senta affatto a mio agio: non soffro di reumatismi, io.”
“Lo so”, disse la Pizia con sollievo, perché Giocasta, a forza di chiacchiere, le aveva fatto passare definitivamente la voglia di vivere “lo so che sei venuto perché devo morire. L’ho chiaro in mente da tempo.  Da molto prima che si levassero  le ombre di Meneceo, di Laio,di Edipo, di quella puttana di Giocasta, e adesso la tua. Torna di nuovo giù, Tiresia, sono stanca”.
“Anch’io, Pannychis, devo morire,” disse quell’ombra “il nostro trapasso avverrà nel medesimo istante. Riarso com’ero, mi sono appena abbeverato col mio corpo di carne alla fonte di Tilfussa”.
“Ti odio” sibilò la Pizia.
“Lascia il rancore” replicò Tiresia ridendo “facciamo la pace e avviamoci insieme nel regno dell’Ade” e ad un tratto Pannychis si accorse che il potente e decrepito Tiresia non era affatto cieco, poiché anzi, guardandola, strizzava i suoi occhi grigio chiari.
“Pannychis” disse il veggente in tono paterno “solo la non conoscenza del futuro ci rende sopportabile il presente. Mi sono sempre stupito e continuo a stupirmi  immensamente che gli uomini siano tanto smaniosi di conoscere il futuro. Sembra quasi che preferiscano l’infelicità alla felicità.  D’accordo, noi due abbiamo approfittato e addirittura vissuto di questa propensione degli umani, io, lo riconosco, assai più agiatamente di te, anche se non è stato facilissimo recitare la parte del cieco per la vita di sette generazioni che gli dèi hanno voluto donarmi. Ma sono gli uomini a volere che i veggenti siano ciechi, e i clienti, si sa, non vanno mai delusi. E, quanto al primo oracolo da me commissionato a Delfi per il quale tu ti sei tanto arrabbiata, mi riferisco all’oracolo su Laio, credimi, non è proprio il caso di farne una tragedia. Un indovino ha bisogno di soldi, simulare la cecità costa molto denaro, il fanciullo che mi accompagnava doveva essere pagato, e ogni anno ero costretto a cambiarlo perché doveva avere sempre sette anni, per non parlare delle spese che mi è toccato sostenere per il personale specializzato e per gli uomini di fiducia sparsi qua e là in tutta la Grecia… ed ecco che un giorno si presenta quel tipo, Meneceo… sì, lo so, la registrazione che hai trovato in archivio attesta un versamento di cinquemila talenti, mentre da Meneceo ne ho incassati cinquantamila – ma quello, in realtà, più che un oracolo era un ammonimento, visto che Laio, il quale veniva avvertito che suo figlio lo avrebbe ucciso, non aveva figli e neanche poteva averne,capirai che ho dovuto tener conto della sua inclinazione quanto mai funesta per un sovrano ereditario.
“Pannychis,” continuò Tiresia in tono conciliante “anch’io come te sono una persona sensata, come te non ho fede negli dèi e credo invece nella ragione,  proprio perché credo nella ragione sono persuaso  che l’insensata fede negli dèi debba essere sfruttata in maniera ragionevole. Io sono un democratico. So benissimo che l’antica nobiltà dei nostri antenati era ormai decaduta, che si trattava già allora di uomini depravati, facilmente corruttibili, disposti a vendersi purchè fosse un affare, tutta gente insomma di una indescrivibile immoralità: se penso a quel beone di Prometeo che preferisce attribuire la sua cirrosi  epatica alle aquile di Zeus piuttosto che all’alcool, o all’insaziabile ingordigia di Tantalo che esagera a dismisura il supplizio che gli procurano le normali restrizioni dietetiche alle quali è tenuto chiunque sia malato di diabete.  Per non parlare poi della nostra alta aristocrazia. Tieste che mangia i suoi figli, , Clitennestra che scanna il marito con una scure, Leda che se la fa con un cigno, la consorte di Minasse con un toro…e avanti di questo passo, chi più ne ha più ne metta. Comunque, quando penso agli Spartani e al loro Stato totalitario – perdonami, Pannychis, non vorrei annoiarti con la politica – non posso fare a meno di rammentare che anche gli Spartani discendono dagli uomini drago e precisamente da Ctonio, uno dei cinque guerrieri sopravvissuti alla carneficina, mentre Creonte discende da Udeo, quello che solo a massacro finito osò tirar fuori il capo dalla terra… mia cara, stimatissima Pizia, che Creonte sia fedele te lo concedo, così come ti concedo che la fedeltà sia una virtù meravigliosa e onestissima; ma tu non scordare che non c’è dittatura senza fedeltà, la fedeltà è la solida roccia sulla quale si erige lo Stato totalitario, che senza di essa affonderebbe nella sabbia; per la democrazia è necessaria invece una certa mancanza di fedeltà, una attitudine più svolazzante, più irresoluta, più fantasiosa. Ti sembra che Creonte abbia fantasia? Un tremendo uomo politico cova in lui, Creonte è un uomo drago, simile agli Spartani in tutto e per tutto. Quando ho avvertito Laio di guardarsi da un figlio che lui in ogni caso non avrebbe potuto avere, intendevo metterlo in guardia contro Creonte, quel Creonte che lui stesso, Laio – se non avesse provveduto in tempo -, avrebbe portato al potere come proprio erede: in fondo tra i generali di Laio c’è Anfitrione, un uomo così per bene, di nobiltà ancor più antica di Creonte, per non parlare di sua moglie, la mobilissima Alcmena… cosa vuoi che mi importi se Eracle è suo figlio o no, non è il caso di perdersi in pettegolezzi; ma Laio, date le sue inclinazioni, sapeva benissimo che la stirpe dei Cadmei era finita, e io con il mio oracolo volevo solo suggerirgli la soluzione più intelligente, e cioè di adottare Anfitrione. Laio non l’ha fatto. Laio non era intelligente come io immaginavo.”
Tiresia tacque, si fece cupo e tetro.

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