sabato 1 febbraio 2014

Herman Melville: BENITO CERENO






Benito Cereno è un altro racconto di mare di Melville. Lo stile non ha bisogno di accreditarsi a un lettore che abbia letto Moby Dick. Ci sono, per tanti tratti ritrovati, gli stessi paesaggi e gli uomini che vivono il mare, le sue sfide, colori, lontananze, vicende di conquista e di sopravvivenza.
Qui si tratta di due capitani: Benito Cereno, spagnolo responsabile della San Domenico, partita con un carico di schiavi neri ed avvistata, alla deriva, da Amasa Delano, comandante di una nave per la caccia alle foche.
Quest’ultimo si offre al soccorso e sale sulla nave sconosciuta, ricevuto da una strana atmosfera. Già la scena che descrive l’arrivo di Delano anticipa tutta la prima parte del racconto perché: “la casa come la nave nascondono alla vista i loro interni fino all’ultimo; ma nel caso della nave c’è questo in più, che il vivente spettacolo da essa contenuto ha nella sua repentina e integrale apparizione, in contrasto con il vuoto dell’oceano che la circonda, l’effetto quasi di una scena di miraggio”.
Il ritmo della narrazione sa subito rappresentare un mistero che rimane indecifrabile con le spiegazioni di Benito, del suo servitore Babo e degli altri spettrali marinai.
Buona parte della novella cresce sui pensieri di Delano, combattuti tra la diffidenza, il terrore, il sospetto e la pietà accompagnata dalla volontà di poter essere d’aiuto allo smarrimento, che in apparenza è una malata follia maniacale, di Benito.
Non è tanto lo sviluppo della vicenda- raccontata nella seconda parte, quando arriva la lancia dei soccorsi e Delano si appresta a far ritorno al suo mondo, né gli atti processuali che portano le chiavi di lettura della verità dei fatti- ad avvincere.
Come in Moby Dick è il confronto inevitabile con il mistero del male che sempre incrocia le vicende della vita; il suo uncino pronto a scattare, la sua ferita nei corpi e nello spirito di chi ha toccato, la sua capacità di mascherarsi, la capacità di confondere e di muovere la pietà così da poter annientare chi vorrebbe negarlo. Ancora meglio della narrazione aperta lo descrivono le scene e gli elementi: la bonaccia del mare, il colore plumbeo e nebuloso del cielo, il clima soffocante, la distruzione dei luoghi e delle cose.
Non mi soffermerò su Benito, sul quale pur si dovrebbe; preferisco un’osservazione a riguardo di Delano che ha sentito il brivido agghiacciante senza poter superare la spinta a voler vedere il bene.
E’ questo un tempo nel quale il discernimento è più difficile, eppure tanto più necessario perché la deriva verso il qualunquismo e il tutto giusto, possibile, giustificabile sta conducendo a uno smarrimento generale se non addirittura alla violenza morale. Leggere la realtà esige sempre un’illuminazione e oggi siamo come obnubilati da una mentalità deviata mentre la coscienza vorrebbe riconoscere il bene che è come una sete inestinguibile, un seme profondo che potrebbe far fiorire la storia personale e quella del mondo.
Non è comune la capacità di discernimento, “richiede di mantenere aperti il cuore e la mente, evitando la malattia spirituale dell’autoreferenzialità”.

Giugno 2013

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