martedì 24 luglio 2012

Leggere il don Chisciotte

Il capolavoro di Miguel de Cervantes è un libro di domanda.
Non interrogativi intellettuali, seppur possa sembrare paradossale, ma provocazioni: approfondire la possibilità, incamminandosi verso di essa, che vi possa essere, nel cuore del reale, un “encantamiento” tutto da conoscere.
E’ una domanda che porta con sé una sacra follia nella quale sta l’eroismo di Don Chisciotte: “credette  con fede generatrice di opere a tal punto che decise di mettere in pratica quel che la sua follia gli mostrava e solamente col crederlo lo trasformò in realtà” (vita di don Chisciotte e Sancho Panza. M. de Unamuno). Non lasciamoci sedurre dall’uso comune della parola follia, usiamola al fine, nella lettura del don Chisciotte, per quello che vale: allontanarsi dalla mentalità comune, dal senso ordinario e mediatico di ogni tempo è considerato follia, stoltezza, come ebbe anche a dire San Paolo a riguardo della cultura che si confrontò con la novità di Cristo.
Accanto a Chisciotte sta colui che, nelle maschere che ne abbiamo fatte, appare come uno sprovveduto o, al contrario, un inamovibile realista: Sancho Panza. Ciò che è determinante, nel romanzo, è la loro amicizia, il senso della loro strana corrispondenza. Sancho è un uomo che, per tale legame, lascia più volte la famiglia. Solo l’interesse materiale può determinarlo a tale scelta? Un uomo tanto concreto può, realisticamente, abbandonare tutto credendo che al seguito di quel folle avrebbe potuto ottenere un’isola e un castello? Più credibile è che ciò che più conti per lui sia proprio il cercarla la “sua” isola e tale ideale non scade mai in un’applicazione limitata e ristretta. Il loro comune cammino è esigente e poco comodo ma richiede, ultimamente, la fatica semplice della docilità a un compito e a quel cammino. In tale ricerca comune c’è tutta la dialettica dei due attorno ai fatti, alle provocazioni che questi ci infliggono, allo scontro con il tradimento, la malattia, la morte, il male fisico, ma con un’apertura totale a ciò a cui tali accadimenti rimandano. “Taci e abbi pazienza. Giorno verrà che coi tuoi occhi vedrai quanto sia onorevole seguire questa professione”.
E’ un legame contagioso, che si rafforza non nella similitudine caratteriale né nelle complicità degli interessi da conservare, ma nell’adesione all’ideale a cui dedicarsi. Sancho è fedele a Chisciotte in questo. “Il giorno in cui questo tipo di uomini sparirà si potrà chiudere per sempre il libro della storia perché in esso non ci sarà più nulla da leggere”. (Turgenev. Amleto e don Chisciotte). L’ostacolo che avvertono come più pericoloso sul loro procedere è l’installarsi, perfino, alla fine, assicurarsi, garantirsi in questo “mondo di carta” transitorio. La sfida più avvincente è la loro libertà nel compiere ciò che è bene e che, quindi, ci realizza come uomini compiuti. Tale libertà li conserva fuori dall’irrigidimento del potere con i suoi rapporti arbitrari.
L’unità di questi due uomini è un invito, un tentativo di scoprire se l’encantamiento di una realtà infinitamente più grande dell’uomo sia reale e, in esso, entro la concretezza del mondo, vi sia la vittoria su tutte le ingiustizie e tutto il male e, perciò, la realizzazione dell’umano.
Leggiamo nella loro amicizia già il presagio di una risposta.

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