domenica 13 ottobre 2013

È mezzanotte dottor Schweitzer

Ci sono opere che ci trasmettono un’immagine dell’uomo che potremmo definire gigantesca.
Il est minuit Dr. Schweitzer (E’ mezzanotte dottor Schweitzer), di Gilbert Cesbron lo fa. Si tratta di un’opera di teatro che si svolge durante poche notti,  nell’agosto del 1914, all’inizio della Prima Guerra mondiale ed  è un’esemplare testimonianza di come gli uomini, posti in una determinata circostanza, acquistino, grazie alle loro decisioni, una statura enorme.

 Messa in scena nel 1951, Il est minuit Dr. Schweitzer  pone sul palcoscenico “queste anime divise”, come dice l’epigrafe che lo stesso Cesbron pose all’inizio dell’edizione del suo libro.  Chi non si riconosce in questa definizione?  Non solo perché vediamo come le energie degli uomini e delle nazioni continuano, nonostante le dichiarazioni di buona volontà, a lasciare che esistano e crescano lo sfruttamento e la schiavitù alle comodità, invece di mettersi al servizio degli uomini e delle loro necessità elementari; non solo perché ci rendiamo conto che molte volte più che non volere è che non possiamo far nulla;  ma  anche e soprattutto perché  – e questa è la cosa più dolorosa – molte volte possiamo  ma non vogliamo far nulla.
Il dotto Schweitzer, uomo  multifacetico e realmente esistito, è un genio che porta a buon fine tutto ciò che intraprende: musicista, medico, pensatore. È  l’immagine dell’uomo assolutamente capace,  che però non può nulla contro la guerra nascente  ed è obbligato a camminare a passi lenti contro la superstizione e la miseria. Il padre Carlo Ferrier (evocazione di un’altra figura realmente esistita, quella di Charles de Foucauld) ha una  vocazione alta che, come quella del santo francese, riceve a ricompensa   una morte violenta. Maria, l’infermiera,  vive alla ricerca di una donazione di sé nel matrimonio e finisce per abbracciare invece un amore totale, pur continuando ad avere serie difficoltà nell’accettare le situazioni concrete della vita.  Lieuvin è  il comandante che si innalza sugli eventi con impeto ed entusiasmo. E infine c’è Leblanc, che “fra tutti questi eroi, è l’uomo”.
Cesbron dà corpo, carne e ossa a una ferita aperta nel cuore degli eventi: in mezzo all’enormità di ciò che sucede, in mezzo a queste decisioni eroiche, gli uomini di carne ed ossa  sono dibattuti e immersi nei grandi atti della storia, di fronte ai quali siamo sempre troppo piccoli, troppo meschini.
Il est minuit Dr. Schweitzer  si divide in due drammi: quello degli uomini chiamati ad attuare perché la storia avanzi e il cui nome rimarrà nei libri e nella memoria dei popoli e quella degli uomini che portano il peso della storia senza capirne lo scopo, senza rendersi conto del significato ulteriore degli eventi  che devono soffrire e sopportare.
Il primo dramma si svolge davanti a noi con austera regalità: ed ecco l’uomo che si fa símbolo. Ecco  Schweitzer che è riuscito là dove molti progetti sanitari dello stato hanno fallito, alzando baracche, curando i malati e, come una prudente massaia, continuando con perseveranza  a spazzare perché la polvere non diventi la padrona di  casa. Ecco il padre Carlo che ha deciso di abbandonare la lotta armata per intraprendere la lotta dello spirito, senza pretendere  di far cambiare idea a nessuno, disposto a dare la vita per chi lo rifiuta. Ecco  María, che decide di offrire la sua giovinezza e la sua belleza a un popolo miserabile. Ed ecco Lieuvin, il miglior prodotto del colonialismo, l’uomo d’onore. Tutti concentrati in poche notti di tragedia, quasi chiamati da luoghi lontani a riunirsi per una chiamata misteriosa. Ciascuno di loro  risponde ad essa  a suo modo, ciascuno di loro è una domanda lanciata sulla terra in attesa del finale. È tale l’identità di queste persone con la loro chiamata, che si muovono grazie a una forza che sembra ingovernabile, e la scena ne è ricolma. La vita che ogni personaggio esprime non ci è offerta con lunghi dialoghi che spiegano tutto, al contrario, ci sono solo brevissime righe che rendono evidente la continua lotta personale contro una sottile, pigra fragilità. Grazie a questi dialoghi concisi, Cesbron dà vita e crea personaggi perfettamente definiti, senza ornamenti, così come è senza ornamenti quel consultorio sperduto nella foresta che li vede riuniti per così poche, drammatiche, decisive ore.
A vivere il secondo dei drammi è invece Leblanc, che deve portare il peso della sua piccolezza, della sua meschinità: cosciente della sua miseria, non  ha possibilità di scelta. Incapace di essere libero, Leblanc dovrà convivere con la coscienza di aver operato un’ingiustizia, con un’unico sollievo:  aver favorito le istituzioni, lo stato e le sue leggi. Non sarà Leblanc a determinare le scelte e  il destino degli altri personaggi, che semplicemente seguiranno la chiamata della loro vocazione.  A  Leblanc resterà l’ingrato compito di far scendere il sipario davanti a sé, interrato e nascosto come in una tomba, senza onore né giustizia, anch’egli martire, ma senza una ragione.
Così Cesbron ci ricorda che sono migliaia, milioni, coloro che portano il peso della storia senza capirne il significato, nascosti all’ombra delle istituzioni e della legge. E forse le vite dei piccoli e degli ultimi  sono al fondo le più significative. Le vite degli innocenti che intercedono per i grandi, a  continuo rischio di perdersi. 
Carlos Ciade

Nessun commento:

Posta un commento