Via ste:pol:ar
Le nostre polemiche sono sterili (come dice il nome stesso del blog) ed è proprio per questo che possiamo permetterci di pubblicare racconti, descrizioni, a volte solo immagini o brani tratti da altri autori. Abbiamo pubblicato pochi articoli a distanza di mesi l’uno dall’altro, quasi alla ricerca di una sterilità sempre più rilevante.
Ciò non vuol dire che i nostri pensieri non siano inquietati dall’inconcludenza.
Assieme all’altro latitante admin mi era nata la voglia di riprendere a scrivere qualcosa per il blog.
Che sia il nostro parere sulla biennale di Koolhaas o le emozioni scaturite dalla visita ai progetti di Carlo Scarpa, poco importa: riprendere, cominciare o abbandonare l’analisi di un qualcosa è sempre impegnativo.
Qualche giorno fa sono stato a Venezia. Che sia una città anomala penso che sia chiaro a tutti.
Nasce su una laguna come aggregazione di più complessi cittadini e colma in tempi dilatati i suoi negativi edilizi fino a saturare la superficie degli isolotti e parte di quella acquifera. La conoscevo solo in foto, per qualche libro e per una canzone di Guccini.
Ci si arriva come lo si fa in ogni altra città, ci si entra come lo si fa in un racconto. Le strade sono strette e non si chiamano vie, i civici non hanno senso, arrivano fino al 5000 (forse lo superano), ogni dieci passi c’è un ponte, ogni undici ce ne sono due. Penso proprio che non sia un buon posto per i porta-pizza! Chiedevamo indicazioni come se fossimo a Roma e ci rispondevano con naturalezza, come fossero loro di Roma e noi venissimo da Venezia. “Non so che via è! Però supera due ponti seguendo questa direzione e poi prendi il ponte sulla destra” è stata una delle risposte, oppure: “ah…dovete andare al civico 2458?!Dovete avvicinarvi alla Basilica”.
A Venezia c’è un senso di improvvisazione che dura da qualche centinaio di anni ed è così radicato da essere indispensabile. Un po’ come la storia del disordine-ordinato che io (come chiunque altro) propino a mia madre quando vuole riassettare le mie cose. C’è tutto, non importa dove o quanto tempo ci voglia per raggiungerlo, l’importante è che ci sia. Ogni strada del centro storico è pedonale. I più giovani, quelli così giovani da non poter essere definiti ancora “giovani” girano in monopattino (una tecnologia che probabilmente ha trovato campo fertile solo qui). I meno giovani, quelli così poco giovani che probabilmente non si riesce nemmeno ad immaginare che lo siano stati, indossano i guanti!
Venezia è piena di negozi di guanti, è una città in cui le mani sono fredde.
Di architettura moderna invece ce n’è poca e nascosta. Quando non lo è, cerca di farlo.
Molti progettisti hanno tentato di inserirsi all’interno della città. Qualcuno ci è riuscito. Forse i più carismatici no. I centri storici sembrano avere una naturale propensione al rifiuto del diverso.
Si scrive tanto del genius loci e io in realtà ne ho letto poco, ma comunque non penso che voglia dire esclusivamente seguire i canoni costruttivi che ci sono intorno. Forse a livello didattico può essere utile, si evitano un po’ di problemi, ma continuo a chiedermi se sia solo questo.
L’edificio della giudecca di Cino Zucchi mi da’ l’impressione di essere un buon edificio, di essere ben inserito, ma anche di essere ben inseribile in qualsiasi centro storico che abbia grosso modo quei canoni edilizi.
E’ più facile che un edificio prenda posto in un tempo anziché in un luogo.
Ramarro.
Le immagini provengono dal sito web di Dionisio Gonzalez, che ringraziamo.
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